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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Corriere della Sera-IlSole24Ore Rassegna Stampa
12.09.2010 La questione islam: i diversi modi per affrontarla
Articoli di Maurizio Molinari, Alessandra Farkas, Karima Moual

Testata:La Stampa-Corriere della Sera-IlSole24Ore
Autore: Maurizio Molinari-Alessandra Farkas-Karima Moual
Titolo: «Bibbia e mitragliatrici nella terra del reverendo-Onda sotterranea di ansia e paura-La riscossa da parte dei giovani islamici»

Sulla vicenda del reverendo Terry Jones e le diverse valutazioni della questione islamica, riprendiamo oggi, 12/09/2010, tre servizi. Maurizio Molinari, sulla STAMPA, a pag. 11, Alessandra Farkas, sul CORRIERE della SERA, a pag.2, Karima Moual, sul SOLE24ORE, a pag.7. Tutti preceduti da un nostro commento.

La Stampa-MaurizioMolinari:"Bibbia e mitragliatrici nella terra del reverendo"

Per capire il retroterra dal quale proviene il reverendo Terry Jones, Maurizio Molinari è andato a Gainesville. Ecco il suo reportage, che aiuta a comprendere meglio una delle molte  radici che contraddistinguono il fondamentalismo cristiano.


Maurizio Molinari

Per comprendere l’America da cui viene il reverendo Terry Jones bisogna varcare la frontiera che separa le due Gainesville: la città universitaria multietnica e la periferia agricola tutta bianca dove a tenere banco sono i fucili, le birre fatte in casa e il fieno per il bestiame. Newberry è uno dei centri di questa fascia contadina che circonda la città e qui le tesi del pastore Terry Jones non destano troppo scalpore così come le critiche si concentrano sull’«eccesso di copertura da parte dei media». Dei circa 120 mila abitanti di Gainesville quasi 80 mila vivono dentro la zona urbana che ruota attorno all’Università della Florida, una roccaforte liberal che da sempre vota democratico e questa sera darà vita ad un sit in interreligioso, ma i rimanenti 40 mila sono i meno colti e più poveri residenti nelle aree agricole, dove le fattorie sopravvivono grazie ai sussidi statali, i giovani anziché studiare allevano bestiame e i genitori parlano poco di politica perché chiunque governi a Washington non gli piace affatto.
Si tratta di due realtà, una opposta all’altra, che in comune hanno solo la topografia. Quella universitaria è popolata di studenti provenienti da cinque continenti, docenti di scienze e medicina, dipendenti e ricercatori del centro ospedaliero che la sera affollano i locali lungo la Main Street, dalla Community Plaza all’Ippodrome Theatre, per mangiare fusion e ascoltare musica jazz. Considerano il pastore islamofobo Terry Jones una via di mezzo fra un maniaco e un fastidio. Ai banchi di «Harry’s» gli studenti ne pronunciano il nome facendo smorfie che palesano un rifiuto quasi fisico, da «Dragonfly» le cameriere assicurano che «quel pazzo e i suoi seguaci qui non li abbiamo mai visti» e la cassiera del teatro liquida la minaccia del rogo del Corano come «un problema che riguarda solo la polizia».
Ma questa è la voce della Gainesville multietnica, benestante e giovane - dove Michelle Obama venne a fare comizi per il marito durante le presidenziali del 2008 - mentre a meno di 20 minuti di auto di distanza la «Pickett Weaponry» di Newberry è la porta d’ingresso ad un’altra America. L’armeria è uno dei negozi più affollati dagli agricoltori dei paraggi che vi vengono ad acquistare di tutto: fucili da guerra M16 a 850 dollari, mitragliatrici calibro 50 a oltre 2000 dollari, casseforti da 1750 dollari per poter tenere al sicuro le armi, sciabole, munizioni di ogni tipo e perfino «fucili per bambini» - come li chiama il commesso ispanico - colorati di rosa per essere adatti anche alle femmine nonché in grado di sparare proiettili calibro 20, considerati alla stregua di pallottole-giocattolo «utili per allenarsi in qualsiasi ora della giornata».
