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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - La Stampa Rassegna Stampa
14.09.2010 Kashmir, fondamentalisti islamici bruciano una scuola cristiana
Islam moderato? Cronache di Alberto Simoni, Maurizio Molinari. Commento di Carlo Panella

Testata:Libero - La Stampa
Autore: Alberto Simoni - Maurizio Molinari - Carlo Panella
Titolo: «Kashmir, bruciata una scuola cristiana - Obama: 'il dialogo continua'. E l'imam apre sulla moschea - Quei 18 morti in India sono vittime di Al Qaeda»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/09/2010, a pag. 4, la cronaca di Alberto Simoni dal titolo " Kashmir, bruciata una scuola cristiana ", a pag. 5, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama: 'il dialogo continua'. E l'imam apre sulla moschea  ". Da LIBERO, a pag. 1-18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "  Quei 18 morti in India sono vittime di Al Qaeda".
Invitiamo a leggere il commento di Angelo Panebianco pubblicato dal Corriere della Sera di oggi e riportato in altra pagina della rassegna di IC.
Ecco gli articoli:

La STAMPA - Alberto Simoni : " Kashmir, bruciata una scuola cristiana "

Quando le autorità del Kashmir staccano la spina e bandiscono l’iraniana Press Tv, la miccia è già accesa. Le immagini del gruppetto di «dissacratori» americani che strappano le pagine del Corano davanti alla Casa Bianca sono sugli schermi delle tv. E fra Srinagar, la capitale dell’unica provincia a maggioranza musulmana dell’India, e le vicine Tangmarc, Budgam, Bandipora e Saraf-e-Sharif, la rabbia si trasforma in vendetta, la gente sfida il coprifuoco e si riversa nelle strade. In un baleno il Kashmir ripiomba nel buio della sua storia e rivive una giornata drammatica, la peggiore dal 1989. Sulla religione «insultata» soffiano gli estremisti separatisti. Un mix esplosivo quello fra gli arrabbiati per l’oltraggio al Corano e chi vuole mollare New Delhi e i gangli del suo potere e tornare al principato del Kashmir-Jammu. Le immagini del Corano stracciato fungono da detonatore, tragico pretesto per estendere una rivolta basata su motivazioni religiose a qualcosa di politicamente fondato. La polizia fronteggia centinaia di musulmani separatisi inferociti. Ed è il caos. Scontri, veicoli in fiamme, edifici governativi assaltati, residenze private saccheggiate. L’obiettivo della rabbia islamica è però la piccola scuola della comunità cristiana di Tangmarc, 40 chilometri da Srinagar, nel distretto di Baramulla. L’edificio, di legno, è bruciato, ma per fortuna non ci sono feriti. Alla fine sul terreno restano 18 corpi senza vita secondo quanto riferisce la Bbc. Anche un agente sarebbe rimasto ucciso. La maggior parte delle vittime si registra nel distretto di Budgam, a Ovest di Srinagar, ma almeno 4 sono deceduti negli scontri scoppiati vicino alla scuola bruciata. Fra le vittime c’è anche un ragazzo di 12 anni. I feriti sono oltre un centinaio.
Erano vent’anni che il Kashmir-Jammu non conosceva una giornata di «mortale follia» come quella di ieri. L’attacco alla scuola protestante è stato duramente condannato dal vecchio leader separatista Syed Ali Geelani, che è stato messo agli arresti domiciliari dalla polizia indiana. «Invito i musulmani - il suo appello - a proteggere la minoranza (cristiana) e i loro luoghi. Dobbiamo ad ogni costo mantenere la tradizionale armonia e fratellanza per cui il Kashmir è conosciuto in tutto il mondo». Il governo di New Delhi in un comunicato ha espresso «il profondo dolore per la perdita di vite». L’ambasciatore statunitense in India, Timothy J. Roemer, si è detto «costernato» da queste violenze e ha ricordato che il presidente Obama aveva condannato ogni profanazione del Corano. Monsignor Celata, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, ha parlato di «violenza irragionevole». «È un’ulteriore triste conferma della persistenza del grave fenomeno dell’intolleranza religiosa», ha commentato il ministro degli Esteri Franco Frattini.
Da oltre tre mesi in quest’angolo di Kashmir la rabbia contro New Delhi si stanno intensificando. Dopo anni di relativa calma infatti il 17 giugno uno studente di 17 anni è stato ucciso negli scontri da un lacrimogeno lanciato dalla polizia. Da allora altre 69 persone (escludendo le 18 vittime di ieri) sono morte, uccise dalle forze governative durante le proteste. L’opposizione della popolazione verso il potere centrale di New Delhi si è rafforzata. Anche perché il cosiddetto «Armed Forces Special Power Act» - una legge che consente alla polizia di ricorrere alle armi, di arrestare e di dare la caccia ai separatisti garantendo agli agenti una sorta di impunità - ha esacerbato gli animi. Le nuove generazioni - sottolineava un analista - stanno crescendo covando rabbia e risentimento nei confronti di New Delhi. Oltre il 75% della popolazione vorrebbe solo l’indipendenza per il Kashmir e nessuna forma di ampia autonomia. Proprio ieri a New Delhi il governo si è riunito per decidere sull’opportunità di togliere lo stato d’emergenza in quattro distretti del Kashmir. Ma tre ore di riunione non hanno partorito altro che un generico appello ai separatisi musulmani per «dialogare». Destinato a cadere nel vuoto.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: 'il dialogo continua'. E l'imam apre sulla moschea "


