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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
07.10.2010 Karzai tratta coi talebani e propone il loro ingresso nel governo dal 2014
Cronache e commenti di Carlo Panella, Maurizio Molinari, Redazione del Foglio

Testata:Libero - La Stampa - Il Foglio
Autore: Carlo Panella - Maurizio Molinari - La redazione del Foglio
Titolo: «Washington debole, Karzai tratta coi talebani»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 07/10/2010, a pag. 19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Washington debole, Karzai tratta coi talebani ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Karzai tratta in segreto con i leader dei taleban ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Le tre contro-strategie di Al Qaida contro i droni (con l’aiuto del Pakistan) ".

LIBERO - Carlo Panella : " Washington debole, Karzai tratta coi talebani "


Carlo Panella

Il presidente dell’Afganistan Hamid Karzai sta trattando per stringere un accordo con le componenti più moderate dei Talebani. La rivelazione del Wa- shington post di ieri è stata poi indirettamente confermata dalla decisione dello stesso Karzai di decapitare tutto il vertice della si- curezza del governo afgano. Il ministro degli Interni Hanif At- mar e il capo dei servizi Segretu (Nsd) Amrullah Saleh, sono in- fatti sati accusati da Karzai stesso di avere «fornito risposte insuffi- cienti» sulle ragioni che li hanno portati a non sapere impedire l’assalto con razzi diretti verso la tenda in cui il 2 giugno scorso si riunivano i 1600 delegati e invita- ti della Loja Jirga (l’assemblea dei capi tribù del paese) e dimissio- nati, una mossa sicuramente gradita ai Talebani. Contempo- raneamente, Karzai ha annun- ciato la liberazione dal carcere di tutti i Talebani «detenuti con prove deboli».
Non è la prima volta che il presidente afgano tratta con i Tale- bani (fu lui ad ottenere la loro re- sa incruenta della loro capitale religiosa, Kandhar, in cambio della totale immunità nel dicem- bre 2001, evitando alle truppe Usa e Nato un impegno gravoso e a loro la più piena agibilità negli anni a venire). Anche l’anno scorso, sempre tramite l’Arabia Saudita (che favorì e finanziò la formazione dei Talebani nel 1996), Karzai aveva tentato que- sto accordo; ma l’Isi, fece saltare il tavolo della trattativa arrestan- do il servizio segreto del Pakistan i capi talebani che stavano per concludere positivamente la trattativa. Una mossa che infa- stidì enormemente gli americani e che confermò l’esistenza di una forte componente dei vertici militari del Pakistan che conti- nua ad appoggiare i Talebani più oltranzisti e che ha favorito espli- citamente per 9 anni la fuga di Osama bin Laden e del gruppo dirigente di al Qaeda e che agisce autonomamente sia dal governo del Pakistan che dello stesso ver- tice militare di Islamabad.
La trattativa che Karzai sta conducendo in questi giorni si svolge durante una grande offensiva che da settimane le forze Usa e Nato stanno sviluppando contro la provincia di Kandahar (con discreto successo), ma è in- debolita, oltre che dalla com- plessità dell’intrico afgano e dal- la debolezza intrinseca di Hamid Karzai e del suo governo, dalla confusa politica di Barack Oba- ma. Nei giorni scorsi, Bob Wood- ward, giornalista del Washin- gton Post, coautore dello scoop sul Watergate che costrinse nel 1974 il presidente Usa Richard Nixon alle dimissioni, ha pubbli- cato un feroce libro sui dubbi, le contraddizioni e gli attriti tra il presidente e tutto il vertice militare americano che travagliano la casa Bianca.
Il libro, “Obama’s War” mette in risalto la dura opposizione dei vertici militari, a partire dal gene- rale David Petraeus, comandan- te delle operazioni in Afganistan, alla decisionedi Obamadi ritira- re comunque e senza possibilità di dilazione tutte le truppe ame- ricane da Kabul entro il giugno del 2011. Indicare pubblicamen- te una scadenza così ravvicinata –il ragionamento è semplice, ma Obama non lo vuole capire- raf- forza i Talebani più oltranzisti che ora sanno di dover resistere solo pochi mesi per conseguire una grande vittoria politica. Questo stesso plateale errore di Obama (palesemente ispirato solo da ragioni di politica interna e da totale confusione strategica) spinge oggi Karzai ad offrire ai Talebani molto più di quanto gli stessi Usa possano tollerare. Con tutta probabilità, anche la mano libera nel continuare a proteggerei campi di terroristi in Afganistan e nel comunicante Waziristan, la Zona Tribale del Pakistan in cui si nasconde il ver- tice di Al Qaeda e in cui vengono addestrati anche io terroristi che negli ultimi mesi hanno tentato di colpire Milano, New York e ora anche Parigi e Londra. Per dare un’idea del clima che si respira alla Casa Bianca, Woodward, tra gli altri, cita il caso del vice-presi- dente Joe Biden, che parla aper- tamente di Richard Holbrooke - principale esperto di Pakistan e Afghanistan - come del «più ba- stardo egoista che abbia mai incontrato».