Al centro della «Pickett Weaponry» c’è un lungo tavolo per l’esposizione degli esemplari più venduti di fucili, mitragliatori e pistole. La proprietaria da qualche giorno ha deciso di mischiare a queste armi dozzine di libretti tascabili con il testo della Costituzione mettendo bene in evidenza gli emendamenti più popolari fra la clientela: il 2° che tutela il diritto del porto d’armi e il 1° sulla libertà di espressione, a cui Jones si è richiamato per affermare il diritto di bruciare il Corano. «Per noi la Costituzione è sacra, non c’è niente di più importante del testo scritto dai Padri Fondatori degli Stati Uniti», spiega un uomo anziano che è talmente intento a esaminare un M-16 da scusarsi perché «non ce la faccio adesso a parlare di Jones».
Davanti all’armeria è parcheggiato un camion di «Remington», il produttore di cartucce, ed è strutturato come uno stand itinerante: consente a famiglie con bambini di entrare e verificare l’efficacia delle pallottole studiate appositamente per centrare alci, daini e anatre selvatiche. A duecento metri di distanza c’è il pub «West End Lounge & Package» dove gli agricoltori cinquantenni Barr e Steve passano i pomeriggi giocando a biliardo circondati da birre rigorosamente prodotte in distillerie locali. C’è anche chi si vanta di saperle confezionare in casa. «Bisogna chiedersi perché tutti ce l’hanno così tanto con Jones», esordisce Barr, corporatura possente e tatuaggi in abbondanza, secondo il quale «la verità è che nascoste dentro il Corano ci sono molte cose non buone delle quali si parla poco». Steve è magro, porta una bandana colorata e sul trattore ha lasciato tre delle cinque dita della mano destra, quando parla di Terry Jones non fa altro che ridere e se la prende con «il grande circo dei media che si occupa più di questo oscuro pastore che non delle migliaia di morti musulmani causati dai terroristi islamici».
Steve e Barr sono due «Bubba», come si chiamano fra loro i «Redneck» dell’entroterra, mentre gli afroamericani riservano loro il termine dispregiativo di «Crackers» per assimilarli a coloro che «frustavano» gli schiavi. Il loro sostegno non dichiarato per il rogo del Corano arriva con la frase di Barr: «Jones voleva fare la cosa giusta ma nel modo più sbagliato, questo è stato l’errore». È un linguaggio convergente a quello di Cindy Rosario, quarantenne titolare di «Midwest Feed» ovvero il maggior fornitore di fieno e biada alle fattorie di Newberry. Rosario discende da immigrati dalla Sicilia insediatisi nel Nord della Florida oltre un secolo fa: «Abbiamo sempre vissuto qui grazie a fieno, mucche e fucili, siamo gente che lavora duro e fa sacrifici, non mi piace quando se la prendono con tutti noi per colpa di Jones, i media sono alla ricerca di facili colpevoli».
A tastare il polso alle due diverse Gainesville è stato il giornale locale - il «Sun» - chiedendo a un campione di circa 1000 residenti un’opinione sul progetto del rogo di Corani: sebbene la maggioranza si sia detta contraria in 600 hanno risposto che «il pastore ha diritto di farlo» e ben 230 si sono spinti fino al «siamo del tutto d’accordo». A conti fatti ciò significa che il sostegno per Jones va ben oltre la piccola Chiesa di cinquanta fedeli che guida, svelando un’ostilità nei confronti dell’Islam che appare radicata nelle famiglie di agricoltori, impegnate a tentare di sopravvivere all’impatto della crisi economica.

