Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/09/2010, a pag. 1-2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Le coscienze infelici del caso Sakineh ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'intervista di Bernard-Henri Lévy al figlio di Sakineh Ashtiani dal titolo " Hanno torturato mia madre Sakineh. Ora l’Europa non dia tregua all’Iran ". Da REPUBBLICA, a pag. 17, la cronaca di Rosalba Castelletti dal titolo " In piazza per Sakineh: 'Fermiamo la barbarie' ", l'intervista di Giampaolo Cadalanu a Mohammad Mostafei, ex avvocato di Sakineh dal titolo " L´avvocato costretto all´esilio: 'Non dimenticatela o sarà la fine' ".
Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Le coscienze infelici del caso Sakineh "

Giulia Meotti
Se le piazze e i giornali europei si sono riempiti per Sakineh, “l’adultera” iraniana condannata a morte tramite lapidazione, significa che è rimasta un po’ di moral clarity anche dalle nostre parti. Questo giornale ne ha scritto per primo e a lungo, raccontando l’escalation di lapidazioni iraniane e ritraendo l’avvocato di Sakineh. Non si era mai visto, poi, che uno stato desse della “prostituta” alla moglie di un presidente straniero. Dopo la “fatwa sessuale” contro Carla Bruni si è mossa anche tanta gente di sinistra, intellettuali à la page, umanisti blasonati, scrittori d’establishment e Repubblica. Ma c’è anche una grande ipocrisia in questa vicenda. E’ il silenzio sulle dozzine di Sakineh precedenti a questo tragico caso, uomini e donne, sempre giovanissimi, condannati a morte dal regime iraniano perché chiedevano democrazia e diritti. Il problema è che il punto di vista umanitario, quando assolutizzato e sposato a un facilismo salottiero, diventa angelicismo. Sono le chattering classes, i ceti colti urbani, che si sono scelti una vittima innocentissima, la più innocente, velata dal chador e “colpevole” di un crimine morale, ideale in un moto d’indignazione retorico e libertino bon à tout faire. Così, gli stessi giornali, intellò e gente dello spettacolo che oggi manifestano animosamente e giustamente per Sakineh, nulla hanno detto sui giornalisti antiregime, sugli attivisti dei diritti umani, sui desaparecidos e sui dissidenti spediti alla forca. Perché filoamericani, perché “sionisti”, perché nemici di una dittatura genocida, antisemita e totalitaria che si poggia su due gambe, la democrazia plebiscitaria di massa e la teocrazia governata dalla sharia. Le anime belle del cinema e delle lettere nulla hanno obiettato quando gli ayatollah hanno regalato in olocausto al nostro tempo greggi di bambini innocenti, quando i cristiani sono stati messi a morte, o quando blogger libertari e religiosi in odore di modernità (noti ai nostri lettori) vengono appesi a testa in giù. Sakineh è in pericolo perché l’Iran è stato legittimato nelle sedi internazionali, perché ha costruito un bel nido caldo alle Nazioni Unite. Sei mesi fa denunciammo l’ingresso di Teheran nella Commissione Onu sulle donne. Chi altri lo fece? Di tutti i dissidenti uccisi a malapena si è avuta notizia sulla stampa in delirio per Sakineh. Mai un racconto dei processi-purga. Per non parlare della connivenza, intellettuale e politica, con un’ideologia medievale che mobilita le masse islamiche all’odio, che insegna ai suoi figli a glorificare i kamikaze, che si esalta nel votarsi al disastro, che minaccia la sicurezza e si fa violatore senza remore di diritti umani. Chi ha obiettato alcunché quando Saeed Mortasavi, il pubblico ministero di Teheran che ha chiuso giornali, perseguitato scrittori e torturato intellettuali, è entrato nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu? E quando Ahmadinejad ha portato al ministero della Cultura il filosofo Ali Ramin, che considera gli ebrei responsabili del tifo? C’è il sospetto che tanta gente di establishment, intellettuali scriventi e parlanti nel sistema dei media e dello showbusiness, abbia scelto Sakineh come icona per abbellirsi la coscienza. Lottare per la vita di questa ragazza, causa nobile e giusta, equivale pure a esercitare la più facile delle retoriche. La prossima volta che Teheran minaccerà di incenerire Israele sarà più semplice voltarsi altrove.
