Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/10/2010, a pag. 12, la lettera di Fiamma Nirenstein dal titolo " Difendiamo Israele dal boicottaggio di massa". Dal FOGLIO, a pag. I, gli articoli di Benny Morris, Nicoletta Tiliacos, GIulio Meotti titolati " L’Europa ha scelto Israele per espiare il senso di colpa che la devasta ", " Il produttore David Zard spiega che la verità per Israele è condizione per la libertà di tutti " e " Spagna e Inghilterra contro il turismo israeliano. Ecco la black list del boicottaggio ". Dall'OPINIONE, a pag. 12, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Per Israele, per la verità ".
Pubblichiamo, come IC, il commento di Giorgio Israel dal titolo " L'appello di JCall a disertare la maratona è illogico ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Fiamma Nirenstein : " Difendiamo Israele dal boicottaggio di massa "

Fiamma Nirenstein
Caro direttore, ti ringrazio innanzitutto per l'attenzione che il tuo giornale dedica alla maratona oratoria «Per la verità, per Israele», che si svolgerà domani a Roma in piazza di Pietra alle 18.00. È emozionante vedere il numero e la qualità di adesioni raccolte da tutta Europa, da Aznar a Saviano, da Cicchitto a Veltroni, da Ferrara a Mieli, da Raffaele La Capria a Shmuel Trigano, da Nicolai Lilin a Lucio Dalla. Credo che questo avvenga perché la nostra piattaforma è di una limpidezza e di una evidenza totale, lontana da qualsiasi parrocchialismo, del tutto bipartisan. Considero legittimo ogni punto di vista sulla questione israelo-palestinese, nella speranza che gli attuali colloqui di pace portino presto a una soluzione per ambedue i popoli in conflitto, ovvero quella di due Stati per due popoli. Ma la manifestazione si occupa di tutt’altro. Israele è stato trattato in questi anni come un paria, un’entità crudele e asociale, un prepotente fuorilegge la cui vita dunque non vale niente. La religione dei nostri tempi è quella dei diritti umani e chi se ne è fatto in particolare custode dopo la Seconda guerra mondiale è l’Onu. Una misura dello stravolgimento del giudizio su Israele la dà il fatto che questa organizzazione insieme al suo Consiglio per i Diritti umani, dedica l'80% delle sue risoluzioni di condanna, all’unica democrazia in mezzo a un mare di Paesi autoritari e autocratici (a titolo esemplificativo: dalla sua istituzione nel 2006, il Consiglio per i Diritti umani ha dedicato 30 risoluzioni di condanna a Israele, mentre il Sudan, che è il secondo Paese per numero di condanne, ne ha ricevute 7. L’Iran, che impicca gli omosessuali e lapida le donne, nemmeno una). Di Israele vengono boicottati gli intellettuali, gli accademici, i film, le imprese, gli sportivi, gli scienziati che salvano ogni giorno l'umanità con le loro invenzioni, i tecnici che ci danno le migliori innovazioni informatiche. Caro direttore, la nostra manifestazione non c'entra nulla con JCall e forse la lettera di cui si parlava ieri sul tuo giornale è stata scritta da qualche epigono di questa organizzazione troppo implicato in discussioni locali. Peraltro, anche alcuni dei firmatari dell’appello di JCall hanno già annunciato la loro partecipazione all’evento di domani. Noi siamo contro la delegittimazione di Israele e basta. La polemica con JCall avvenne ad aprile e oggi la riteniamo molto lontana. È certo vero che ci sono posizioni diverse sia nel mondo ebraico sia in generale su come vada risolto il conflitto mediorientale. Ma questo non c’entra con il messaggio del 7 ottobre. Invitiamo tutti quanti, naturalmente anche chi si riconosce in JCall, a venire a sostenere la necessità per noi stessi, per la nostra dignità, di cessare di negare a Israele il diritto alla vita. Tutti i giorni si mente su Israele e lo si umilia rovesciando la morale prescelta dalla nostra civiltà, chiamando Stato di apartheid l’unico Paese democratico del Medio Oriente, l’unico che ammette tutte le religioni e tutte le etnie. Rovesciando la morale dei diritti umani, della libertà e della giustizia umiliamo noi stessi.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Benny Morris : " L’Europa ha scelto Israele per espiare il senso di colpa che la devasta "

Benny Morris
Nell’occidente, e in particolare in Europa, tra gli elementi più istruiti della popolazione c’è oggi la tendenza a delegittimare lo stato di Israele. Tale delegittimazione può essere un precursore intellettuale della futura distruzione del paese e potrebbe trasformarsi in una sua giustificazione; essa inoltre è misteriosamente simile al processo di disumanizzazione intellettuale degli ebrei avvenuto in Europa nei secoli che hanno preceduto la loro distruzione fisica da parte dei nazisti e dei loro collaboratori negli stati invasi (ucraini, francesi, belgi, croati e così via).