Maurizio Molinari

La Casa Bianca modera i termini sugli attacchi avvenuti in Kashmir e Punjab, limitandosi ad esprimere «costernazione», mentre assegna al proprio ambasciatore a New Delhi il compito di smentire l’immagine di un’America anti-musulmana recapitando un messaggio simile a quello che arriva dall’imam della moschea progettata nei pressi di Ground Zero.
A parlare cautamente di «costernazione» sono stati i portavoce dell’amministrazione Obama esprimendo la condanna delle violenze anti-cristiane verificatesi nel Nord dell’India, affermando di «sostenere l’azione del governo» per ripristinare l’ordine pubblico. Il Dipartimento di Stato ha però assegnato all’ambasciatore Timothy Roemer il compito di recapitare in Kashmir e Punjab un messaggio assai più energico che appare destinato agli stessi responsabili delle violenze. «Distruggere le pagine del Corano è un atto intollerante, una grave mancanza di rispetto che non riflette i valori americani» ha detto Roemer, riferendosi alle notizie rimbalzate in India da New York, dove un individuo l’11 settembre ha tentato di bruciare un Corano nei pressi di Ground Zero, e da Michigan e Tennessee, dove copie del libro sacro dell’Islam sarebbero state bruciate da singoli cittadini dentro proprietà private.
«Gli atti compiuti da individui mal consigliati sono gesti attribuibili a singoli che non rappresentano in alcuna maniera le opinioni prevalenti negli Stati Uniti e offendono milioni di cittadini americani, incluso me stesso» ha aggiunto il diplomatico, richiamandosi a quanto affermato dal presidente Barack Obama nel ritenere che «l’Islam ha il suo giusto posto fra le altre religioni in America» in un «rapporto di completa uguaglianza» che si fonda sul fatto che «America e Islam condividono i principi di giustizia, progresso, tolleranza e dignità per tutti gli essersi umani».
La decisione del Dipartimento di Stato di limitarsi alla «costernazione» per le violenze di massa anti-cristiane rispetto alla definizione di «aberrante» per i singoli gesti di offesa compiuti da connazionali contro il Corano nasce dalla convinzione che lo scontro aperto fra America e Islam possa solo «giovare ad Al Qaeda per reclutare terroristi» come riassume un diplomatico veterano del Medio Oriente. Ad avvalorare tale approccio è un politologo come Joseph Nye della «Kennedy School of Government» dell’Università di Harvard, secondo il quale «gli estremisti islamici hanno già un’idea chiara della negatività dell’America e dunque l’interrogativo che resta da sciogliere è cosa penseranno di noi coloro che si trovano al centro, cederanno al richiamo degli estremisti oppure no?». La tesi di Nye è che episodi islamofobi come quelli avvenuti in Michigan, Tennessee ed a Ground Zero - innescati dalla controversia sul falò di Corani da parte del reverendo Terry Jones in Florida - «consentano agli estremisti di rafforzare la propria capacità di reclutare gente a loro lontana» approfondendo di conseguenza il solco fra l’America e l’Islam.
Le parole di Nye riflettono l’orientamento di un’amministrazione convinta del fatto che la miglior risposta alla sfida degli estremisti musulmani sia nel proiettare l’immagine di un’America che include anche i valori islamici. Insomma, è la strategia della mano tesa come chiave di volta dell’approccio al mondo musulmano. È la stessa tesi che Fareed Zakharia, ex direttore di «Newsweek» ora analista di Cnn, riassume nella condanna dell’«eccesso di reazione avuto dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre» facendo capire che la scelta di Obama di abbassare i toni è preferibile a quella interventista del predecessore George W. Bush. A muoversi nella stessa direzione è Feisal Abdul Rauf, l’imam della moschea «Cordoba» che dovrebbe sorgere vicino a Ground Zero. Parlando al «Council on Foreign Relations» di Manhattan, Rauf ha auspicato realizzazione del progetto per «poter innalzare i valori a cui l’America tiene di più».
Al tempo stesso Rauf ha però teso la mano anche agli avversari del progetto ammettendo che «se i promotori della moschea avessero saputo in anticipo l’entità delle proteste scatenate avrebbero probabilmente rinunciato». Adesso, ha concluso l’imam, «tutte le opzioni sono sul tavolo» inclusa dunque la possibilità di realizzare il luogo di culto islamico in uno stabile più lontano da Ground Zero, dove l’11 settembre 19 kamikaze di Al Qaeda causarono la morte di quasi tremila civili americani. «Ciò che conta è sfruttare questa controversia per promuovere una maggiore comprensione fra le fedi» ha concluso Rauf, prendendo atto del sondaggio del «Daily News» secondo cui il 48% dei newyorchese è contro la moschea.