La STAMPA - Maurizio Molinari : "  Karzai tratta in segreto con i leader dei taleban "


Maurizio Molinari, Hamid Karzai

I leader taleban di Quetta hanno iniziato a dialogare con il governo Karzai, prendendo in considerazione una possibile entrata nell’esecutivo in coincidenza con il ritiro delle truppe della Nato, ipotizzato nel 2014. A svelare i contatti è il Washington Post, spiegando che si tratta di capi taleban della Shura di Quetta, in Pakistan, che fa capo al Mullah Omar. A spingerli ad accettare le offerte avanzate dal presidente Karzai sarebbe l’evoluzione della situazione militare in Afghanistan, che vede da un lato l’intensificarsi della pressione Usa dopo l’arrivo dei rinforzi e dall’altro l’affermarsi di una nuova generazione di mujaheddin, molto violenti, che punta a rovesciare gli equilibri interni strappando a Quetta la guida dei taleban. A sostenere la ripresa dei negoziati c’è l’Arabia Saudita, che già lo scorso anno ospitò i primi infruttuosi tentativi, e la scelta di Obama di puntare su un’accelerazione della soluzione politica in risposta all’impegno preso da Karzai di garantire con le truppe nazionali la sicurezza dell’Afghanistan entro il 2014, aprendo così la strada al possibile ritiro dell’Alleanza.
«Siamo entrati in un anno decisivo» assicura Staffan De Mistura, rappresentante dell’Onu a Kabul, ma dal governo Karzai trapela malumore per i tentativi del Pakistan di avere voce in capitolo. Tali indiscrezioni aggiungono un ulteriore motivo di tensione fra Washington e Islamabad, che si somma a quanto sta avvenendo sul fronte della guerra contro Al Qaeda. Un rapporto di intelligence, recapitato dalla Casa Bianca al Congresso e trapelato sul Wall Street Journal, contiene dure critiche al presidente Asif Ali Zardari per il fatto che le truppe pachistane «evitano il conflitto» con Al Qaeda nelle aree tribali lungo il confine afghano. Vi sarebbe tale inattività militare pakistana dietro la decisione della Cia di intensificare la campagna di bombardamenti con i droni sulle aree del Waziristan controllate dal gruppo taleban di Haqqani, che protegge le basi dalle quali Al Qaeda continua a pianificare attacchi come quelli che avrebbero dovuto insanguinare il Vecchio Continente. A complicare le relazioni fra Washington e Islamabad c’è la protratta chiusura di alcuni posti di confine con l’Afghanistan - a cominciare dal Khyber Pass - che blocca sulle strade centinaia di camion di rifornimenti per l’Alleanza, esponendoli agli attacchi jihadisti. Da giovedì tali assalti si susseguono senza interruzione e ieri altre 25 cisterne di benzina sono state incendiate.
Lo scenario di guerra nell’Afpak - come l’amministrazione Obama ha rinominato l’area afghano-pachistana - vede dunque Washington sostenere Karzai nel dialogo con i taleban di Quetta mentre preme su Zardari al fine di attaccare i taleban di Haqqani. E’ una strategia che ricorda quanto fatto in Iraq fra il 2005 e il 2007 dal generale David Petraeus riuscendo a separare i capi sunniti da Al Qaeda. Petraeus oggi è al comando delle truppe americane in Afghanistan e usa i 30 mila rinforzi ricevuti per mettere sotto pressione i taleban irriducibili.