L’attuale delegittimazione di Israele si fonda su vari pilastri.
Il primo è la crescente distanza cronologica e intellettuale della Shoah. Nel periodo immediatamente successivo alla tragedia, per gli europei sarebbe stato impensabile criticare gli ebrei e, di conseguenza, anche Israele, stato ebraico che in larga misura deve la sua creazione proprio alla Shoah e al senso di colpa che essa aveva provocato nell’occidente (colpevole di non aver fatto nulla per evitarla, al punto che essa costituiva l’epilogo di duemila anni di persecuzioni cristiane contro gli ebrei).
Il secondo è il potere crescente dei musulmani e degli arabi, in senso sia economico, sia politico, sia demografico, anche all’interno degli stati europei. Esso fa sì che gli stati europei, per buone ragioni economiche e politiche, siano inclini a propiziarsi e ad andare incontro al mondo arabo e musulmano in genere. I politici europei, poi, devono tenere in considerazione le rigogliose minoranze musulmane all’interno dei vari paesi.
Una terza ragione per cui Israele viene delegittimato deriva dal senso di colpa di molti europei per come i loro stati hanno trattato i popoli del Terzo mondo nell’era dell’imperialismo e del colonialismo. I belgi hanno massacrato centinaia di migliaia, se non milioni di africani; i tedeschi hanno ucciso decine di migliaia, se non centinaia di migliaia di africani; gli inglesi hanno spadroneggiato e sfruttato svariati milioni di persone in Asia e in Africa.
E i francesi hanno combattuto e ucciso altri milioni di persone. Gli europei proiettano questo senso di colpa per il trattamento riservato ai non europei sull’attuale scena mediorientale; così facendo, a torto, identificano nel mondo arabo i nativi oppressi e sfruttati, e negli israeliani i moderni colonialisti europei. Dimenticano che gli ebrei sono nativi della Palestina esattamente come gli arabi, e che la rivendicazione ebraica sul territorio israelo-palestinese precede di molti secoli la conquista araba della Palestina; lo stesso vale per gli insediamenti ebraici nella Terra di Israele.
Se a definire la legittimità delle rivendicazioni territoriali è il momento in cui è sorto il primo insediamento, allora la rivendicazione ebraica è valida almeno quanto quella araba; se invece il fattore determinante è il momento della conquista, allora le vittorie ebraiche del 1200 avanti Cristo e del 1948/1967 hanno valore cogente esattamente come quelle arabe.
Da ultimo, la delegittimazione di Israele si fonda sul cattivo trattamento riservato da Israele ai palestinesi visti, erroneamente, come parte debole destinata ad avere la peggio nel conflitto in corso. Si tratta di un’illusione ottica. La lotta in corso riguarda Israele e il mondo arabo, che è infinitamente più potente e storicamente è sempre stato più aggressivo della controparte ebraica; i palestinesi inoltre rappresentano solo un piccolo elemento, momentaneamente attivo, di questa grande lotta.