CORRIERE della SERA - Bernard-Henri Lévy : " Hanno torturato mia madre Sakineh. Ora l’Europa non dia tregua all’Iran "

Bernard-Henri Lévy
Caro Sajjad, mi emoziona molto parlarle. Armin Arefi, della Règle du Jeu, è qui con me e tradurrà la nostra conversazione. Innanzitutto, dove si trova lei, in questo momento?
«A Tabriz, la città in cui mia madre è detenuta. Sono per la strada. E la chiamo da un cellulare».
Pensa che potremo parlare tranquillamente?
«Credo di sì. Cambio spessissimo numero di telefono per sfuggire agli ascolti telefonici. Tentiamo».
Come sono le autorità nei suoi confronti? Subisce pressioni? Tentativi di intimidazione?
«Sì, certo. Ho ricevuto due chiamate dai servizi segreti. In realtà, due convocazioni. Ma ho rifiutato di andarci. Per ora, non sono stato arrestato».
Non sappiamo niente di lei, caro Sajjad. Chi è? Cosa fa?
«Ho 22 anni. Sono il figlio maggiore di Sakineh. Lavoro dalle sei del mattino alle undici di sera come controllore sugli autobus della città. Per il resto… Tutti i miei pensieri, tutta la mia volontà tendono a un solo scopo: salvare mia madre».
A che punto siamo? Come vede oggi le cose?
«Ho attraversato momenti di disperazione. Ho scritto alle autorità. Spesso. Mi hanno risposto con un silenzio totale. Da qualche giorno, con la mobilitazione che lei ha lanciato, ritrovo un po’ di speranza».
Sua mamma, nella sua cella, sa di questa ondata mondiale di solidarietà e amicizia?
«Sì. È stata informata nelle rare visite cui ha avuto diritto. Ne è stata felice. E l’ha ringraziata».
Perché parla al passato? A quando risale la sua ultima visita?
«A poco prima della sua cosiddetta "confessione" televisiva. Fino ad allora, la vedevamo una volta alla settimana, tutti i giovedì. Dopo, niente. Né mia sorella né io. Né gli avvocati. Ancora stamattina, visto che è giovedì, mi sono recato alla prigione. Ma il guardiano mi ha detto: "Alla signora Mohammadi Ashtiani è vietato qualsiasi contatto per decisione del potere"».
Cosa ci può dire delle condizioni di carcerazione di sua madre?
«Sono durissime. Subisce incessanti interrogatori da parte dei Servizi iraniani. Le chiedono, per esempio, come mai il suo ritratto è affisso dappertutto nel mondo e chi, secondo lei, ha lanciato questa mobilitazione internazionale». Qual è il suo stato psicologico? «Prende molti farmaci. Antidepressivi. E prega».
Si trova in una cella individuale o con altre donne?
«Tutte le donne condannate della città di Tabriz sono nello stesso quartiere della prigione. Sono piccole celle con talvolta quindici o venti donne accalcate. Ma è possibile che, dopo la sua apparizione alla televisione, l’abbiano messa in una cella individuale. Le ripeto: non so più nulla, non ho più alcuna notizia».
La sua apparizione in tv qui ha fatto molta impressione. Intanto, era veramente lei? «Sì, certo, era lei. Ma…». Ma? «Ma prima è stata torturata. È Houtan Kian, l’avvocato, che l’ha saputo dalle sue compagne di detenzione. Le autorità avevano bisogno di queste confessioni per poter riaprire il dossier dell’omicidio di mio padre».
Le autorità affermano che il dossier non è mai stato veramente chiuso.
