La notizia dell'ingresso nel Parlamento svedese del Partito di Jimmie Akesson è stata riportata e commentata da tutti i quotidiani italiani. Fatta eccezione per il pezzo di Livio Caputo che riportiamo in questa pagina, tutti utilizzano il termine 'xenofobo' per descrivere Akesson.
Lo stesso sistema utilizzato per screditare Geert Wilders. Agli occhi dei quotidiani italiani cercare di opporsi alla trasformazione di Europa in Eurabia e non essere islamicamente corretti significa essere xenofobi e razzisti.
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 20/09/2010, a pag. 17, l'articolo di Livio Caputo dal titolo " Svezia, l’estrema destra entra in Parlamento ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'intervista di Paolo Salom a Jimmie Akesson dal titolo " Basta dire che siamo razzisti. Per gli stranieri non c’è più posto".
Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - Livio Caputo : " Svezia, l’estrema destra entra in Parlamento"

Livio Caputo
Dopo Gran Bretagna, Ungheria e Cechia, il 2010 ha portato alle destre europee un’altra vittoria: questa però porta con sé conseguenze meno nette perché la coalizione dei quattro partiti «borghesi» guidata dal giovane Fredrik Reinfeldt ha sì ripetuto il successo del 2006 battendo le sinistre, ma mancando di un soffio la maggioranza assoluta nel Parlamento svedese. Il centrodestra si è fermato a 173 seggi su 349, mentre i socialdemocratici e i loro alleati hanno raggiunto quota 156. Per Reinfeldt, quindi, non saranno solo rose e fiori, perché dovrà fare i conti con l’ingresso nel Riksdag, con 20 seggi che sono aritmeticamente decisivi, del nuovo partito della Democrazia svedese guidato dal trentunenne Jimmie Akesson, il cui slogan è «basta immigrati».
Dopo essere stata, per anni, il Paese più accogliente d’Europa, al punto di avere ormai quasi il 20 per cento di abitanti di origine straniera (con una netta prevalenza di musulmani), anche la Svezia ha cioè cominciato a reagire a una invasione che ne minaccia la stabilità: le periferie delle città industriali di Malmoe e Goeteborg si sono trasformate, nel corso degli anni, in veri e propri ghetti dove legge e ordine sono diventate una chimera. Per adesso, sia Reinfeldt, sia la sconfitta leader socialdemocratica Mona Sahlin si sono rifiutati di fare qualsiasi accordo con Akesson, ma il premier non potrà non tenere conto degli umori che ne hanno alimentato l’affermazione, specie se dovesse costituire un governo di minoranza.
Sebbene il partito abbia evitato la disfatta che i sondaggi avevano pronosticato, il risultato rappresenta - secondo lo Svenska Dagbladet - «un chiodo nella bara della socialdemocrazia svedese». Prima di essere estromessa dal potere quattro anni fa, essa aveva governato per 65 degli ultimi 78 anni, creando quella che a suo tempo era stata definita dai suoi ammiratori «la società più armoniosa d’Europa»; una società che, in cambio di una tassazione molto elevata, fornisce servizi sociali dalla culla alla tomba. Per quanto il sistema fosse penalizzante per i cittadini più benestanti, i socialdemocratici erano riusciti a lungo a farlo accettare dal Paese grazie a una politica economica che rifuggiva dalle nazionalizzazioni e lasciava - tutto sommato - ampio spazio al mercato. Solo tre volte in tre quarti di secolo l’opposizione era riuscita a spezzare il loro monopolio del potere, ma nessun governo di centro-destra era durato più di una legislatura.