Nel corso dei 130 anni del conflitto, sono stati gli ebrei ad aver proposto accordi e ad aver tentato, a più riprese, di raggiungere un compromesso fondato su di una soluzione territoriale, secondo il modello dei “due stati per due popoli”, come disse Clinton.
Nel 1937, 1947, 1978, 2000 e 2008, i palestinesi (e il mondo arabo più in generale) hanno rifiutato questi compromessi, lasciando Israele in una posizione di semi-occupazione della Cisgiordania e di assedio della Striscia di Gaza. (La maggior parte degli ebrei israeliani non desidera altro che porre fine al controllo su di un altro popolo e raggiungere una soluzione che preveda due stati). Certamente, in vari momenti Israele avrebbe potuto comportarsi in modo più ragionevole e umano.
Ma se contestualizziamo il tutto in un’ottica storicizzante, sul lungo termine, è la parte araba che non si è dimostrata disponibile al compromesso, alla conciliazione e alla flessibilità. Quanti oggi delegittimano Israele, obiettivamente, contribuiscono a promuovere una soluzione del conflitto arabo-israeliano che corrisponde ai vecchi desideri dei nazisti e all’obiettivo che i neo-nazisti, perfettamente incarnati dagli islamisti più feroci, tutt’ora perseguono.
INFORMAZIONE CORRETTA - Giorgio Israel : " L'appello di JCall a disertare la maratona è illogico "

Giorgio Israel
C’è qualcosa di illogico nell’appello dei fautori di Jcall a non partecipare alla manifestazione di domani 7 ottobre “Per la verità, per Israele”. Si dice che le parole d’ordine della manifestazione sono «più che condivisibili» (Jesurum). Il problema sarebbe che nell’appello si tace delle responsabilità che il governo Netanyahu avrebbe nell’impasse dei negoziati con Abu Mazen, e che «il raduno è un intervento a favore della coalizione di centro-destra al governo» in Israele. Quest’ultima parte è un falso totale: l’appello non si occupa delle responsabilità di nessuno, né di quelle del governo Netanyahu né di quelle della parte palestinese. Semplicemente non è un intervento sulla questione del processo di pace, bensì contro la demonizzazione di Israele che sta dilagando in tutto il mondo, con il suo corteo di antisemitismo crescente. Perciò non soltanto si potrebbe replicare che, se si dovesse parlare delle responsabilità del governo Netanyahu, sarebbe corretto anche denunciare quelle dell’altra parte. Ma soprattutto che questo controappello è basato su un falso: far credere che il “raduno” sia in sostegno del governo israeliano di destra, mentre non esiste una sola parola che lasci credere questo. Non a caso ciò ha consentito un’adesione “bipartisan”,
Al falso si somma il non capire (o far finta di non capire?) che la delegittimazione di Israele ha corso da anni, quale che sia il governo al potere in Israele. Forse non aveva corso la stessa identica delegittimazione quando era al potere Kadima e Olmert concedeva praticamente quasi tutto, inclusa Gerusalemme capitale ai palestinesi e la trattativa si arenava sulla solita inconcepibile pretesa di voler far tornare milioni di palestinesi nelle “loro case”? Come si fa a non capire che il vero tema della manifestazione è proprio il fatto che Israele è considerato il “cane randagio” del mondo (parole di Ahmaninejad) qualunque cosa faccia?
Non capire che questa è la posta in gioco non è degno di intellettuali che dovrebbero conoscere le regole elementari della logica e del ragionamento. Per questo, l’intervento volto a dissuadere la gente (in particolare quella di sinistra) a partecipare al “raduno” è un’iniziativa molto brutta, spiacevole, diciamo pure indegna.
