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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
06.10.2010 L'Iran continua la repressione e allunga le mani su Iraq e Libano
Commenti di Redazione del Foglio, Amir Fakhravar, redazione di Repubblica

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: La redazione del Foglio - Amir Fakhravar - La redazione di Repubblica
Titolo: «A Baghdad il boss sarà di nuovo al Maliki, ma ha cambiato bandiera - Teheran e Damasco costringono Beirut a schierarsi contro il processo Onu sul caso Hariri - Sakineh, i figli chiedono asilo in Italia»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/10/2010, in prima pagina, gli articoli titolati " A Baghdad il boss sarà di nuovo al Maliki, ma ha cambiato bandiera " e "Teheran e Damasco costringono Beirut a schierarsi contro il processo Onu sul caso Hariri", a pag. I, l'articolo di Amir Fakhravar dal titolo "  Dissidente torturato in Iran contro l’apocalisse di Ahmadinejad: Tutto iniziò con Khomeini". Da REPUBBLICA, a pag. 17, l'articolo dal titolo " Sakineh, i figli chiedono asilo in Italia ".

Il FOGLIO - "  A Baghdad il boss sarà di nuovo al Maliki, ma ha cambiato bandiera"


Nouri al-Maliki

Baghdad. Ci sono voluti sette mesi dalle elezioni del 7 marzo scorso in Iraq, ma ora il capolavoro iraniano sta riuscendo. I partiti sciiti si sono messi d’accordo sul nome che vogliono come prossimo primo ministro, che è di nuovo quello del premier uscente Nouri al Maliki, e hanno escluso dalla gara Iyyad Allawi, il candidato sunnita e filoamericano che ha ottenuto la maggioranza numerica dei voti e che subito dopo il voto primaverile sembrava il vincitore a sorpresa. Grazie all’estenuante intervallo di tempo – nessuna democrazia era rimasta senza governo per così tanto tempo, il record stabilito dall’Olanda nel 1977 è stato battuto dagli iracheni il primo ottobre scorso – è successo l’imprevedibile: al Maliki ha ottenuto l’appoggio della fazione di Moqtada al Sadr, grazie alla mediazione iraniana.
Eppure il primo gesto che ha reso al Maliki un leader credibile, nel 2008, fu proprio la sua campagna militare nel sud del paese a Bassora, per eliminare le milizie armate di Sadr e affermare la volontà del governo centrale contro Moqtada, che lo ricambiava definendolo “un miscredente venduto al soldo degli americani”. Nel 2006 le fazioni della politica irachena si accordarono di malavoglia per fare di al Maliki il primo ministro, non grazie alle sue qualità, sconosciute e opache, ma perché appariva meno schierato, o meno pericoloso, degli altri candidati. Nei tre anni successivi il primo ministro è sembrato appiattito sulle posizioni degli americani, ma in una capitale colpita tutti i giorni dagli attacchi della guerriglia si trattava di una questione di sopravvivenza, non soltanto politica.
A questo secondo giro, contando l’appoggio dei sadristi, fanatici antioccidentali, al Maliki è pronto per accordarsi col vicino iraniano, che non aspetta altro. E’ una sconfitta per quel largo fronte – sponsorizzato dai sauditi – che ha sostenuto Allawi con la speranza di rintuzzare le ambizioni di Teheran. Ed è una grande delusione per i sunniti, ossessionati dall’idea, per nulla infondata, che di questo passo finiranno per contare zero a Baghdad. E sono pronti a imbracciare di nuovo le armi. Sabato il quasi premier al Maliki ha mandato l’esercito nelle aree sunnite per sorvegliarne la rabbia montante.

