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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
24.09.2010 Ahmadinejad all'Onu attacca Usa e Israele. Obama tiene ancora la mano tesa
Perchè? Commenti di Fiamma Nirenstein, Carlo Panella

Testata:Il Giornale - Libero
Autore: Fiamma Nirenstein - Carlo Panella
Titolo: «L'Obama pallido che rafforza l'Iran - Obama parla col tiranno. E quello esce dall’aula»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 24/09/2010, a pag. 1-14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " L'Obama pallido che rafforza l'Iran ". Da LIBERO, a pag. 1-19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Obama parla col tiranno. E quello esce dall’aula ".

 Le cronache di Alessandra Farkas (Corriere della Sera), Maurizio Molinari (La Stampa), Stefano Magni (L'Opinione) approfondite e  interessanti, sono sicuramente a conoscenza dei nostri lettori.
Ecco i due commenti:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "  L'Obama pallido che rafforza l'Iran "


Fiamma Nirenstein

Per costare 20 miliardi di dollari l’anno, l’Onu è produttivo: riesce infatti a rappresentare veridicamente la pericolosa confusione in cui versa oggi la politica mondiale. A ogni Assemblea Generale, la cui maggioranza è costituita da Stati non democratici, gli Stati Uniti rappresentano sempre agli Stati membri i loro buoni sentimenti, e ieri una quantità enorme di buona volontà è stata disegnata nel discorso di Obama. Il presidente è apparso ispirato da grandi cause umane e civili in maniera un po’ esagerata e astratta: ha dedicato un terzo del suo (...)
(...) tempo alla certezza che entro un anno si possa raggiungere la soluzione del conflitto medio orientale, non si capisce se per irresponsabilità dei suoi consiglieri o per un suo sogno di onnipotenza. Ha opinato “accountability” delle classi dirigenti, società civile al potere, diritti umani, condizione femminile, inizio dello sgombero dell’Afghanistan... E poi ancora; sconfiggeremo Al Qaida; mano tesa con l’Iran, mentre «abbiamo intrapreso una nuova politica mondiale e quindi nessuno si aspetti che gli Usa agiscano autonomamente, solo il rapporto multilaterale col mondo emergente disegnerà la nostra politica».
Manca a questo banchetto di ottime intenzioni un ospite indispensabile: la realtà, lo sfondo praticabile davvero per quella lunga politica di pace che Obama auspica. Fisicamente questa assenza era rappresentata dalla sedia vuota dell’Iran, dato che Ahmadinejad, peraltro molto presente col suo discorso qui e all’assemblea del millennio, ha deciso che i media sarebbero stati più affascinati dalla sua assenza. Occorre qui aggiungere a scanso di equivoci che anche Israele era assente, ma solo perché la festa di Sukkot, ieri al suo secondo giorno, prevede la totale astensione da ogni attività lavorativa, gli spostamenti, l’uso di microfoni.
Questa sessione degli “Obiettivi del Millennio” e dell’Assemblea Generale è stata di fatto angosciosamente dominata da Ahmadinejad, presente col suo inedito linguaggio di odio per la terza volta: il presidente iraniano ha incontrato di fatto grande legittimazione internazionale, nell’indifferenza dell’Onu alla sua aggressività, nel debole discorso in Obama e anche nel sistema di comunicazione degli Usa e dell’Onu (con la foto di Ban Ki Moon e la sua paradossale falsa normalità della stretta di mano), specie con i tappeti rossi offertigli dai famosi programmi di Christiane Amanpour e di Larry King. Sul piano diplomatico, sembra certa l’apertura di un canale segreto fra Usa e Iran, e persino di un possibile incontro faccia a faccia fra Obama e Ahmadinejad, che lo ha appena accusato di essere presidente di un sistema morente e che gli ha promesso, di fatto, una guerra terribile e definitiva se qualcuno cercherà di fermare la preparazione della bomba atomica.
Ahmadinejad è giunto in America carico di problemi e fratture interni, passando prima dalla Siria e preparandosi a un infiammato viaggio in Libano proprio per rafforzare in patria la sua posizione. Ma, paradossalmente, è stato in America che il suo consueto elenco di odio e di bugie (l’attuale governo mondiale, si sottintende dominato dagli Usa, ha detto Ahmadinejad, è causa di tutte le piaghe del mondo; una guerra che coinvolgesse l’Iran vi farebbe pentire di essere nati; Israele sparirà dal Medio Oriente; io antisemita? E quando mai; la Shoah? Una chiacchiera strumentale; Netanyahu, un esperto assassino; la condanna di Sakineh, un’invenzione...) ha trovato legittimazione e quindi il migliore scudo. A casa sua Ahmadinejd fronteggia una situazione in cui il fronte dello scontro si è spostato fra i duri prima uniti contro la richiesta di democrazia della piazza. Adesso che Khamenei pensa che la macchina repressiva abbia vinto, si è schierato contro Ahmadinejad alla testa di clerici e bazaar impoveriti, mentre Ahmadinejad punta su esercito e Guardie della Rivoluzione e sulla fama di stratega che porterà l’Iran alla leadership dell’islam e alla vittoria sugli infedeli. Mentre predicava il suo credo all’Onu, la commissione delle Nazioni Unite incaricata di giudicare l’episodio della flottiglia turca diretta a Gaza, condannava Israele giudicando, mentre tutto il mondo ormai sa che si è trattato di un agguato estremista, che abbia abusato di tutti i diritti possibili. Soprattutto di quello di voler vivere.
www.fiammanirenstein.com