Corriere della Sera- Alessandra farkas: " Onda sotterranea di ansia e paura "

Interessante l'intervista di Alessandra Farkas alla giornalista Rebecca Walker, una tipica esponente del pensiero liberal americano. Interessante perchè ci aiuta a capire il ragionamento di una certa sinistra americana, colta, intelligente, ma che si esprime sui problemi che affronta senza indicare alcuna soluzione. Il suo commento è un whishful thinking, dopo avere elencato tutto ciò che potrebbe essere, ma non è, lì si ferma. Troppo poco, se una soluzione ha da essere trovata. Limitarsi alla polemica democratici-repubblicani non è sufficiente,  perchè la questione islam attraversa in America tutti gli schieramenti.
Ecco l'intervista:


Alessandra Farkas

NEW YORK — Per la prima volta, l’America ha ricordato la ferita dell’11 settembre in un clima di profonda spaccatura. «Nove anni dopo gli attentati di Al Qaeda, l’acrimonia ha letteralmente sommerso l’anniversario — afferma la scrittrice e giornalista americana Rebecca Walker — un appuntamento nel passato vissuto come giornata di lutto nazionale e triste riflessione è stato oscurato dall’odio. Contro questa amministrazione». Sotto la cenere cova l’astio viscerale dell’estrema destra che non accetta un nero alla Casa Bianca? «Più che a sfondo razziale penso si tratti di un furore politico-economico. L’America è sull’orlo del precipizio: la perdita di case, lavoro, assicurazione medica ha creato un’ondata sotterranea di paura, sfiducia ed ansietà. E la destra continua ad usare questa ansietà per far avanzare la propria agenda. Finché Obama continuerà ad intaccare il suo potere — nella sanità, scuola, a Wall Street — farà di tutto per tornare allo status quo che ha distrutto la middle class rivelandosi catastrofico per il Paese». Se Hillary Clinton o McCain fossero presidenti la contrapposizione nel Paese sarebbe minore? «Se McCain fosse presidente avrebbe tenuto a bada la destra implementando politiche ad hoc. Hillary sarebbe fatta a pezzi a causa del suo sesso in quanto "non abbastanza forte per battere la minaccia islamica"». Il 31% dei repubblicani pensa che Obama sia musulmano. «Dire che è musulmano e pro Islam serve solo ad incitare le truppe a "votate repubblicano il prossimo novembre, altrimenti il Paese sarà governato dalla Sharia"». È sorpresa da quanto sta succedendo? «No. Ciò che vediamo è l’estensione dell’era Reagan-Bush, anche se per ora è impossibile dire dove sta andando l’America. Dobbiamo scegliere se diventare un Paese dominato dagli istinti primordiali, dalla territorialità e dalla avidità o se appellarci agli ideali e valori più alti su cui è stato fondato il nostro Paese. Il tempo sta per scadere». Cosa riserva il futuro? «È importante che l’America eviti di seguire la strada intrapresa dall’Europa, che si è rivelata del tutto incapace di integrare i diversi».

Rebecca Walker

IlSole24Ore- Karima Moual. " La riscossa da parte dei giovani islamici "

Si può non condividere l'articolo di Karima Moual ? Certo che non si può, denso com'è di buoni propositi. Che però rimangono ancora largamente tali, non vediamo all'orizzonte questi giovani musulmani ai quali si rivolge. Per ora bruciano ancora le bandiere americane e israeliane, non hanno dato vita ad alcun movimento, nè politico nè di revisione religiosa. perchè di questo l'islam ha bisogno, finchè non ci sarà un pensiero islamico laico, i bei ragionamenti rimarranno solo invocazioni. Anche Moual, nel suo articolo, vede l'islam solo da un punto di vista religioso, in questo errore sta l'immobilismo che lo connota da secoli e che ne ha impedito il percorso verso la modernità. Questo islam ci porterà ad una guerra fra civiltà, accettarlo così com'è esprime solo cecità di fronte alla realtà che abbiamo davanti.
Ecco l'articolo:


Karima Moual

Nove anni sulla difensiva, presentandosi al mondo intero come "musulmani brava gente", dopo gli attacchi da ogni dove in seguito alla fatidica data dell'11 settembre. E ora? Non è giunto forse il momento, di reagire e di fare un'autocritica? Sul perché siamo stati vulnerabili a tante critiche e a tanta violenza? Passare dalla condizione di vittimismo a quella di responsabilità. Dallo slogan "l'Islam significa pace e non violenza"a "l'Islam sarà progresso e libertà", rispondendo a queste parole con fatti concreti di cambiamento?
L'11 settembre ha due volti. È una data importante perché rappresenta il male, la violenza, la paura,ma soprattutto l'ignoranza. Ignoranza sul chi siamo. Che ha permesso ad altri di rappresentarci con voce autorevole senza il nostro consenso: il male uguale l'Islam uguale tutti i musulmani. Fino a quella data, il tempo sembrava dovesse rimanere fermo per noi.
Da quella data però, qualcosa s'inceppa, quel brutto Islam eravamo tutti noi: terrorismo, violenza, regresso e inciviltà. E noi marchiati per sempre, sotto una lente d'ingrandimento attenta solo a riproporre immagini e parole che entrassero nella cornice dei titoli citati sopra.
Noi, che prima pensavamo di vivere in un tempo fermo ma tuttavia non c'era andata male perché vivevamo fuori dalla dar al-islam, in un mondo fatato senza respon-sabilità, lontani dai problemi, fuori dai giochi, che ancora non venivano affrontati con coraggio e audacia. Poi siamo stati tirati in causa, volenti o nolenti, e questo è il secondo volto dell'11 settembre: un'opportunità per reagire.
In questi anni ci siamo guardati a vicenda quasi come fossimo in "The Truman show". Solo che questa volta non era un bello spettacolo e il protagonista eravamo tutti noi musulmani, neri bianchi o gialli, praticanti o non praticanti. Tutti protagonisti della nostra storia, delle nostre radici, della nostra cultura e del nostro essere musulmani.
Dovevamo rispondere a mille domande ma non eravamo pronti. Un lavoro di comunicazione straziante per salvare il salvabile, per salvare la faccia. Ma oggi siamo ancora a zero. Perché il lavoro di questi anni ha rappresentato solo i saluti di presentazione. È ora che inizia il nostro lavoro. Su di noi. Secondo round: non possiamo rimanere solo sulla difensiva, dobbiamo tirare fuori le mele marce che sono ormai sotto gli occhi di tutti, dobbiamo avere l'onestà intellettuale e il coraggio di affrontare i nostri problemi, le nostre carenze, quelle stesse che hanno dimostrato al mondo intero la nostra vulnerabilità e le nostre debolezze.
L'11 settembre in questo senso è un male dal quale potrebbe nascere un bene, quell'opportunità che ci sveglia e ci ricorda chi siamo. Che dobbiamo partecipare. La nostra storia attende da troppo tempo di essere costruita e continuata da noi, nuove generazioni di musulmani in Occidente.
Qui siamo in un territorio neutro, non abbiamo scuse per non prendere coraggio, per non analizzare e iniziare ad abbattere quelle barriere che segnano in modo evidente il nostro deficit rispetto agli altri paesi, e per iniziare parlo di diritti umani, di libertà già acquisite da decenni, ma che ancora difficilmente riescono a essere messe sul tavolo di discussione.
L'esperienza del tutto peculiare che viviamo come musulmani d'Occidente, è un'opportunità di un laboratorio per promuovere il cambiamento, un nuovo percorso che non è finalizzato a cambiare la propria religione, ma a trasformarsi in un processo illuminato di attualizzazione e di valorizzazione di quella che è la nostra migliore tradizione culturale e religiosa. Perché oggi se devo immaginare e rappresentare il nostro Islam, lo vedo come un albero, che ha le radici bene impiantate, ma che ancora è senza rami, senza fiori e senza frutti. La primavera possiamo essere noi giovani.

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