Meglio sarebbe stato partecipare, visto che le parole d’ordine erano «più che condivisibili». Poi, in altra sede, sulla valutazione della politica del governo di Israele ci si poteva dividere.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Spagna e Inghilterra contro il turismo israeliano. Ecco la black list del boicottaggio "

Giulio Meotti
Roma. Ieri è arrivato l’annuncio che Gran Bretagna e Spagna non invieranno i propri delegati alla Conferenza biennale sul turismo organizzata dall’Ocse e che il 20 ottobre si terrà a Gerusalemme. Un altro colpo durissimo all’economia israeliana dopo un anno di successi per il boicottaggio anti israeliano. L’estate si è chiusa con l’Harvard Management Company, braccio finanziario della più antica università americana, che ha comunicato d’avere disinvestito 40 milioni di dollari dalle partecipazioni azionarie in società israeliane. Il sindacato francese della Cgt scuola ha votato per rompere le relazioni con l’Histadrut, il sindacato israeliano laburista.
Il Congresso dei sindacati scozzesi ha votato la mozione per il boicottaggio di Israele, così anche la Fédération Autonome Collégial, sindacato di insegnanti pubblici e privati del Quebec, e in Inghilterra l’Unison, il grande sindacato che rappresenta un milione e mezzo di dipendenti pubblici. Anche le chiese protestanti hanno intrapreso passi concreti verso la rottura di ogni legame con i prodotti israeliani (da ultimo è arrivato il boicottaggio della Methodist Church of Britain).
A Bruxelles è stata annullata l’esposizione “La ville blanche, le mouvement moderne a Tel Aviv”, realizzata in onore della capitale finanziaria israeliana. Sul fronte economico, c’è appena stato il ritiro del gruppo francese Veolia dal progetto di costruzione della linea tramviaria di Gerusalemme. Il fondo svedese ha ritirato i propri investimenti dall’azienda israeliana Elbit Systems, perché ha costruito la barriera di protezione in Cisgiordania. Per gli stessi motivi si è mosso il colosso tedesco Deutsche Bank. La banca inglese BlackRock ha ritirato investimenti nelle città ebraiche in Cisgiordania in seguito alle pressioni di tre banche norvegesi che commercializzano prodotti finanziari della BlackRock.
Il centro ospedaliero universitario valdese di Losanna, uno dei principali complessi ospedalieri europei, ha rinunciato al rifornimento di acqua minerale israeliana Eden Springs. Il governo norvegese ha annunciato che il Fondo pensioni ha escluso un gruppo israeliano dal suo “universo di investimento” per motivi etici: “Noi non desideriamo finanziare imprese che contribuiscono alle violazioni dei diritti umani internazionali”, ha dichiarato il ministro delle Finanze norvegese Kristin Halvorsen, promotrice di importanti campagne contro Israele. Oslo ha appena annunciato anche di aver bandito dalle proprie acque i sottomarini del colosso tedesco Howaldtswerke-Deutsche Werft, perché faceva ricorso a mezzi realizzati in Israele.
Il governo di Madrid ha rifiutato all’Università di Ariel, situata nella principale città israeliana in Cisgiordania, la partecipazione a un concorso internazionale organizzato dalla Spagna. Il Belgio ha tagliato gran parte dei rifornimenti di armi destinate all’esercito israeliano. E la lista nera del “made in Israel” non finisce qui.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Per Israele, per la verità "

Dimitri Buffa
Sarà anche vero come dicono Pannella e Bordin che stavolta la manifestazione di Fiamma Nirenstein “Per Israele e e per la verità” è un po’ sbilanciata per la causa del popolo ebraico.
Ma quando nell’arco di una settimana si assiste, nell’ordine, a “Amnesty international” il cui presidente Frank Johanssonn a Helsinki definisce Israele uno “stato feccia”, a barzellette inopportune a destra e a manca sugli ebrei, a Ciarrapico che commette quel po’ po’ di gaffe al Senato con la storia della “kippah ordinata da Fini”, e, last but not last, al sindaco Letizia Moratti, che, magari in perfetta buona fede ma in totale sprovvedutezza, invita il sindaco di hamas di Gaza, Majed Abu Ramadan , a Milano a parlare di pace con altri sindaci israeliani e palestinesi, dimenticando che da quattro e passa anni il caporale Gilad Shalit è tenuto prigioniero dentro il territorio da lui amministrato, ce ne sta a sufficienza per affermare che la maratona oratoria pro Israele, cui aderisce anche Roberto Saviano, viene al momento giusto e al posto giusto.