Il FOGLIO - "  Teheran e Damasco costringono Beirut a schierarsi contro il processo Onu sul caso Hariri"

Beirut. Il Tribunale speciale dell’Onu si avvicina alla sentenza sul caso di Rafiq Hariri, l’ex premier libanese ucciso nel 2005, e la Siria organizza la difesa del sospettato principale: Hezbollah. Nel fine settimana, le autorità di Damasco hanno firmato 33 mandati d’arresto per “falsa testimonianza” contro un folto gruppo di generali libanesi e i due magistrati tedeschi che hanno seguito l’indagine per conto dell’Onu, Detrev Melis e Gerhard Lehmann.
Secondo i siriani, avrebbero mentito di fronte ai giudici del Tribunale speciale. Il messaggio è chiaro: la Siria vuole costringere il governo libanese – che oggi è guidato dal figlio di Rafik Hariri, Saad – a scegliere tra l’intesa con l’asse Teheran-Damasco-Hezbollah e l’appoggio al Tribunale dell’Onu. A Beirut, molti temono che una sentenza contro i terroristi di Hezbollah porti alla paralisi delle istituzioni, com’è già accaduto tra il 2006 e il 2008. Per Paul Salem, esperto del Carnegie Endowment for International Peace, la situazione resterà calma sino alla visita del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che sarà in Libano il 13 e 14 ottobre: Hezbollah non può permettere che l’evento sia sabotato. I media nazionali e i politici della maggioranza dicono che il viaggio è “una provocazione”.
Ahmadinejad andrà nel sud del paese, nel territorio controllato da Hezbollah. Al confine con Israele, nel villaggio di Maroun al Ras, è stata costruita una replica della moschea di al Aqsa, simbolo della Gerusalemme araba. Sulla cupola sventola una bandiera iraniana. Da lì, il presidente lancerà pietre oltre la frontiera.
L’Iran non è mai stato così vicino a Israele. La visita di Ahmadinejad arriva mentre gli inviati americani in medio oriente cercano di salvare le trattative fra israeliani e palestinesi, riprese poche settimane fa a Washington. Il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, ha incontrato ieri i suoi ministri per discutere il prolungamento della moratoria sulla costruzione di insediamenti. Il fallimento dei colloqui, ha detto il rais egiziano Hosni Mubarak, portebbe “nuova violenza nella regione”.

Il FOGLIO - Amir Fakhravar  : "  Dissidente torturato in Iran contro l’apocalisse di Ahmadinejad: Tutto iniziò con Khomeini"


Amir Fakhravar 

L’odio verso Israele caratterizza la Repubblica islamica fin dai suoi albori. Nell’agosto del 1979, l’anno della rivoluzione, Khomeini chiamò l’ultimo venerdì del mese del Ramadan giornata di “al Quds”, invitando “i musulmani di tutto il mondo e i governi musulmani a unirsi per recidere la mano dell’usurpatore (Israele) e dei suoi sostenitori”. Ricordo negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di aver letto sui muri e sugli striscioni una frase di Khomeini in cui affermava che Israele doveva essere eliminato dalla scena mondiale. L’attuale presidente della Repubblica islamica, Mahmoud Ahmadinejad, ha seguito le idee estremiste di Khomeini, continuando a mettere in dubbio l’esistenza stessa di Israele ogni qualvolta se ne presentasse l’occasione, negando l’Olocausto e sostenendo che “Israele dovrebbe essere cancellato dalla cartina geografica”.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che Israele sia uno stato sovrano e che, in quanto tale, non solo abbia il diritto di esistere, ma anche di difendere la propria esistenza ricorrendo a ogni mezzo necessario. Questa ideologia e questi commenti sono razzisti e fascisti. Ho vissuto in prima persona l’ostilità di questo regime nelle carceri della Repubblica islamica. Tutto il mondo lo scorso anno ha potuto vedere con i propri occhi il grado di violenza che è disposto a infliggere alla propria popolazione.
Questo dovrebbe mettere in guardia la comunità mondiale sulla reale minaccia che questa dittatura rappresenta per Israele. Perché invece vige un silenzio assoluto sulla questione? Ciò che Ahmadinejad e altri fondamentalisti islamici come lui non rivelano è la vera ragione di tale ostilità. Nel Corano, il libro sacro dell’islam, si afferma in più occasioni che gli israeliti rimarranno per sempre un popolo errante, senza una nazione propria. L’esistenza stessa di Israele smentisce questa asserzione. Un errore nel Corano rappresenterebbe una seria minaccia alla legittimità della dittatura teocratica in Iran e del potere nelle mani del clero, incluso il capo supremo.
Dal 1979, la Repubblica islamica collabora direttamente con tutti gli elementi estremistici interni all’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Ha perfino dato vita a numerosi nuovi gruppi terroristici, come Hezbollah, così da potenziare le basi del terrorismo della Repubblica islamica dell’Iran nella regione. Hezbollah e Hamas sono supportati sia militarmente, attraverso la Guardia rivoluzionaria iraniana, sia finanziariamente, con milioni di dollari (denaro proveniente dalle tasche del popolo iraniano, ovviamente). In Iran le persone intelligenti riconoscono la legittimità di Israele e si interrogano piuttosto su quella della Repubblica islamica.
Lo scorso anno, subito dopo le elezioni truccate, gridavano “indipendenza, libertà, Repubblica iraniana”. Sono contrari al sostegno a favore delle organizzazioni terroristiche palestinesi. Sempre lo scorso anno, nella giornata di “al Quds” scandivano il famoso coro “Né Gaza né Libano, la mia vita solo per l’Iran”. Inoltre, in risposta al canto “morte a Israele” intonato dai gruppi radunati dal governo, gli iraniani comuni urlavano “morte alla Russia” per il suo sostegno a favore di questo regime fascista. Sono certo che non passerà molto tempo prima che il popolo iraniano rovesci questa dittatura illegittima e instauri un governo laico e democratico, le cui politiche rispecchieranno i veri ideali e le aspirazioni della gente. Non ho dubbi sul fatto che quel giorno le due nazioni di Iran e Israele, i cui legami culturali e storici risalgono a migliaia di anni fa, formeranno di nuovo un’alleanza politica, culturale ed economica forte.

