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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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IlSole24Ore-Il Foglio Rassegna Stampa
18.09.2010 Svezia alle urne: arriverà una sorpresa ?
Il commento di Christian Rocca, l'analisi del Foglio

Testata:IlSole24Ore-Il Foglio
Autore: Christian Rocca- La redazione del Foglio
Titolo: «Svezia, la destra estremista avanza con i fiori in pugno-Nell'Europa dei pareggi politici è l'immigrazione che muove gli elettori»

Domani le elezioni svedesi. IL SOLE24ORE di oggi, 18/09/2010, pubblica a pag.15, un articolo di Christian Rocca, accurato, equilibrato. Chi ha fatto titolo e occhiello non deve averlo letto, perche le due titolazioni ne capovolgono il contenuto. Nessuna 'destra estremista' e niente 'xenofobi', come vorrebbe farci credere il desk esteri del giornale della Confindustria. 
Chiediamo ai nostri lettori di scrivere a Salvatore Carrubba, titolare della rubrica dei lettori  s.carrubba@ilsole24ore.com per protestare contro la scorretta presentazione del pezzo di Rocca.
Corretto il commento del FOGLIO, che pubblichiamo di seguito.

Il Sole24Ore- Christian Rocca: " Svezia, la destra estremista avanza con i fiori in pugno "

