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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero-La Stampa-L'Unità Rassegna Stampa
26.09.2010 Moratoria, l'ospite inatteso: Hamas. Da che parte starà Abu Mazen ?
Il commento di Angelo Pezzana, la cronaca di Maurizio Molinari, Udg intervista Nabil Shaath

Testata:Libero-La Stampa-L'Unità
Autore: Angelo Pezzana-Maurizio Molinari-Umberto De Giovannangeli
Titolo: «I terroristi di Hamas pronti al dialogo. Ma fanno i 'santerelli' per sedersi al tavolo della pace-Abu Mazen, scegliete fra pace o colonie-Se ora falliamo presto sarà guerra»

Oggi, 26/09/2010, scade la moratoria di 10 mesi sulle costruzioni. Riprendiamo il commento di Angelo Pezzana, su LIBERO a pag. 20, la cronaca di Maurizio Molinari sulla STAMPA a pag.17, l'intervista a Nabil Shaaath di Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' a pag.33, preceduto da un nostro commento.

Libero-Angelo Pezzana: " I terroristi di Hamas pronti al dialogo. Ma fanno i 'santerelli' per sedersi al tavolo della pace "


Khaled Mashaal con Ahmadinejad, Abu Mazen, Bibi Netanyahu

Sul palcoscenico, dove va in scena il conflitto israelo-palestinese, dove Bibi Netanyahu e Abu Mazen dovranno decidere oggi se i colloqui proseguono oppure si fermano – tutto dipende se la moratoria finisce e riprendono le costruzioni in Cisgiordania e se non vi saranno altre precondizioni da parte palestinese – sta per presentarsi un nuovo attore, del tutto inatteso, Hamas. E’ quel che si apprende da uno scarno comunicato emesso a Damasco ieri pomeriggio, nel quale Hamas e Fatah annunciano di aver trovato un accordo “ a sostegno degli sforzi egiziani per ridurre lo scisma fra i due gruppi che mina la causa palestinese “. Come si vede, accordo non lo si può proprio definire, diciamo che il capo di Hamas, Khaled Mashaal, ospite da sempre in Siria, da dove coordina le attività terroristiche a Gaza, e un funzionario di Fatah, Azzam a-Ahmed, hanno deciso di incontrarsi per esaminare i molti problemi che dividono i due movimenti, per cercare di capire se una soluzione può essere trovata. Un incontro che avviene, non a caso, alla vigilia di una importante decisione che Abu Mazen, assente a Damasco, dovrà prendere oggi: continuare oppure interrompere i colloqui con Israele. Il fatto che l’incontro si sia svolto a Damasco, e la partecipazione del leader maximo di Hamas, mentre Fatah era rappresentato soltanto da un funzionario, lascia capire che l’interesse maggiore sta dalla parte di Hamas, un tentativo di rientrare da protagonista nelle trattative sul futuro stato palestinese. In Israele non viene data eccessiva importanza all’iniziativa, una cautela che deve aver trovato d’accordo anche Abu Mazen, che si è fatto rappresentare, pur sottoscrivendo la volontà di superare la divisione. Ma una cosa sono i desideri, un’altra la realtà. Hamas ha preso il potere a Gaza con un colpo di stato, è responsabile di una serie di eliminazioni fisiche di dirigenti di Fatah tale da essere oggi il nemico più grande dell’Autorità palestinese. In più, è totalmente contraria a qualsiasi accordo con Israele, del quale non pronuncia neppure il nome. E’ l’entità sionista, che va cancellata dalle carte geografiche, la stessa posizione dell’Iran di Ahmadinejad. Abu Mazen si trova di fronte a un bivio: proseguire i colloqui con Israele, accettando i compromessi inevitabili, così come dovrà fare anche Netanyahu, oppure accordarsi con Hamas, il che può solo significare oggi condividerne le posizioni estremiste, contrarie a qualsiasi pace con Israele. Se fino a ieri i segnali erano confusi, tali da non permettere di capire verso quale parte stavano andando Bibi e Abu Mazen, l’incontro di Damasco, la scelta della capitale siriana è significativa, introduce un elemento che sarebbe da ingenui considerare, di per sé, positivo. Hamas si è sentito tagliato fuori da un possibile nuovo scenario, con l’Anp nella veste di protagonista. L’idea che un accordo con Israele possa essere raggiunto, lo ha spinto ad un passo che tutto è tranne che credibile. A meno che non rinunci ad essere Hamas.