«È falso. Affermano questo per poterla uccidere più facilmente. Del resto, il dossier è stato, guarda caso, smarrito». Cosa vuole dire? «L’altro ieri, mentre andavo in Tribunale per averne una copia, mi è stato detto che non l’avevano più. Mi hanno chiesto di andare al piano terra ma, anche lì, non è stato trovato. Ne ho parlato con l’avvocato Houtan Kian che ha fatto le sue ricerche e mi ha detto che il dossier non si trovava neanche a Osku, città di provincia di cui i miei genitori sono originari. Tutto questo è inquietante. Potrebbe trattarsi di un piano della Repubblica islamica per modificare il dossier e aggiungervi elementi a carico che giustifichino l’esecuzione».
Per il secondo caso. Non quello dell'adulterio, ma dell’omicidio…
«Appunto. Tanto più che una settimana prima della perdita del dossier, il domicilio di Houtan Kian è stato messo a soqquadro e il suo computer portatile come anche la valigetta in cui si trovava il riassunto del dossier sono stati rubati. Ancora ieri, mercoledì, i Servizi hanno di nuovo invaso il suo domicilio e portato via un estratto del dossier dell’omicidio di mio padre, l’ultimo che era in nostro possesso. È lo stesso Houtan Kian che mi ha appena informato per sms».
Mi consenta una domanda più diretta. Lei è, dopotutto, il figlio dell’uno (suo padre, assassinato) e dell’altra (sua madre, accusata di complicità in questo assassinio). Nel suo intimo, è sicuro che l’accusa sia infondata?
«Nel mio intimo, sì. Mille volte sì. È una pura menzogna. Insieme a un’incredibile ingiustizia. Mia madre, che non ha fatto niente, niente, rischia la lapidazione. Intanto, il vero omicida, Taheri, è libero…». Perché lei lo ha perdonato. «Sì. È il padre di una bambina di tre anni, ha pianto molto davanti a noi. Mia sorella ed io non abbiamo voluto essere la causa della sua esecuzione».
Torniamo alla campagna di mobilitazione. Pensa che possa far cedere le autorità?
«Non so. Comunque, abbiamo solo voi. Non abbiamo nessuno, a parte voi, che ci tenga la mano. Ora, per esempio, so che l’avvocato Houtan Kian ha scritto una lettera alle autorità per chiedere un dibattito con un responsabile qualsiasi. Se ci sarà una risposta, sarà grazie a voi».
Quindi lei non è d'accordo con chi dice che questa campagna irrita le autorità e possa essere controproducente?
«Certo che no. È vero che l’Iran è irritato. Ma bisogna pure che l’Iran ascolti la nostra pena. Le autorità iraniane non hanno risposto a nessuna delle nostre lettere. Se la nostra voce ha una possibilità d’essere ascoltata, sarà, lo ripeto, grazie a voi». Cosa possiamo fare di più? «Bisogna raddoppiare le pressioni sulla Repubblica islamica».
Sì, ma come?
«Rivolgendovi, per esempio, al Brasile e alla Turchia che hanno legami privilegiati con la Repubblica islamica».
È al corrente della dichiarazione del presidente della Repubblica francese in cui dice che sua madre è sotto la responsabilità della Francia?
«Certo. È straordinario. Ma bisogna continuare. Altrimenti, se voi allentate la pressione, mia madre sarà uccisa».
Le autorità iraniane hanno tuttavia sospeso l’esecuzione della sentenza. «Sospeso non vuol dire annullato». Dunque, mentre noi parliamo, tutto è possibile, tutto è da temere?
«Sì. Da un lato, ci sono persone che non vogliono in alcun caso perdere la faccia e intendono lapidare mia madre. E dall’altro, persone come il signor Nobkaht, il vice del potere giudiziario nella regione di Tabriz, il quale vuole che il signor Imani, il giudice che ha pronunciato la sentenza, sia tratto d’impaccio e che, per questo, ha chiesto a Teheran il cambiamento della pena di lapidazione in impiccagione. Ma questo è forse meglio?». No, certo. «Vi prego, non mollate. Siete voi, ancora una volta, che tenete le nostre mani. Se voi non ci foste, mia madre sarebbe già morta».