 
Jimmy Akesson         Christian Rocca

Il simbolo è una margherita blu e gialla (i colori nazionali di Svezia) piegata leggermente dal vento. Si chiamano Sverigedemokraterna o più semplicemente Sd. Sono i "democratici svedesi", ma con la famiglia dei partiti europei di centrosinistra non hanno niente a che fare. Il leader ha la faccia da bravo ragazzo e gli occhiali da nerd. Jimmie Akesson, 31 anni, è lo spauracchio delle elezioni politiche di domani. Anche la super tollerante Svezia potrebbe avere per la prima volta un partito nazionalista, populista e anti immigrazione al Riksdag, il parlamento del regno di Carlo XVI Gustavo. Lo spot televisivo dei democratici svedesi è da manuale di comunicazione politica. Una vecchietta si avvicina lentamente allo sportello per ritirare la pensione. Alle spalle arriva un gruppo di vocianti donne in burqa. La pensionata svedese è spaventata, prova ad accelerare, appoggiandosi al suo girello. Le musulmane, con le carrozzine piene di neonati, la superano, la travolgono, approfittano dello straordinario welfare state svedese. Il messaggio è chiaro: la pensione prima o poi non ci sarà più. I democratici sognano la fine del progetto multiculturale svedese e immaginano un paese culturalmente più omogeneo. Meno Ibrahimovic, più Johansson. L'allarme è più sui giornali stranieri che nelle preoccupazioni degli svedesi. Siamo comunque in Svezia, un paese civile, ordinato, organizzato. I nazionalisti non urlano, non sbraitano, non sembrano teppisti. In piazza Sergel, nel pieno centro di Stoccolma, stanno fianco a fianco ai comunisti ortodossi, accanto ai verdi, di fronte ai partiti di governo, ai socialdemocratici, agli ex comunisti. Tutti insieme nella stessa piazza a distribuire volantini, a fare comizi, a convincere gli indecisi che a due giorni dal voto sono ancora un milione e mezzo (in un paese di 9 milioni di abitanti). Nessuno screzio, niente facce tese, zero urla. Un paio di poliziotti fanno stancamente il giro di ricognizione della piazza. Davanti ai gazebo di legno, uno per partito, si formano capannelli di persone. Immigrati turchi e di origine africana si fermano a discutere con politici e militanti. Molti ragazzi. I bambini chiedono le caramelle sponsorizzate. Le telecamere e i giornalisti si posizionano soprattutto davanti alla casupola dei nazionalisti, anche perché sono stati esclusi dal dibattito finale trasmesso ieri sera dalla televisione. Il leader Akesson ha organizzato un comizio volante davanti la sede della tv di stato per seguire, rispondere e commentare dal vivo il dibattito che ha seguito su uno schermo gigante. Akesson ha ripulito il partito dalle scorie neonaziste di un tempo. Non c'è più la fiamma nel simbolo, tra gli slogan si sente meno il «manteniamo la Svezia svedese» dei tempi più bui. A scorrere le liste dei candidati c'è però ancora qualche nome dal passato imbarazzante, notano gli svedesi che conoscono la storia politica del paese. «L'accusa di razzismo non sta in piedi - dice al Sole 24 Ore Eric Almqvist, 28 anni, candidato al parlamento e portavoce del partito - nessuna delle nostre proposte è razzista. Vogliamo una società più omogenea dal punto di vista culturale, linguistico e dei valori, non ci interessa il colore della pelle». Camicia bianca, giacca, jeans e cintura Gucci bicolore, Almqvist mostra l'ultimo sondaggio, 7,5% per cento, ben al di sopra dello sbarramento al 4 che finora li ha tenuti fuori dai giochi. I punti del programma sono tre: «Meno immigrazione, maggiore sicurezza, più soldi ai pensionati». Il punto più controverso è quello dell'immigrazione. Il 18% della popolazione svedese è di origini straniere, ma il dato si dimezza se non si considerano gli stranieri di origine scandinava. A Stoccolma ci sono interi quartieri per immigrati. Lo stato investe in scuole e università per favorire l'integrazione. Il portavoce dei democratici svedesi spiega che il problema non sono gli immigrati europei o del sudest asiatico, ma quelli mediorientali e africani: «Con loro c'è uno scontro culturale, non si vogliono integrare». Le posizioni della destra nazionalista svedese sono simili a quelle di altri movimenti populisti e vagamente xenofobi in giro per l'Europa. Il modello è il Partito del popolo danese di Pia Kjærsgaard, ma anche il Partito indipendentista britannico. «Abbiamo avuto qualche incontro con Alleanza nazionale e con la Lega nord - dice il portavoce dei democratici svedesi - ma niente di più, anche perché loro sono molto più radicali di noi». Lo conferma Elias Ericson, militante ventenne del partito: «Siamo pronti ad accogliere chi scappa dai propri paesi perché in pericolo, come gli iraniani e gli iracheni. Non possiamo permetterci quelli che non vogliono diventare parte della nostra società. Costano troppo, creano segregazione, aumentano la disoccupazione». I partiti politici di destra e di sinistra evitano di affrontare il problema, nel timore di essere accusati di razzismo in un paese super tollerante che giudica con sospetto chiunque ponga la questione. Il governo però agisce, quando serve. Qualche mese fa, ha espulso 50 cittadini europei di etnia rom, senza il fracasso provocato in questi giorni dagli annunci roboanti di Nicolas Sarkozy.

Il Foglio- " Nell'Europa dei pareggi politici è l'immigrazione che muove gli elettori "