 La Stampa-Maurizio Molinari: " Abu Mazen, scegliete fra pace o colonie "

 
Hillary Clinton

Hillary Clinton lotta contro il tempo per salvare il negoziato di pace in Medio Oriente. Alle 18,06 di oggi, ora di Gerusalemme, scade l’anno di moratoria sulla costruzione degli insediamenti in Cisgiordania dichiarato dal governo di Benjamin Netanyahu e in assenza di un rinnovo i palestinesi di Abu Mazen lasceranno i colloqui. Per scongiurare la rottura Hillary ha incontrato Abu Mazen nella notte di venerdì e poi ancora ieri pomeriggio mentre il mediatore Usa George Mitchell vedeva Ehud Barak, ministro della Difesa di Israele, e il consigliere legale Yitzhak Molcho.
La spola di colloqui si è protratta fino a tarda notte fra la sede dell’Onu e il Waldorf Astoria Hotel, sede della delegazione americana, ma i portavoce del Dipartimento di Stato ammettono a denti stretti che l’intesa ancora non c’è.
A riassumere la mediazione Usa è Jeffrey Feltman, assistente di Hillary per il Medio Oriente, quando dice: «I contatti sono molto intensi, chiediamo a Israele di estendere la moratoria e ai palestinesi di non abbandonare i colloqui». Il problema sta nel fatto che Netanyahu rischia una crisi di governo - a causa dell’uscita dei partiti di estrema destra - se in cambio del rinnovo non otterrà qualcosa e così l’ipotesi che ha avanzato è quella di limitare la moratoria alla creazione di nuovi insediamenti, escludendo la crescita naturale di quelli già esistenti secondo una formulazione che risale alle intese Bush-Sharon del 2005. Ma Abu Mazen rifiuta tale compromesso e incarica il consigliere Nabil Abu Rudeina di far sapere a Hillary: «Rifiutiamo qualsiasi soluzione parziale, la moratoria deve essere totale in tutti i Territori, inclusa Gerusalemme». «Israele deve scegliere fra la pace e le colonie», aggiunge il leader dell’Anp. L’altra ipotesi di compromesso, suggerita da Mitchell, è un rinnovo della moratoria totale di 2 o 3 mesi ma in questo caso ad opporsi è Benjamin Netanyahu.
Come se non bastasse, Hillary si è trovata di fronte ad un ostacolo inatteso quando da Damasco è arrivata notizia della ripresa dei colloqui fra Al Fatah - il partito di Abu Mazen al governo in Cisgiordania - e Hamas, che controlla la Striscia Gaza. Sono stati gli egiziani a renderlo possibile e una dichiarazione congiunta Fatah-Hamas parla di «passi compiuti verso la riconciliazione». Ma gli Stati Uniti si sono sentiti scavalcati dalla mossa a sorpresa egiziano-palestinese che ha rimesso in gioco i fondamentalisti di Hamas, alleati di Teheran nonché considerati da Israele e Washington un’organizzazione terroristica.
Parlando dal podio dell’Assemblea Generale dell’Onu, Abu Mazen ha criticato duramente Israele per le «storiche ingiustizie subite dal nostro popolo» accusandola di aver «distrutto il 25 per cento delle case di Gaza» ma ha aggiunto che «la nostra mano ferita è ancora capace di tendere il ramoscello d’ulivo».

L'Unità-Umberto De Giovannangeli: " Se ora falliamo presto sarà guerra "


Nabil Shaath

E' sempre utile conoscere le posizioni dell'Anp. Peccato che le interviste di Udg non facciano altro che replicare cose già note. Il problema dell'UNITA' sta come sempre nel porre domande scontate, che non spingono l'intervistato ad entrare nel vivo del problema. Perchè Udg non gli ha chiesto dell'incontro a Damasco organizzato da Khaled Mashaal, al quale non è andato Abu Mazen, ma ha comunque mandato un suo funzionario ? l'Anp gioca su due tavoli ? Quali garanzie possono arrivare a Israele per quanto riguarda la sicurezza da un accordo con Hamas che non solo non riconosce a Israele il diritto all'esistenza, ma si propone la sua distruzione ?
Erano queste le domande da fare a Nabil Shaath , ma Udg si ben guardato dal fargliele.
Ecco l'intervista:

