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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
14.09.2010 Sharm el Sheikh : negoziati Israele-palestinesi, secondo incontro
Commento di Michael Sfaradi, cronaca del Foglio

Testata:Il Foglio - L'Opinione
Autore: La redazione del Foglio - Michael Sfaradi
Titolo: «Bibi e la manovra 'alla moviola' per spingere i negoziati di pace - la pace lapidata»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/09/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Bibi e la manovra 'alla moviola' per spingere i negoziati di pace". Dall'OPINIONE, a pag. 13, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Una pace lapidata ".
Ecco gli articoli:

L'OPINIONE  - Michael Sfaradi : " Una pace lapidata "


Michael Sfaradi

Come ogni anno la fine della festività islamica del Ramadan coincide con l'inizio del calendario lunare ebraico che prevede le due festività più importanti: il Capodanno e il Giorno dell'Espiazione, e come ogni anno sono ricominciate le provocazioni da parte araba. Mentre i 30 giorni del Ramadan sono passati in totale tranquillità, non sono stati registrati scontri di alcun tipo, lo stesso non si può dire per quello che riguarda le festività ebraiche che,  sono vissute sotto tensione. Questo vale per gli abitanti delle zone confinanti con la striscia di Gaza, che nei giorni scorsi sono nuovamente diventati bersagli dei Qassam palestinesi, e sono stati presi di mira a ripetizione. La reazione dell'aeronautica israeliana, che ha bombardato uno dei depositi dove erano conservato materiale bellico, non si è fatta attendere. Anche coloro che, con l'approssimarsi del giorno dell'espiazione, si recano a pregare in luoghi sacri per l'ebraismo, quest’anno più di altri anni, stanno subendo dagli arabi israeliani provocazioni di tutti i tipi, alcune anche violente. Quella più grave si è verificata ieri mattina quando un gruppo di male intenzionati ha aggredito a colpi di pietra due persone, un padre di 34 anni e il figlio di 7, che si stavano recando alla tomba di Simone il Giusto. Il padre se la caverà con quattro punti di sutura sulla fronte, mentre il bambino, sul quale si erano concentrati i lanci di pietre anche a distanza ravvicinata, è stato ricoverato in ospedale e oltre alla mano fratturata ha avuto vari lividi e contusioni sia sul viso che sul resto del corpo. Solo l'intervento di una pattuglia dell'esercito israeliano è riuscita ad evitare il peggio. La tensione però si fa sentire anche nel resto della popolazione israeliana. Non dimentichiamoci che Israele fu attaccata, nel 1973, dall’Egitto e dalla Siria proprio nel giorno dell’espiazione e il ricordo di quella guerra è ancora molto vivo nella memoria collettiva israeliana. Le notizie che filtrano dai tavoli del negoziato di pace (richieste palestinesi inaccettabili da parte israeliana sulla questione dei profughi e il non riconoscimento di Israele come Stato ebraico) stanno nuovamente facendo naufragare trattative e speranze. Questo aumenta l'acredine che c'è fra le due popolazioni e fa infiammare gli animi fino allo scontro fisico. La speranza è che, al contrario di ogni previsione, le delegazioni riescano a trovare dei punti di incontro che possano evitare il peggio.

Il FOGLIO - " Bibi e la manovra 'alla moviola' per spingere i negoziati di pace "


Bibi Netanyahu, Abu Mazen

Gerusalemme. Per il secondo round dei negoziati diretti, israeliani e palestinesi hanno scelto uno dei vicini più influenti, l’Egitto del presidente Hosni Mubarak, che oggi ospiterà le due legazioni. Il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, e il leader dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, s’incontreranno nel paradiso turistico di Sharm el Sheikh dopo aver cominciato le trattative in modo solenne, due settimane fa, a Washington. Con loro, oltre a Mubarak, c’è il segretario di stato americano, Hillary Clinton. Netanyahu e Abu Mazen non hanno ancora affrontato le questioni fondamentali del conflitto: prima di partire per l’Egitto, Clinton si è detta ottimista sulla possibilità che i colloqui portino entro un anno a un accordo per la creazione di uno stato palestinese “che viva in pace accanto a Israele”, ma il lavoro vero non è ancora cominciato. Il primo problema dei negoziatori è evitare un crollo prematuro della trattativa. Sul tavolo di Sharm el Sheikh c’è la complessa questione della moratoria sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che scade a fine settembre. I palestinesi minacciano di abbandonare i negoziati se i settlers dovessero riprendere i lavori in Cisgiordania e il presidente americano, Barack Obama, chiede al governo di Gerusalemme un nuovo stop alle costruzioni. Il caso aumenta la pressione sul premier israeliano: Netanyahu non può cedere alle richieste della Casa Bianca senza perdere l’appoggio dei partiti di destra e rischiare una crisi di governo. Alla vigilia del vertice di Sharm el Sheikh, Netanyahu ha esposto a Tony Blair, inviato in medio oriente del quartetto composto da Stati Uniti, Russia, Europa e Onu, una proposta di compromesso. Il rinnovo totale della moratoria è fuori discussione, ma Gerusalemme non intende nemmeno dare il via libera a tutte le ventimila abitazioni progettate negli insediamenti. “Non congeleremo la vita dei residenti – ha detto il premier – ma tra tutto e nulla c’è una via di mezzo”. La prospettiva più probabile è che Netanyahu offra ad Abu Mazen uno stop per gli insediamenti più isolati e dia il via libera a un numero limitato di lavori nei grandi blocchi urbani contigui al territorio israeliano e destinati a essere annessi allo stato ebraico nell’ambito di un accordo di pace. I ministri di destra del governo si sono già espressi contro il compromesso, ma il realista Netanyahu ha mostrato più volte la capacità di convincere i suoi uomini a sostenere decisioni ideologicamente indigeste. Resta da capire che cosa faranno i palestinesi: ufficialmente, l’Anp dice che i colloqui andranno avanti soltanto se gli israeliani congeleranno tutti i cantieri della Cisgiordania, come ha ripetuto il capo dei negoziatori palestinesi, Saeb Erekat, in una intervista a un giornale di Hamas. Eppure, qualcosa si muove. Il sito internet del quotidiano Yedioth Ahronoth dice che Abu Mazen sarebbe pronto a proseguire i negoziati anche se Gerusalemme desse un via libera parziale alle ruspe. La speranza è che il vertice di Sharm el Sheikh, cui seguirà un altro incontro domani a Gerusalemme, serva a risolvere il problema della moratoria e a lanciare questioni ben più complesse, dai confini dello stato palestinese allo status dei rifugiati e di Gerusalemme. Ammesso che sopravvivano alle prossime settimane, i negoziati dovranno anche resistere all’offensiva terroristica lanciata da Hamas per affondare ogni prospettiva di un accordo. Dopo gli agguati alle automobili di civili israeliani in Cisgiordania durante il meeting di Washington, Hamas ha ripreso con vigore il lancio di razzi dalla Striscia contro le comunità del sud d’Israele. Sono dieci i missili lanciati da Gaza dalla settimana scorsa, incluso quello esploso in un asilo poco prima che arrivassero i bambini. Per ora i bombardamenti non hanno fatto vittime, ma Yuval Diskin, il capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno d’Israele, ha avvertito che i negoziati saranno seguiti da nuovi attacchi.

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