Domani 26 settembre 2010 scade la moratoria delle costruzione in Cisgiordania. Intorno a questa data si è fatta molta confusione, come se la nascita di uno stato palestinese dipendesse da questa pre-condizione invece che da un accordo definitivo fra le parti.
Un accordo che Abu Mazen non sembra intenzionato a realizzare per i motivi che i nostri lettori conocono bene. Un compromesso ci sarebbe, la ripresa delle costruzioni soltanto nelle città che entreranno a far parte di Israele, un fatto sul quale Abu Mazen dovrà essere d'accordo, è lo scambio di territori, senza il quale non ci sarà mai nessuna fine del conflitto. Ma Abu Mazen tiene duro, vuole vincere prima di entrare in merito all'accordo di pace. Il nodo è quello.
Il giornali di oggi riprendono tutti i temi già descritti nei giorni scorsi.
IL FOGLIO pubblica un editoriale possibilista, che riprendiamo. LIBERO, con Glauco Maggi da New York, passa in rassegna in modo accurato la situazione, lo stesso fa Alberto Stabile su REPUBBLICA, anche se termina l'articolo con un poco approppriato riferimento a Gaza. Sul SOLE24ORE, l'analisi di Ugo Tramballi, come sempre ostile a Israele, con affermazioni false, come dimostriamo più avanti riportando l'intero articolo.
Il Foglio-Il buon compromesso di Netanyahu

Il governo israeliano ha lasciato che fosse una fonte anonima a rivelare la disponibilità a un accordo sugli insediamenti nei territori palestinesi. Domani scade il termine del congelamento di dieci mesi concordato dal primo ministro di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, con gli Stati Uniti e posto come precondizione fondamentale per l’inizio delle trattative fra israeliani e palestinesi. Nel momento stesso in cui firmava l’accordo, Netanyahu sapeva che i problemi per il suo governo e per il processo di pace erano soltanto rimandati. Ora che si avvicina il redde rationem, il primo ministro cerca un compromesso per salvare capra e cavoli. Se deciderà di prolungare la moratoria sulle costruzioni, i partiti più conservatori della coalizione – che considerano gli insediamenti un valore non negoziabile – potrebbero metterlo in minoranza. Daniel Dayan, il presidente del Consiglio di Yesha, lo ha detto in modo minaccioso: “Il suo esecutivo non durerebbe a lungo”. Se non accetterà le condizioni per cui l’Amministrazione Obama ha lavorato a lungo, i colloqui diretti con i palestinesi saranno interrotti senza appello a meno di un mese dal loro inizio alla Casa Bianca. Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, non offre margini di trattativa su questo punto. Ieri Netanyahu ha chiesto all’inviato del governo a Washington, Yitzhak Molcho, di estendere la sua missione americana per raggiungere un accordo accettabile anche in patria. Il primo ministro sta lavorando per un compromesso ragionevole che tenga conto delle esigenze di stabilità sia interne che esterne. In più, c’è il fattore americano. Un freddo calcolo dice che Netanyahu otterrebbe in entrambi i casi un risultato politico, ma in caso di una riapertura dei cantieri israeliani Washington incasserebbe una sconfitta senza nessuna contropartita: gli sforzi per riaprire un dialogo già fragile di per sé verrebbero vanificati in un giorno. E di questo Netanyahu non può non tenere conto.
IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Quei cantieri delle colonie mai veramente congelati "
Tramballi, non si smentisce. Imposta tutto l'articolo sulla responsabilità di Israele nel caso in cui decidesse di riprendere le costruzioni. Arriva persino a scrivere che i palestinesi, cioè Abu Mazen, sarebbero d'accordo con una ripresa parziale delle costruzioni, in quelle città che resteranno sotto la sovranità israeliana dopo lo scambio dei territori.
Una affermazione ufficiale che Abu Mazen non ha mai fatto.
Lo scrive persino lo stesso SOLE24ORE in una breve proprio sopra il pezzo di Tramballi, con il titolo " No palestinese a compromessi sulle nuove case ". Ma a Tramballi questo interessa poco, per lui conta presentare Israele in una luce negativa.
Come hanno fatto peraltro oggi anche Il MANIFESTO, con Michele Giorgio, che focalizza la situazione su un possibile rilascio di Jonathan Pollard, quale scambio con la prosecuzione del congelamento. Umberto De Giovannageli, sull'UNITA', secondo una vecchi tattica sovietica, ignora il no palestinese a qualunque compromesso e cita soltanto quanti in Israele vi si oppongono. In questo modo il lettore del quotidiano-cugino vede Israele come l'unico ostacolo alla pace.