LIBERO - Carlo Panella : " Obama parla col tiranno. E quello esce dall’aula "


Carlo Panella

Debole, debolissimo e confuso, molto confuso: questa è l’impres - sione che ha dato a ieri Obama nel suo secondo discorso annuale all’assemblea generale dell’Onu. Fatta la tara delle frasi di circo- stanza e del cauto ottimismo nei confronti della trattativa tra Israele e la Anp di Abu Mazen e di un velato rimpro- vero ai paesi arabi che non lo sostengono con chiarezza, nonostante le loro roboanti attestazioni di solidarietà con la causa palestinese, il bari- centro politico del suo discor- so è stato l’ennesimo, perden- te, appello all’Iran a riprende- re la strada della trattativa. Appello, accompagnato da una premessa di frontale e inopportuna polemica con George W. Bush che è suona- to anche come una riassicu- razione irresponsabile per gli ayatollah: «Non ci devono es- sere equivoci: il successo della democrazia nel mondo non può giungere perché viene imposto dagli Stati Uniti. De- ve venire perché i cit- tadini chiedono di avere voce in ca- pitolo su come sono governa- ti». Dunque, gli ayatollah e i Pa- sdaran non de- vono temere che Obama faccia loro fare la fine di Sad- dam Hussein, qual- siasi cosa facciano. Non solo, per ingraziarsi i dirigenti di Teheran e riallacciare con lo- ro il dialogo, Obama ha sfio- rato il ridicolo quando ha elencato le tirannie del mon- do: «La tirannia è ancora tra di noi, si manifesta nei talebani che uccidono le ragazze che cercano di andare a scuola, nel regime Nord Coreano che rende schiavo il suo popolo, o nei gruppi armati che nel Congo-Kinshasa usano lo stupro come arma di guerra». E le centinaia di morti fal- ciati nelle strade dalla tirannia di Teheran, e le decine e de- cine di oppositori che sono stati e saranno impiccati a Evin e nelle carceri iraniane perché “Mohareb”, “Nemici di Dio”? Per Obama non esi- stono. Per Obama quella iraniana non è una tirannia da esecra- re (ridicolmente, se non fosse tragicamente, ha citato bande di sciagurati del Congo, pur di non parlare dei Pasdaran), perché ha deciso di ignorare le ragioni degli oppositori ira- niani, pur di tenere accesa la sua immotivata speranza di chiudere un accordo con l’Iran sul nucleare. Obama ha tenuto fermo il timone nei confronti dell’Iran solo nel ri- badire la volontà di difendere l’esistenza dello Stato di Israele. Poco, molto poco, a fronte di una posizione ira- niana di arrogante sfida diret- ta proprio contro gli Usa e personalmente contro di lui. Poco prima del discorso di Obama, infatti, Ahmadinejad è arrivato al punto di porre condizioni beffarde per ri- prendere le trattative: Usa e Onu devono prima condan- nare l’arsenale nucleare israe- liano. Solo nel caso adempia- no a questa condizione umiliante (Israele, come Pa- kistan e India non ha formato il Trat- tato di non Proliferazione che l’Iran invece ha firmato), Teheran si degnerebbe di ri- sedersi al tavolo per trattare. Ma Obama ha fatto finta di non sentire, prigioniero di schemi buonisti, di velleità pacifiste, e soprattutto di una analisi e valutazione assoluta- mente sbagliata dei pericoli del fondamentalismo islami- co (da lui negati e ristretti solo alle “bande di terroristi), che gli stanno facendo sbagliare in toto strategia in Iraq, come in Afghanistan, in polemica ormai frontale con tutto il quadro dirigente delle forze armate Usa (che ormai lo considera una sciagura na- zionale) a iniziare dal mitico generale David H. Petraeus, come ha rivelato Bob Wood- ward, il mitico giornalista del Watergate, in un suo esplosi- vo libro.

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