Il FOGLIO - "  Le tre contro-strategie di Al Qaida contro i droni (con l’aiuto del Pakistan)"


Talebani

Islamabad. Secondo il quotidiano arabo in lingua inglese Arab News, il governo del Pakistan sta schierando batterie di missili antiaeree nelle proprie zone tribali al confine con l’Afghanistan per colpire i velivoli Nato che osassero bombardare di nuovo i nemici scappati al di qua del confine, come è accaduto quattro volte nelle ultime due settimane. Se la notizia fosse confermata, ci sarebbe poco da invocare lo sdegno nazionale contro le incursioni occidentali: il Pakistan, alleato dell’America che riceve miliardi di dollari in aiuti anche militari da Washington, starebbe di fatto provvedendo la difesa antiaerea ai talebani e ad al Qaida. Tutti i qaidisti catturati confermano negli interrogatori che al Qaida e i gruppi alleati hanno una priorità assoluta: fermare la campagna aerea dei droni guidati dalla Cia, che ogni giorno sorvegliano dal cielo le zone tribali pachistane lungo il confine con l’Afghanistan e con frequenza quasi giornaliera colpiscono con i missili le basi e le automobili dei terroristi. Soltanto a settembre, gli attacchi dei droni sono stati 22. Mentre gli ideologi se ne stanno ben nascosti a scrivere messaggi di propaganda sempre più rari, i vertici operativi e più esposti dell’organizzazione hanno vita sempre più rischiosa e corta. La settimana scorsa un bombardamento di precisione ha ucciso il comandante di al Qaida che estendeva la sua giurisdizione sull’Afghanistan e sul Pakistan, l’egiziano Sheikh Fateh al Masri. Anche il suo predecessore, Mustafa al Yazid, è stato ucciso da un missile, a maggio: il nuovo capo è durato soltanto cinque mesi. Al ritmo scatenato dal nuovo comandante in Afghanistan, David Petraeus, con l’autorizzazione entusiasta dell’Amministrazione Obama, e a dispetto della capacità di riempire i vuoti nei propri ranghi con nuovi volontari, al Qaida rischia di essere cancellata pezzo a pezzo nei santuari waziri che un tempo considerava più sicuri. La controffensiva di al Qaida si muove in tre direzioni: la prima è la rappresaglia contro i civili in occidente. L’attentatore di Times Square, condannato due giorni fa all’ergastolo, ha spiegato che la sua autobomba doveva essere la risposta in terra americana ai droni che martellano il Pakistan. Lo stesso vale per il rischio attentati in stile Mumbai che agita l’Europa in questi giorni: al Qaida sa che i paesi europei sono il ventre molle della coalizione che combatte in Afghanistan, e una strage qui spingerebbe le diplomazie europee a fare pressioni su Washington per rallentare la campagna aerea. La seconda direzione sono gli attacchi alle linee di rifornimento Nato che passano per il Pakistan: in una settimana i guerriglieri hanno attaccato tre volte i convogli carichi di carburante, bruciando decine di autocisterne: “Intensificheremo gli attacchi se continuerete a colpirci con i droni”. Ma è la terza direzione la più preoccupante: il governo di Islamabad, con il pretesto del leso orgoglio nazionale, si comporta “come se” volesse avvantaggiare talebani e al Qaida: sei giorni fa ha chiuso ai convogli il passo principale sul Kyber, e ora schiera le batterie antiaeree.

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