Si tratta infatti del primo evento europeo, bipartisan contro la menzogna anti israeliana istituzionalizzata. All'incontro sono iscritte a parlare, per un massimo di 5 minuti ognuno, più di ottanta personalità tra politici, intellettuali e artisti da tutta Europa.
Aprirà la manifestazione José Maria Aznar, presidente dell'associazione “Friends of Israel” ed ex primo ministro spagnolo. Oltre a Fiamma Nirenstein, giornalista e deputato, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, e allo scrittore di “Gomorra”, Roberto Saviano, saranno della partita i soliti noti: dal direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, al filosofo francese Shmuel Trigano, al parlamentare europeo olandese Bastiaan Belder e a quello tedesco della SDP Gert Weisskirchen, passando per il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, per il professore e scrittore Giorgio Israele, per i giornalisti Giuseppe Caldarola, Angelo Pezzana, Daniele Scalise, Carlo Panella. Presenzieranno e parleranno anche il produttore di eventi musicali David Zard e Anita Friedman, presidente di “Appuntamento a Gerusalemme”.
Era notizia di oggi che anche l’Università di Londra si accoderà al conformismo di boicottare la ricerca israeliana. Eppure “Haaretz” e “The lancet” pochi giorni fa hanno reso noto che proprio alcuni scienziati israeliani avrebbero messo a punto una cura forse definitiva contro l’Aids. Un peptide che in vitro ha ucciso la molecola del retrovirus. E a distanza di due settimane, senza fare nuove applicazioni, l’Hiv non sarebbe risorto dalle sue ceneri. L’implicazione di una simile scoperta, visto che oramai è un dato acquisito che il vaccino non funziona e non funzionerà mai, è alla portata anche di chi non vuole riconoscere a Israele il proprio ruolo nella comunità internazionale. Dovesse questa scoperta scientifica andare avanti sarà certo più difficile boicottare i prodotti israeliani anche da parte di personaggi come quelli di Info Pal o di Forum Palestina. I quali ultimi, avendo con disappunto appreso che lo scrittore Roberto Saviano presenzierà con un video messaggio alla manifestazione della Nirenstein, non hanno esitato a definirlo “un eroe di carta”. Con accenti che ricordano sinistramente le parole di chi, negli ambienti politici vicini a “Gomorra”, lo aveva per l’appunto etichettato quando il suo successo cominciò a dar fastidio.
La prime vittime di questa campagna di delegittimazione, d’altronde, sono in realtà proprio i singoli . Agli sportivi israeliani è vietato partecipare a gare internazionali e recentemente un gruppo di tennisti ha potuto giocare solo a porte chiuse in Svezia, mentre ad Hannover un gruppo di danza è stato preso a sassate da estremisti di destra e di sinistra. Ai film israeliani viene spesso inibita la partecipazione nelle rassegne internazionali e gli accademici vengono espulsi dalle università. Poi va ricordata la storia del sindacato giornalisti israeliano espulso dalla federazione internazionale della stampa con il voto favorevole dell’Italia e la storia della Coop e della Conad che volevano boicottare i datteri provenienti da Galilea e Samaria. Spesso i giornali accusano il popolo ebraico di infamie: da ultimo il falso “scoop” di un giornale svedese che ha scritto che gli israeliani uccidono i palestinesi per rubane gli organi. Per tutte queste cose e per altre ancora, con buona pace degli intellettuali ebrei di sinistra come Cohn Bendit, e dei radicali che non intendono partecipare alla maratona oratoria di domani, sarà bene invece esserci “per Israele e per la verità”.