La REPUBBLICA - Rosalba Castelletti : " In piazza per Sakineh: 'Fermiamo la barbarie' "

Manifestazione per Sakineh
ROMA - A essere sotterrata sino all´altezza del petto, il volto insanguinato incorniciato da un velo nero, ieri pomeriggio a Roma era una donna-manichino. Ma a morire davvero così sotto i colpi di pietre affilate potrebbe essere Sakineh Mohammadi Ashtiani se il regime iraniano confermasse la condanna alla lapidazione. È iniziata così, con una silenziosa messinscena simbolica, la manifestazione promossa dai Verdi dinanzi all´ambasciata iraniana per chiedere a Teheran la liberazione della donna di 43 anni, madre di due figli, condannata a morte per adulterio e complicità nell´omicidio del marito. Sullo sfondo solo striscioni e cartelloni. "Salviamo Sakineh. Fermiamo le pietre", "Ecco la democrazia in Iran: pietre, prigione, censura", recitano gli slogan. Nessuna bandiera di partito, com´era stato chiesto.
È intorno alle cinque del pomeriggio che il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli impugna il megafono e rompe il silenzio. «Non riesco a immaginare una morte così. Salvare Sakineh vorrebbe dire aprire una nuova stagione in difesa dei diritti umani in Iran», dice per poi chiedere «al governo italiano di darsi promotore di una missione internazionale presso Teheran». Al megafono gli succedono tra gli altri il segretario del Prc, esponenti del Pd, Sel, Giovani socialisti, Idv, Cgil e di Resistenza iraniana. Assiepato intorno un nugolo di un centinaio di persone. C´è l´insegnante che è qui «perché è il minimo che si possa fare come donne» e la ragazza che indossa i colori della pace e ha firmato la petizione sul sito Repubblica.it. Ci sono coppie di pensionati e capannelli di studenti. Ma per qualcuno non basta. «La gente sarebbe dovuta arrivare fino a Porta Pia», protesta una donna.
A Maryam invece s´illuminano gli occhi «a vedere così tanta gente». Ha lasciato l´Iran trent´anni fa perché non era «libera né sotto lo Shah né sotto Khomeini» e sono trent´anni, dice, che «a protestare qui davanti contro il regime siamo solo in tre o quattro iraniani». Anche Bonelli è soddisfatto. «Questo è solo l´inizio», commenta. «Ed è anche grazie all´appello degli intellettuali francesi rilanciato sul sito di Repubblica che l´Italia si è mobilitata e che oggi siamo qua». Sul tardi arriva anche il sottosegretario all´Attuazione del programma di governo, Daniela Santanchè, insieme all´onorevole del Pdl Barbara Saltamartini. Prende la parola «in rappresentanza del governo», ma c´è chi la contesta: «lo stesso governo che ha accolto Gheddafi con tanto di onori». «C´è sempre qualcuno che vuol portare avanti le differenze ideologiche, ma noi siamo qui per superarle», commenta più tardi.
La mobilitazione intanto continua anche su Internet: su Repubblica.it volano verso quota 100mila le firme alla petizione promossa da un gruppo di intellettuali francesi e alle "Lettere a Sakineh" della première dame francese Carla Bruni, dello scrittore Roberto Saviano e di altri politici e intellettuali si aggiunge quella del ct della nazionale di calcio italiana Cesare Prandelli, mentre Francesco Totti e tutta l´A. S. Roma sostengono l´appello per la salvezza di Sakineh. Una partecipazione che rincuora gli studenti del Movimento verde iraniano. Ma solo in parte: «Speriamo che questo sit-in dia visibilità anche ad altre cause: dopo le violenze post-elettorali dello scorso anno, ci sono ancora centinaia di prigionieri politici nelle carceri iraniane», ricordano. Oggi si daranno di nuovo appuntamento in via Nomentana per ricordare la giornalista iraniana Shiva Nazarahari che sarà processata il 4 settembre. «Anche lei, come Sakineh, rischia la vita».