Una corsa contro il tempo. La cui posta in gioco va ben al di là del proseguo di quei negoziati diretti israelo-palestinesi fortemente voluti da Barack Obama. La posta in gioco l’ha indicata re Abdallah II di Giordania: «Se dovessimo fallire la prova del 26 settembre, una nuova guerra scoppierà entro l’anno e altre guerre nella regione nei prossimi anni». Il 26 settembre. Il giorno della verità. Il giorno in cui scade la moratoria sulla costruzione di nuove abitazioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. La diplomazia internazionale si muove per evitare una rottura esiziale. Si muove sull’asse New York-Gerusalemme-Ramallah. Nel campo palestinese, ad affiancare il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) c’è l’uomo dei momenti che fanno la Storia, protagonista del disgelo tra l’Olp e Israele che portò agli Accordi di Oslo-Washington: l’ex ministro degli Esteri dell’Anp, Nabil Shaath. «Re Abdallah ha colto il punto –dice Shaath a l’Unità–. Sull’estensione della moratoria sulla costruzione degli insediamenti si misura la reale volontà d’Israele di dare contenuto e prospettiva al negoziato Una cosa è certa: se il dialogo non fa sostanziali passi in avanti, l’alternativa non sarà il mantenimento dell’attuale status quo,maun precipitare degli avvenimenti. Sì, siamo davvero adun bivio».Da Israele giungono notizie di una disponibilità da parte di Netanyahu a un «compromesso » sul congelamento. Shaath è scettico: «Lo stop totale alla colonizzazione dei Territori –afferma– non è una concessione ai palestinesi, perché a chiederla è l’intera Comunità internazionale, come ha ribadito nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu il presidente Obama. Non è più tempo di mezze misure o di rinvii. Pace e colonizzazione sono tra loro antitetiche. Sta a Israele scegliere». «Per quanto ci riguarda –ribadisce Shaath– il nostro obiettivo strategico è quello di raggiungere un accordo fondato su due Stati, Palestina e Israele, uno a fianco all’altro in pace, sicurezza, sullo stesso piano di uguaglianza. Sappiamo che la pace non è a costo zero e siamo pronti a fare la nostra parte. Lo stesso chiediamo a Israele».
Oggi scade la moratoria sugli insediamenti decisa da Israele. Qual è in merito la posizione dell’Anp?
«Quella ribadita anche in queste ore dal presidente Abbas: l’estensione della moratoria è condizione imprescindibile per proseguire i negoziati. Edessa deve riguardare anche Gerusalemme Est. Non si tratta di un diktat dell’ultim’ora, perché questa richiesta era nota a tutti già prima dell’avvio dei negoziati a Washington lo scorso 2settembre. Se si vuole rafforzare la fiducia reciproca e dareuna prospettiva al dialogo, questo è un passaggio cruciale, come ha ribadito con chiarezza lo stesso presidente Obama nel suo discorso alle Nazioni Unite».
Mentre parliamo sono in corso frenetiche consultazioni ai massimi livelli. C’è la consapevolezza della posta in gioco?
«Spero di sì. Perché una rottura oggi diverrebbe irreparabile. E il vuoto sarebbe riempito da quanti lavorano contro la pace. Voglio essere ancora più chiaro: l’alternativa al fallimento del negoziato non è il mantenimento, impossibile, dell’attuale status quo,ma il precipitare della situazione che porterebbe ad una destabilizzazione dell’intero Medio Oriente».
I falchi presenti nel Governo israelianosi sono detti contrari ad una proroga della moratoria.
«A Washington il premier israeliano ha affermato di essere pronto a “sacrifici” pur di raggiungere unapace nella sicurezza. Ebbene, la sicurezza non ha niente a che vedere con la colonizzazione. Per Netanyahu è giunto ilmomento della verità. E del coraggio di scelte impegnative ».
A  Washington il primo ministro Netanyahu ha chiesto ai palestinesi di riconoscere Israele in quanto“Stato ebraico”. Qual è in merito la sua posizione?
«Israele può definirsi come crede, ma non può chiederci di riconoscerlo come Stato ebraico per definizione. Vorrebbe dire rinunciare a qualsiasi trattativa sul “diritto al ritorno” (dei profughi palestinesi e dei loro discendenti costretti alla diaspora a partire dalla Guerra del 1948, ndr) e, cosa non meno importante, sarebbe un pericolo per i diritti dei cittadini arabo-israeliani (1.500.000 persone, il 22% della popolazione d’Israele, ndr)».
A proposito di falchi. Nel campo palestinese, Hamas ha attaccato frontalmente Abu Mazen per aver accettato di negoziare.
«E quale sarebbe l’alternativa proposta al popolo palestinese da Hamas? Lo scontro frontale? Ma è proprio quello che vogliono i falchi israeliani. Noi siamo per il negoziato, ma per un negoziato serio, che affronti tutti i nodi di un accordo globale di pace, nessuno escluso. Questo non è cedimento al nemico, ma esercitare una responsabilità nazionale. Ma con la stessa nettezza, aggiungiamo che nonsiamo perunaccordo di facciata. Per questo continuo a ritenere che sia necessario rivedere radicalmente la priorità dell’agenda dei negoziati, mettendo al primo posto la questione dei confini. La loro definizione porta con sé il futuro stesso degli insediamenti».
Cosa significa questo?
«Possiamo negoziare una modifica limitata delle Linee di confine del 1967, sulla base di uno scambio concordato di territori. Ma, è bene sottolinearlo, questo può valere per una percentuale contenuta e comunque deve essere chiaro che uno Stato indipendente deve avere il controllo totale del suo territorio. Il che significa, niente insediamenti ».
Nel suo intervento alle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha affermato che se ognuno farà la sua parte, il prossimo anno all’Assemblea Generale dell’Onu potrà esserci uno Stato in più: lo Stato di Palestina.....
«Anch’io lo credo possibile, ma la cosa più importante è che lo affermi il presidente degli Stati Uniti, il quale ha giustamente fatto della questione palestinese una delle sue priorità nell’agenda internazionale, certamente di quella mediorientale. Vede, hoormai accumulato una lunga esperienza in fatto di negoziati. E di una cosa sono fermamente convinto: su ogni questione cruciale il compromesso è già scritto. Ciò che conta è la volontà politica. È il coraggio delle leadership. Questo è il vero banco di prova. Per tutti».

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