La REPUBBLICA - " Sakineh, i figli chiedono asilo in Italia "

Temono di essere arrestati e perciò chiedono asilo politico all´Italia i figli di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la vedova 43nne accusata di adulterio e complicità in omicidio che rischia la pena di morte in Iran. «La nostra condizione continua a diventare sempre più difficile e sentiamo il pericolo di essere arrestati», hanno detto il 22nne Sajjad e la 18nne Saideh lanciando - attraverso le agenzie di stampa Ansa e AdnKronos - un appello al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi perché conceda loro asilo politico «considerata anche la grande attenzione del governo e del popolo italiano nei confronti della nostra causa».
«Abbiamo ricevuto telefonate da persone che si presentavano come agenti dell´intelligence che ci hanno minacciato e una volta mi hanno convocato nei loro uffici, ma non sono andato», ha aggiunto il maggiore rinnovando da Tabriz, nell´Azerbaijan iraniano, anche un appello a papa Benedetto XVI perché torni a «intervenire e a fare pressione sulla Repubblica islamica per salvare» la madre.
Secondo l´avvocato della donna, Javid Hutan Kian, le preoccupazioni di Sajjad sarebbero tutt´altro che infondate: i servizi segreti iraniani starebbero mettendo sotto pressione due prigionieri politici con lo scopo di costringerli a confessare il falso accusando i figli di Sakineh di aver distribuito manifesti politici antigovernativi per conto loro. Lo stesso Hutan Kian sarebbe in pericolo: la sua casa sarebbe stata perquisita ben due volte in un mese e qualche giorno fa al di fuori del suo ufficio sarebbero state installate telecamere a circuito chiuso. «È stato convocato dalla magistratura per sabato e lì potrebbero arrestarlo», ha concluso Sajjad. Da qui la sua richiesta all´Italia: «così, in caso dovessimo intuire di essere inseguiti dal governo, avremmo un posto nel mondo dove rifugiarci».
Per attivare la procedura d´asilo occorre però che Sajjad e Saideh chiedano che venga riconosciuto loro lo "status di rifugiato" ma al momento, commenta la Farnesina, all´Italia non è giunta alcuna «richiesta formale». Nel caso giungesse sul tavolo dell´esecutivo, verrebbe «esaminata con altri partner europei nell´ambito dei rapporti complessivi Ue-Iran», ha precisato il portavoce del ministero degli Esteri Maurizio Massari ribadendo l´impegno del governo italiano. Del resto è anche grazie alla mobilitazione internazionale guidata da Italia e Francia che la lapidazione fissata a luglio è stata sospesa e Sakineh è ancora viva. Ora, dal braccio speciale del carcere di Tabriz dov´è rinchiusa con altre donne condannate d´adulterio, attende che la magistratura riveda le due accuse e si pronunci definitivamente sul suo caso.

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