La bandiera svedese

Parigi. La Svezia non è più la Svezia e anche l’Europa cambia. Nel paese che pochi anni fa era considerato il paradiso liberal del continente, l’Alleanza di centrodestra è pronta a vincere le elezioni di domani. Come se non bastasse, in Parlamento potrebbe entrare un partito anti immigrati. Secondo i sondaggi, i Democratici di Jimmie Akesson toccheranno il 7,5 per cento: sarebbe la loro prima volta al Riksdag. Akesson considera l’immigrazione “la più grande minaccia straniera dalla Seconda guerra mondiale” e vorrebbe ridurre i permessi di ingresso del novanta per cento. Il premier uscente, Fredrik Reinfeldt, teme lo stallo politico. La sua Alleanza di centrodestra è in netto vantaggio sui socialdemocratici, ma i Democratici svedesi possono privarlo della maggioranza assoluta. Votare l’estrema destra, ha spiegato Reinfeldt, “vuol dire scommettere sull’instabilità”. La prospettiva di lavorare con i Democratici non lo esalta, per questo valuta l’idea di un patto con i Verdi. Forte di una crescita economica del 4,6 per cento, Reinfeldt sembrava avviato a un altro trionfo storico, dopo aver cacciato la socialdemocrazia nel 2006. Ma anche in una società accogliente e tollerante come quella svedese, l’immigrazione fa paura, condiziona l’esito delle elezioni e provoca instabilità. “In molti paesi europei – spiega al Foglio Ernesto Galli della Loggia – il panorama politico è sconvolto da partiti schierati contro l’ideologia di Bruxelles”. Che, su immigrazione e rom, privilegia il politicamente corretto anziché la sensibilità degli elettori. Come la Svezia, altri paesi europei fronteggiano lo stallo dovuto all’emergere di partiti anti immigrazione. L’Austria ha avuto Jörg Haider e continua a fare i conti con la sua corposa eredità (rappresentata prima da Fpo, poi da Bzo). Nel 2000, il cancelliere cristianodemocratico Wolfgang Schüssel fu punito dall’Unione europea per essersi alleato a Haider.Da allora, per tenere fuori i partiti anti immigrazione, gli austriaci sono condannati a grandi coalizioni. Lo stesso è avvenuto in Olanda dopo Pim Fortuyn, con gli esecutivi guidati dal cristianodemocratico Jan Peter Balkenende. Ma il voto dello scorso giugno ha innescato un’altra piccola rivoluzione: ora, per la prima volta all’Aia, un partito anti islam è alle soglie del governo. In Olanda, il successo del Partito della libertà nel voto di giugno ha spinto il centrodestra a coinvolgere Geert Wilders nella formazione del nuovo governo. Liberali e cristianodemocratici negoziano con difficoltà la nascita di un esecutivo di minoranza, a cui il Partito della libertà dovrebbe garantire l’appoggio esterno. In cambio, Wilders esige politiche più dure su temi come l’immigrazione e la libertà di espressione sull’islam. E’ un modello già adottato in Danimarca: dal 2001 il Partito popolare appoggia l’esecutivo di centrodestra senza essere al governo. La sua leader, Pia Kjærsgaard, ha ottenuto norme più severe su immigrazione e asilo politico. In Belgio, lo stallo tra fiamminghi e valloni non è estraneo alla geopolitica dell’immigrazione. Dopo anni di cordone sanitario contro l’estrema destra di Vlaams Block, gli elettori si sono rivolti a un nuovo partito più presentabile, ma altrettanto populista: la Nuova Alleanza Fiamminga. Il leader, Bart De Wever, che considera i valloni “immigrati come tutti gli altri che si devono integrare”, rivendica per le Fiandre il diritto di decidere su quote, asilo e nazionalità. Nel Regno Unito, Gordon Brown ha commesso la gaffe fatale quando un’elettrice del Labour gli ha chiesto conto dei troppi immigrati dell’Europa dell’est. Il British National Party ha ottenuto il suo primo seggio alle elezioni europee del 2009, e ora il governo di David Cameron ha annunciato restrizioni alla libera circolazione dei cittadini di nuovi stati membri. In Svizzera, un referendum ha bocciato i nuovi minareti, in Italia la Lega gode di ottima salute. In Svezia, il 14 per cento della popolazione è nato in un altro paese: la comunità di immigrati più grande è quella irachena (82 mila) seguita dai somali (24 mila), che hanno beneficiato di una politica di asilo lassista. Secondo Andrea Johansson Heino, politologo all’Università di Goteborg, “i Democratici svedesi approfittano del fatto di essere l’unico partito politico in Svezia a criticare l’immigrazione”. I partiti tradizionali si sono impantanati nel politicamente corretto, mentre Jimmie Akesson ha visto esplodere i consensi con uno spot televisivo: un pensionato svedese superato da un gruppo di donne in burqa nella corsa per ricevere i sussidi statali.

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