Il vento è cambiato nel 2006, con la prima vittoria della coalizione guidata da Reinfeldt, che si è messo subito all’opera per adattare il welfare state alle nuove esigenze dell’economia, ridurne gli sprechi e dare più fiato all’iniziativa privata. Una delle sue riforme più importanti è stata la riduzione di un sussidio di disoccupazione troppo elevato per incentivare la ricerca di un nuovo impiego, accompagnata da un taglio delle tasse sui redditi da lavoro dipendente. La crisi globale del 2008 ha interrotto brevemente la sua opera riformatrice, ma il governo è stato abilissimo nel pilotare la ripresa: nell’ultimo anno, la crescita è stata la più forte di tutti i Paesi dell’OCSE, il bilancio sta per tornare in attivo, la disoccupazione è scesa all’8% e la Svezia è salita al secondo posto nella classifica mondiale della competitività. Una moderata svalutazione della corona ha permesso di rilanciare alla grande le esportazioni. Nello stesso tempo, la Svezia ha portato a termine un brillante semestre di presidenza dell’Ue e aumentato il suo peso sulla scena internazionale. L’ulteriore spostamento a destra dell’elettorato svedese è dovuto anche a un graduale cambio di mentalità, che ricalca quello già avvenuto nelle vicine Danimarca e Finlandia: ormai soddisfatti dal livello di welfare raggiunto, gli scandinavi stanno chiedendo sempre più ai loro governanti competenza, rigore e capacità di gestire la globalizzazione, e le hanno trovate più nei duttili politici moderati che nei dogmatici socialisti. Ma tutto questo non è bastato a Reinfeldt per trionfare come sperava. E ora dovrà fare i conti con Akesson.
CORRIERE della SERA - Paolo Salom : " Basta dire che siamo razzisti. Per gli stranieri non c’è più posto "

Jimmie Akesson
STOCCOLMA — «Ora? Ora dovranno smetterla di trattarci da paria e cominciare invece ad ascoltarci». Jimmie Akesson, 31 anni, leader dell’estrema destra parla con calma. Gessato grigio, camicia scarlatta aperta sul collo, non sembra patire i rigori del precoce autunno scandinavo. È soddisfatto: ha guidato un manipolo di Democratici svedesi in Parlamento per la prima volta. Vincente la sua scelta di «ripulire» il partito dagli elementi più impresentabili (vicini alle tesi neonaziste o alla superiorità ariana). Con qualche ammiccamento inevitabile, come lo spot tv che, per giorni, ha mostrato una vecchina (bianca) aggrappata al suo girello travolta, mentre si reca a ritirare la pensione, da un gruppo di giovani musulmane in burqa e con le carrozzine colme di infanti. Spot riuscito e adesso Akesson — novello Martin Lutero — è pronto a declamare le sue «tesi» per riformare la politica nazionale.
L’altro giorno ha affisso simbolicamente le «99 richieste» dei Democratici svedesi all’ingresso del Riksdag. Ritiene che il suo partito avrà la forza di cambiare gli equilibri in Parlamento?
«Penso di sì. Certo ora le due principali alleanze che fanno capo ai moderati e ai socialdemocratici dovranno ascoltare quello che abbiamo da dire». A cosa si riferisce? «La politica sugli immigrati deve cambiare: non si può più andare avanti così. Basta vedere cosa accade nel resto d’Europa. Qui in Svezia siamo messi anche peggio: in percentuale sulla popolazione abbiamo probabilmente il tasso più alto di stranieri».
Lei ha detto che «l’Islam è la minaccia dall’estero più grande per la
Svezia dai tempi della Seconda guerra mondiale» e per questo il suo partito è considerato xenofobo e razzista...
«Non siamo razzisti, non siamo xenofobi. Tutti quelli che avevano posizioni estremiste sono stati da tempo invitati a lasciare il partito. Noi vogliamo semplicemente che l’immigrazione sia limitata in un Paese dove la disoccupazione è al 9%. Anche perché tra gli stranieri il tasso è doppio: che senso ha continuare a farli arrivare?».
Molti sono rifugiati da Paesi in guerra...
«E da noi pesano sul welfare, contribuendo ad affossarlo. Noi voglia-
mo ripristinare il vero welfare svedese, vogliamo che gli svedesi senza lavoro tornino a guadagnare».
Ma i lavori riservati agli stranieri gli svedesi da tempo non li vogliono più fare: netturbini, badanti, taxisti...
«Ora la concorrenza degli stranieri è insuperabile, perché accettano stipendi più bassi. Ma gli svedesi torneranno a cercare quei lavori, anche perché intendiamo cambiare le regole dei sussidi di disoccupazione, rendendoli più difficili da ottenere».
Ritiene di poter entrare in un governo con i moderati?
«Tratteremo il nostro appoggio. Vogliamo che gli altri partiti cambino la loro politica. Quello che conta è che ormai la nostra agenda è diventata l’agenda nazionale. Se non questa volta, al prossimo giro saremo al governo: è una promessa».
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