Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Da quando Obama è alla Casa Bianca la politica Usa in Iraq non funziona più Il presidente Usa l'avrà riconosciuto nel suo discorso sul ritiro? Cronaca di Guido Olimpio, commento del Foglio
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Guido Olimpio - La Redazione del Foglio Titolo: «Obama volta pagina: 'Via dall’Iraq, pensiamo all’economia' - Le parole di Obama sull’Iraq»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/09/2010, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Obama volta pagina: 'Via dall’Iraq, pensiamo all’economia' ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Le parole di Obama sull’Iraq". Ecco i due articoli:
Il FOGLIO - " Le parole di Obama sull’Iraq "
George W. Bush
Questo giornale è andato in stampa prima di poter ascoltare il discorso del presidente Obama alla nazione americana sulla fine delle operazioni di combattimento in Iraq. Tre cose si possono però dire, per giudicare se ieri il presidente ha parlato bene. La prima è la più facile: dovrebbe avere evitato ogni cornice celebrativa alla “abbiamo vinto, missione compiuta”. Il predecessore Bush non pronunciò mai nel 2003 la famigerata frase “Missione compiuta”, anzi, mise in guardia dal rischio di pericoli futuri, ma fu dannato dalla scelta di parlare sul ponte della portaerei Lincoln, tra marinai plaudenti, con alle spalle lo striscione “Mission accomplished”. La seconda: Obama dovrebbe aver individuato un obiettivo decentemente chiaro per la fase successiva dell’impegno americano in Iraq. Non può essersi soltanto limitato a formule vaghe come “ritiro responsabile”, come ha fatto finora. E’ il punto cruciale, perché non può dare l’impressione che l’Amministrazione è totalmente indifferente alle sorti degli iracheni – senza governo da sei mesi – e che semplicemente non vede l’ora di andarsene. “L’obiettivo dichiarato da Bush, “un Iraq democratico che si governa da sé, si difende da sé ed è un alleato nella guerra al terrore” era anch’esso vago, ma parlava assieme agli iracheni e agli americani. Ieri sul New York Times Paul Wolfowitz, vice di Rumsfeld nel 2003, avvertiva: “Quello che ora portiamo via dall’Iraq è meno importante di quello che lasciamo laggiù”. La terza: dovrebbe riconoscere il buono fatto dal predecessore, che ha avuto il coraggio di ordinare il surge di truppe quando nessuno ci credeva, e far capire di essersi accorto che negli ultimi 18 mesi, da quando lui è alla Casa Bianca, la politica americana in Iraq non sta più funzionando bene.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Obama volta pagina: 'Via dall’Iraq, pensiamo all’economia' "
Barack Obama
WASHINGTON — «Né proclami di vittoria e niente giri d’onore». Barack Obama, nell’annunciare la fine delle operazioni di combattimento per le truppe americane in Iraq, ha scelto il realismo, perché questa «pietra miliare» non può nascondere le insidie che restano.
Nell’atteso discorso dallo Studio Ovale alle 20 locali (l’alba in Italia) — e il cui testo è stato anticipato ai media —, il presidente ha ri marcat oil «prezzo enorme» pagato dagli Stati Uniti nella campagna dei 7 anni ed ha poi sottolineato come l’obiettivo principale della Casa Bianca sia rimettere in piedi l’economia. Un chiaro messaggio ai cittadini: con i soldi che potremmo risparmiare a Bagdad cercheremo di creare posti di lavoro. «E’ il momento di voltare pagina — ha aggiunto Obama — L’Operazione Iraqi Freedom è terminata, ora è il popolo iracheno ad avere la responsabilità della sicurezza».
Ieri per l’America e il suo presidente è stato l’Iraq Day. Una lunga giornata apertasi con la visita di Obama nella base di Fort Bliss, in Texas, e chiusasi con il discorso alla nazione. Una maratona dedicata alle guerre — Iraq e Afghanistan — senza dimenticare i guai dell’economia.
A Fort Bliss, punto di transito per migliaia di soldati, Obama ha ringraziato i veterani per il loro sacrificio ma ha subito avvertito: «Non ci saranno canti di vittoria». Questo perché se in Iraq i 50 mila soldati rimasti avranno un ruolo d’appoggio, la situazione resta complessa e c’è «molto lavoro da fare». A Bagdad, infatti, non riescono a formare un governo, i ribelli restano in agguato, le istituzioni sono fragili. E sarà ancora più dura in Afghanistan, che diventa il fronte numero uno e dove il presidente prevede «combattimenti difficili».
Lasciando da parte i trionfalismi e insistendo sul «grazie» agli uomini in divisa, Obama ha voluto evitare di ripetere l’errore compiuto dal suo predecessore, George W. Bush quando sul ponte della portaerei Lincoln annunciò nel 2003 «missione compiuta». Ma, secondo alcuni osservatori, Obama avrebbe fatto meglio a non intervenire del tutto in quanto l’Iraq può riservare sempre brutte sorprese.
Scegliendo, però, per la seconda volta la tribuna dell’Ufficio Ovale — la prima era per la marea nera — il presidente ha voluto dare solennità al momento. Per tre ragioni. E’ la conferma della promessa fatta in campagna elettorale di un ritiro «in modo responsabile»: «L’ho mantenuta» ha rimarcato Obama. E’ un tentativo di riconquistare consensi in vista del voto di medio termine che vede favoriti i repubblicani (sono a più dieci nei sondaggi). E’ il modo per chiudere — almeno sulla carta — una guerra lasciatagli in eredità da George W. Bush.
E nell’Iraq Day l’ombra del predecessore è tornata. Obama, durante il volo verso Fort Bliss, ha telefonato dall’Air Force One a George Bush. Un gesto che molto repubblicani si aspettavano. Se in Iraq il quadro è migliorato — hanno polemizzato in queste ore — lo si deve al famoso «surge», l’aumento di truppe americane voluto dall’allora presidente e contestato da Obama, accusato dagli avversari di volersi appropriare del successo: «Questo giorno appartiene alle nostre truppe».
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