Ecco l'articolo:

Ugo Tramballi
«Erano anni che non vedevamo un boom edilizio come questo» constata Chaim Makovsky. Si riferisce all'insediamento a sud di Betlemme, che ha fondato e che abita da quasi 40 anni. Ma è come se lo sguardo andasse a tutte le colonie della Cisgiordania. Non c'è insediamento fra i 127 della Cisgiordania in cui una gru e qualche macchina scavatrice non rivelassero attività edilizie, in tutti i 10 mesi di moratoria.
La vacanza è finita, se ce n'è stata una. Salvo decisioni politiche diverse, domani scade il congelamento delle colonie nei territori occupati palestinesi. E lunedì si potrà continuare a edificare senza alcuna restrizione. Yesha, il movimento dei coloni, sostiene di essere pronta a costruire - subito - duemila unità senza alcuna autorizzazione; 13mila seguiranno quasi immediatamente e di altre 4.500 i progetti sono pronti. Peace Now, il più antico movimento pacifista d'Israele, conferma. «Ogni discussione su un compromesso è irrealistica» ammette il suo segretario generale Yariv Oppenheimer.
Il problema è il dialogo diretto di pace iniziato meno di un mese fa; è la minaccia palestinese d'interromperlo; sono le parole di Barack Obama all'Onu nemmeno 48 ore fa: stato palestinese l'anno prossimo e «la moratoria è una buona cosa». Come se non ci fosse tutto questo; come se non fossero in gioco i rapporti fra Israele e il principale garante della sua sicurezza, gli Stati Uniti; come se i timori manifestati ieri dal re giordano Abdullah di una guerra regionale in caso di fallimento del dialogo, fossero parole vuote. Chaim Makovsky è lo stesso uomo rilassato e certo delle sue idee nazional-bibliche, incontrato 10 mesi fa a Neve Daniel. C'è in lui come un senso di vittoria. Anche Danny Dayan, il presidente di Yesha, affronta del problema il solo aspetto economico: «Riprenderemo a costruire circa tremila case l'anno. Dipende dal mercato».
Il boom edilizio davanti agli occhi di Chaim Makovsky è confermato dai dati. Secondo l'Ufficio centrale di statistica, dal 2006 al 2008 sono state costruite tremila case l'anno. Nei 10 mesi di moratoria 750 di più. Tecnicamente il governo israeliano non ha violato gli accordi: sapendo dell'imminenza del congelamento, nel 2009 i coloni avevano chiesto molte più autorizzazioni. Anche a Neve Daniel si è costruito solo quello che era stato approvato prima della moratoria. Ciò che ha fatto Bibi Netanyahu, scontentando gli alleati e i suoi elettori di destra, è notevole per le vecchie abitudini israeliane.
«I soli negoziati di pace», diceva una volta Moshe Dayan, «sono quelli nei quali noi c'insediamo e costruiamo, c'insediamo e di tanto in tanto andiamo in guerra». Ma è molto lontano da quello che gli chiedono Barack Obama e la comunità internazionale.
Con coraggio e con furbizia Bibi ha giocato sul tavolo della pace e su quello degli israeliani con i muscoli che gli garantiscono la tenuta del governo. Dodici ministri del suo esecutivo hanno dichiarato di essere contro ogni altra moratoria. Ora deve decidere da quale parte stare: fra i premier, nessuno dei suoi predecessori ha mai scelto di sacrificare quella parte materiale, fisica del sionismo sintetizzata da Moshe Dayan: l'occupazione e la colonizzazione della terra.
Qualche settimana fa Dan Meridor, uno dei pochi moderati rimasti nel Likud, aveva proposto l'unico compromesso possibile: riprendere le costruzioni solo nei blocchi d'insediamenti vicini alla frontiera che negli accordi di pace Israele annetterà in cambio della concessione ai palestinesi di un territorio equivalente. È la maggioranza delle colonie. Dieci mesi fa i palestinesi erano contrari, ora sarebbero d'accordo. Un'altra idea del ministro della Difesa, il laburista Ehud Barak, è rendere impossibile il processo burocratico, già complesso, delle concessioni edilizie. L'amministrazione civile nei territori è controllata dai militari. La moratoria continuerebbe nei fatti senza doverlo dichiarare. Il problema è di volontà politica, non di mezzi. Se l'«interesse nazionale» richiede di continuare il congelamento, lo si può fare in molti modi. Il problema è appunto politico. «Teoricamente», dice il presidente di Yesha Danny Dayan, «domani potrebbe essere presa una decisione di continuare la moratoria. Ma la realtà politica non lo permette».
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