Il FOGLIO - Nicoletta Tiliacos : " Il produttore David Zard spiega che la verità per Israele è condizione per la libertà di tutti "

David Zard
Roma. Domani, al Tempio di Adriano, a chiedere che a Israele “assediata da nemici che lo circondano d’odio, terrorismo e missili” sia accordata la verità, ci sarà anche David Zard. E’ lui il produttore musicale che ha portato in Italia Bob Dylan, i Rolling Stones, gli Who, Elton John, i Genesis, David Bowie, Lou Reed, Stevie Wonder, Madonna. Sempre lui, più di recente, ha legato il proprio nome a una serie di spettacoli di grande successo, come “Notre Dame de Paris”. Ma prima che tutto questo accadesse, Zard è stato un ebreo libico ventiquattrenne fuggito in Italia due giorni prima che contro la millenaria comunità del suo paese si scatenasse un pogrom sanguinoso (“uccideteli tutti”, era stato l’invito lanciato ai libici dalla radio egiziana, in concomitanza con la Guerra dei sei giorni). Era il giugno del 1967, racconta Zard al Foglio, “e un amico avvertì mio zio che il mio nome era in cima alla lista di quelli da fare fuori. Avevo mandato pubblicamente a quel paese chi mi diceva che Nasser stava per buttare a mare tutti gli israeliani”.
Abituato alla franchezza, anche quando i prezzi da pagare rischiano di essere alti, Zard pensa che “appoggiare Israele è necessario per tutti. L’occidente sta rischiando grosso, perché non si rende conto che è in atto una invasione da parte, non tanto dell’islam, quanto di chi ha deciso di usarlo a fini di conquista. Quando leggo che al Qaida paga le donne per mettersi il burqa in certi luoghi dei Balcani, o che semina fondi per costruire moschee ovunque, mi chiedo come si possa non allarmarsi”.
Chiedere la verità su Israele significa allora “non accettare che si possa proclamare senza replica che il Tempio di Salomone non è mai esistito. Anche certe organizzazioni pro-palestinesi non islamiche diffondono un sacco di idiozie. Ho deciso di scrivere al sito di una di queste associazioni. Dico che Israele non può essere considerato invasore nella propria terra. Dico anche che basterebbe una minuscola quota dei beni che gli emiri investono nel mondo per evitare ai loro popoli di emigrare in Europa, senza contare i fondi immensi che sono stati riversati sulla Palestina e che non servono al bene del popolo palestinese ma alla ricchezza dei suoi capi”. A questo proposito, Zard rievoca in modo piuttosto colorito “un incontro casuale, che mi capitò a Parigi, dalle parti del Faubourg Saint-Honoré, con quella che di lì a poco sarebbe diventata la vedova di Arafat. Mancava qualche giorno a Natale, e lei usciva dal negozio di Hermès con diciassette carrelli stracolmi”.
Oggi Zard dice che “Israele è una scusa. E’ la solita, eterna scusa che gli arabi avanzano per giustificare la sempre più chiara azione di conquista politica ed economica del mondo. Chi critica Israele non sa che un arabo che vuole comprare un terreno a Tel Aviv può farlo, mentre un israeliano che volesse comprare un terreno in territorio palestinese non potrebbe. Lasciamo stare gli ebrei, ma nessun europeo può acquistare un terreno, né in Arabia Saudita né nella maggioranza degli altri paesi arabi.
Al massimo, la terra si affitta o si prende in comodato, ma non si vende a chi non sia arabo. Da noi arriva lo sceicco e si compra il Dorchester, oppure l’Hotel Principe di Piemonte”. Da grande impresario, Zard ha a che fare con stelle di prima grandezza, sempre disponibili a mettere nome e faccia su cause più o meno degne: “Ma il terrorismo, da una parte, e il capitale (ovvero gli ingaggi fantasmagorici che ora certi paesi arabi possono offrire agli artisti) invitano molti, per non dire tutti, alla prudenza, alla freddezza.