La REPUBBLICA - Giampaolo Cadalanu : " L´avvocato costretto all´esilio: 'Non dimenticatela o sarà la fine' "

Mohammad Mostafei
I sassi aguzzi sono già pronti, ma in attesa del "via libera" alla lapidazione di Sakineh, in Iran il boia non si ferma. Ieri è stata Iran Human Rights a pubblicare un rapporto choc, che raccoglie testimonianze sulle esecuzioni nel carcere di Vakilabad, a Mashhad, nel nord est della repubblica islamica. Qui, secondo le ricostruzioni, nel solo 2009 sono state impiccate almeno 50 o 70 persone. «Abbiamo notizie di decine, forse centinaia di esecuzioni», dice il portavoce Mahmood Amiry-Moghaddam, «e crediamo che altre centinaia di detenuti siano in pericolo imminente». L´organizzazione parla anche di una lettera "segreta" con cui il capo della magistratura, Sadegh Larijiani, ha chiesto alla Guida suprema, l´ayatollah Ali Khamenei, il via libera per giustiziare 1120 detenuti la cui condanna a morte è già stata approvata dalla Corte suprema.
A fermare la mano del carnefice o le pietre della folla allucinata resta solo la pressione internazionale, dice Mohammad Mostafei, l´avvocato di Sakineh Ashtiani, costretto a fuggire in Norvegia e raggiunto proprio ieri a Oslo dalla famiglia: «La storia della signora Ashtiani è diventata un caso diverso dagli altri solo grazie all´attenzione internazionale che si è creata. Soltanto per questo le autorità iraniane non hanno ancora preso una decisione finale su di lei».
Avvocato, quali decisioni potrebbero essere prese e da chi?
«La scelta tocca al capo della magistratura, l´ayatollah Larijiani, che può decidere di andare avanti con la lapidazione oppure chiedere la grazia alla Guida suprema, l´ayatollah Khamenei. A questo punto la grazia potrebbe arrivare come amnistia totale e quindi la signora sarebbe rimessa in libertà. Ma è anche possibile che la Ashtiani debba scontare un ulteriore periodo di carcere, oltre a quello che già trascorso, perché è stata giudicata colpevole di omicidio».
Che cosa può fare la comunità internazionale?
«È importante che la pressione non si interrompa, serve l´attenzione continua della stampa, perché la lapidazione sia fermata. E poi bisogna considerare che la mobilitazione generale influisce anche sugli altri casi di abuso dei diritti umani. Purtroppo l´Iran è uno dei paesi che più li violano».
Insomma, la sopravvivenza di Sakineh dipende dall´attenzione internazionale?
«È così. Non dimenticatela, o la sua vita sarà in pericolo immediato».
Come valuta la situazione generale del paese? In altre parole, quanto consenso c´è per il regime?
«Il regime trae il potere solo da una parte del paese, la peggiore, direi. Sono quelli che controllano i soldi del petrolio, e li usano per sé, per sostenere quella che è ormai una dittatura».
E l´opinione pubblica?
«La maggioranza degli iraniani è critica, per la mancanza di libertà politica e sociale e per la certezza del diritto che non è certo soddisfacente. C´è anche una parte della popolazione che vive collegata al denaro del regime e che quindi lo sostiene».
Lei è fuggito dal paese per rifugiarsi in Norvegia. Perché?
«Avrei preferito restare in Iran. Ma non ho mai nascosto le mie critiche al sistema. E a un certo punto le autorità hanno preso mia moglie in ostaggio, l´hanno arrestata senza motivo. Per questo ho capito che non avevo scelta: ho deciso di andare via, non volevo accettare di essere continuamente sotto ricatto. Ora mia moglie è libera, grazie a Dio».
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