LIBERO - Carlo Panella : " Quei 18 morti in India sono vittime di Al Qaeda "


Carlo Panella

Diciotto morti durante l’assalto ad una scuola di una missione cristiana protestante nel Kashmir indiano, a 45 chilometri dalla capitale Siringar: chi nega che una parte - ripetiamo: una parte - dell’Islam stia conducendo una Guerra di Civiltà è servito. In Occidente, un disgraziato minaccia di bruciare il Corano, ma viene scoraggiato dal governo Usa e non brucia nulla. In Oriente, invece, non si bruciano i libri sacri, si bruciano direttamente chiese, scuole e cristiani in carne ed ossa in un Jihad che cresce sempre più di intensità. Non si è trattato di un atto di terrorismo - si badi bene - ma dell’esito di una manifestazione di migliaia di persone. Al di là dell’indignazione e dello sconcerto, è importante analizzare tutti gli elementi che compongono questo quadro di devastazione. Dal 1947, il Kashmir è al centro di tensioni sanguinose tra India e Pakistan perché, pur essendo a maggioranza musulmana, il suo maharaja Hari Singh (indù), nel giorno dell’indi - pendenza si rifiutò di entrare a far parte del Pakistan e optò per l’India. Questa decisione venne presa come un offesa mortale da parte del Pakistan e come una ferita da sanare da parte dei musulmani del Kashimr e fece deflagrare quattro guerre (vinte sempre da New Delhi) tra gli eserciti indiano e pakistano. Verso la fine degli anni novanta, la presa del fondamentalismo in Kashmir crebbe esponenzialmente, favorita in loco dall’allora comandante delle forze armate pakistane (e poi presidente) Parwez Musharraf (che progettava un nuovo conflitto con l’India), accompagnata dall’impianto di cellule terroristiche di al Qaeda.Complessivamente si calcola che tra il 1989 edoggi le vittime diquesto conflitto siano state non meno di 30.000. L’amministrazione di George W. Bush impose però al Pakistan (e personalmente ad un recalcitrante Musharraf) una svolta totale, di cessare di soffiare sul fuoco nel Kashmir indiano e di iniziare colloqui di pace con il governo indiano, ottenendo una sensibile de-escalation. Con la caduta del regime di Musharraf, sostituito dalla debole e corrotta presidenza di Ali Zardari (vedovo di Benazir Bhutto) e soprattutto con l’am - ministrazione Obama, la pressione per la pacificazione del Kashmir si è però attenuata. Come in tutte le altre aree di crisi, Obama ha allentato la presa, ha diminuito le pressioni Usa sui contendenti, ha lasciando che gestissero la crisi e il risultato è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi tre mesi i morti nel Kashmir sono stati ben 83. Lamanifestazione di ieri, dunque, non era affatto diretta contro il Koran Burning dello sciagurato pseudo pastore della Florida, ma si inseriva in questa rivolta strisciante tesa a surriscaldare il clima, sino a riuscire ad obbligare il Pakistan (in cui molti generali premono per questa soluzione) a scatenare la quinta guerra per la liberazione del Kashmir. Ma il fondamentalismo, l’ir - redentismo, il senso di appartenenza del fondamentalismo islamico è tale che non scinde il nazionalismo dall’odio per le altre fedi, dalla logica dello Scontro di Civiltà, appunto. Per questo, assieme agli edifici governativi, i manifestanti islamici del Kashmir hanno bruciato anche la scuola su cui svettava una croce cristiana. Ennesimo episodio di una persecuzione dei cristiani che è tanto sconvolgente, quanto vergognosamenteignorata inunoccidente che si rifiuta non solo di fare i conti con l’Islam fondamentalista, ma anche di chiedere all’Islam moderato (che è effettivamente maggioritario), di farsi parte agente per la fine di questo jihad persecutorio.

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