Chi glielo fa fare, a spendere una parola per Israele? Meglio non schierarsi, meglio tirare a campare. Qualcuno ha mai fatto il calcolo di quanto costa – in termini di ore di lavoro perso, di risorse, di vita – mettere in atto le misure antiterrorismo alle quali siamo costretti, negli aeroporti e altrove? Eppure il mondo sopporta, non si lamenta e non accusa”. Un’infanzia e un’adolescenza vissute in un paese arabo, dice Zard, lo hanno vaccinato contro qualsiasi tipo di generalizzazione dal sapore razzista: “Gli arabi sono bravissima gente. E’ il fanatismo, è l’indottrinamento a devastare la situazione. Sono i loro gerarchi, i loro emiri, i loro dittatori che usano fanatismo e indottrinamento, in primo luogo contro i loro stessi popoli.
Hanno bisogno di farlo per giustificare la loro immensa ricchezza e la grande povertà dei loro sudditi”. “Sono tutte monarchie non democratiche – prosegue Zard – infatti anche quelle che in teoria dovrebbero essere repubbliche. Come si spiegherebbe altrimenti la linea strettamente ereditaria che porterà al potere il figlio di Mubarak, in Egitto, e a suo tempo portò anche quello di Gheddafi, in Libia?”.
Zard non minimizza la “scorrettezza politica” delle sue affermazioni, ma pensa che certe cose vadano dette: “Ho vissuto in un paese arabo e so come funziona da quelle parti. Anche prima di Gheddafi, la Libia era uno stato antisemita, e noi ebrei, che pure stavamo lì da tempo immemorabile, non avevamo alcune libertà elementari. Siamo stati espropriati di tutti i nostri beni, in Libia e in tutti gli stati arabi. Noi ebrei ci trovavamo in Libia da oltre duemila anni. Ci sono prove evidenti, come certe vecchie sinagoghe romane nel deserto. E c’è addirittura la tradizione che indica nella popolazione berbera una comunità di ebrei convertiti a forza”.
Se Zard non fatica a dire quel che pensa senza troppi complimenti, è probabilmente per via di un’esperienza che, più ancora del pogrom contro la sua comunità nel paese natale, gli ha marchiato indelebilmente l’esistenza: “Avevo più o meno venticinque anni ed ero arrivato in Israele dall’Italia per fare il servizio militare. Alla visita di leva però mi scoprirono una pleurite perforante e mi mandarono in un sanatorio a Sfad, tra il Golan e il lago di Tiberiade. Un giorno, vedo arrivare moltissime ambulanze, da cui uscivano barelle con decine di bambini dilaniati.
Era stato attaccato lo scuolabus di un villaggio ebraico a ridosso del Libano. E’ stato un trauma spaventoso, ed è la cosa che mi ha cambiato per sempre la vita”. Anche per questo, Zard pensa che “se c’è oggi un popolo al mondo che vuole la pace, quello è il popolo di Israele. Ma il popolo di Israele non è più disposto ad accettare compromessi autolesionisti. Mi era stato offerto di organizzare un grande evento per festeggiare i quarant’anni dell’ascesa al potere di Gheddafi. ‘Torna a Tripoli, torna in Libia da libico’, mi era stato detto, ‘avrai grandi capitali a disposizione e carta bianca per organizzare qualcosa di indimenticabile’. Io avevo promesso a me stesso che in Libia non sarei più tornato (l’unica ragione per farlo, e cioè visitare la tomba di mio padre, non esisteva più, visto che il cimitero ebraico era stato distrutto), ma in ogni caso domandai: se torno, avrò davvero tutti i diritti di un libico? La risposta è stata: ‘Ma che pretendi? Sei ebreo’”.
Zard dice che in Italia ha potuto conoscere la libertà, “mentre prima non sapevo che cosa fosse, e una volta conosciuto il sapore della libertà non è possibile farne a meno, anche se in Italia mi sono successe cose complicate, le molotov ai concerti, le accuse di essere un torturatore di palestinesi (figuriamoci), i pamphlet ostili. Non importa. Non difendere Israele, accettare che sia seppellita di bugie, va contro la libertà di tutti. Israele è un baluardo per la libertà di tutto l’occidente”.
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