Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/08/2010, a pag. 1-3, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " Oltre il limite ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Lupi e Mario Mauro dal titolo " Basta offrire il palcoscenico al dittatore ".
Ecco i due pezzi:
CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " Oltre il limite "

Franco Venturini
Fu Indro Montanelli a spiegare che talvolta bisognava votare «tappandosi il naso». Gli interessi economici di tutti gli Stati, anche delle democrazie liberali, applicano un identico pragmatismo. Pensiamo ai rapporti degli Usa con la Cina, che non è certo la patria dei diritti umani. Pensiamo agli europei, italiani compresi, che per il gas e il petrolio trascurano i vizietti autoritari della Russia o la natura non esattamente democratica delle monarchie del Golfo. Non dobbiamo dunque scandalizzarci se l’Italia e il suo governo (peraltro ci provarono anche quelli precedenti, di destra e di sinistra) hanno teso tutt’e due le mani a un interlocutore tirannico, dal passato tenebroso e bizzarro come Muammar Gheddafi.
Non dobbiamo neppure, visto che da questa tolleranza ricaviamo un notevole tornaconto, essere eccessivamente intransigenti sulla forma propria delle visite di Stato, e ritenerci perciò offesi da quel che è stato benevolmente definito «folclore». In questi tempi di vacche magre fare business con chi se lo può permettere e portare in Italia i relativi benefici (sperando che tali davvero siano) è cosa che vale ampiamente qualche distrazione protocollare. Tanto più che Berlusconi, visto che di lui si tratta, per favorire l’azienda Italia ha chiuso con Gheddafi l’interminabile contenzioso coloniale e post coloniale, e non ha, come erroneamente si dice, «sdoganato » la reproba ed ex terrorista Libia perché a questo l’Occidente aveva già disinvoltamente provveduto prima della firma del Trattato di Bengasi.
Eppure, anche se è ragionevole e conveniente «tapparsi il naso» e accogliere Gheddafi nel modo migliore, crediamo che l’Italia di Berlusconi abbia sbagliato nel superare, o nel lasciare che venissero superati, limiti che dovrebbero essere considerati invalicabili perché collegati al buon nome del Paese e alla sua credibilità sulla scena internazionale. Erano presenti Berlusconi e quasi tutto il suo governo, ieri, quando Muammar Gheddafi ha lanciato quello che è difficile non definire un ricatto all’Europa. Per fermare l'immigrazione clandestina nella Ue, ha spiegato, la Libia deve ricevere almeno cinque miliardi di euro l’anno. Altrimenti risulterà impossibile controllare il flusso di milioni di esseri disperati, e l’Europa si ritroverà nera come l’Africa.
È vero che il leader libico non ha indicato scadenze, non ha precisato i termini dello scambio. Ma ha affermato (e noi rimaniamo speranzosi in attesa di smentite) di muoversi con il sostegno dell’Italia. Come se la ben pagata rappacificazione bilaterale gli offrisse ora l’occasione di alzare la posta, di chiedere soldi a tanti mettendo loro alla gola il coltello dei clandestini. Erano presenti Berlusconi e quasi tutto il suo governo anche quando Gheddafi — che nel frattempo aveva strizzato l’occhio ai padroni di casa appoggiando un seggio italiano nel Consiglio di sicurezza dell’Onu — ha disegnato la sua visione del Mediterraneo. Un mare di pace, e va bene. Un mare che va salvato dall’inquinamento, e va bene. Un mare nel quale deve esserci dialogo tra sponda nord e sponda sud, e va benissimo. E poi, ecco la ciliegina: un mare da sottrarre ai «conflitti imperialistici», nel quale possano muoversi soltanto le navi militari dei Paesi rivieraschi. Chissà se Gheddafi pensava in astratto. Perché in concreto l’unica forza «straniera» dislocata nel Mediterraneo è la VI Flotta statunitense, che ha le sue basi, guarda caso, in Italia.
Tutto «folclore», tutte stranezze di un leader che è sempre stato diverso? Chi vuole crederlo lo creda. Ma a noi pare di rivedere semplicemente il Gheddafi di sempre, quello pre-Trattato con l’Italia, quello che ha sempre tenuto la corda tesa per ricompattare il suo fronte interno e ha sempre monetizzato gli interessi altrui. Se necessario con un non troppo velato ricatto, come accade nei confronti di una Europa che conosce bene, e affronta male, la questione dell’immigrazione clandestina. E non finiscono qui, le grandi questioni che la visita del leader libico ha sollevato e che fanno da contraltare alle nostre convenienze economico- energetiche. Gheddafi si fa predisporre una platea in fiore per auspicare che l’Islam diventi la religione dell’Europa. Concetto per nulla scandaloso, dal momento che ognuno è libero di auspicare il trionfo anche planetario della propria religione.
Ma Gheddafi il suo proselitismo lo fa a Roma, capitale della cristianità. E lo fa ospite di Berlusconi, che polemizzò a suo tempo con la Francia perché la laica Parigi non voleva che nella poi fallita costituzione europea venissero menzionate le radici giudaico-cristiane. Questo numero Gheddafi lo aveva già recitato in occasione della sua prima visita a Roma. Si poteva e si doveva prevedere, e prevenire, la sua ripetizione. Anche perché sorge spontanea una domanda: come reagirebbe il medesimo Gheddafi se il capo dello Stato italiano si recasse a Tripoli e lì, nell’ambasciata d’Italia ma davanti a una folta platea libica appositamente riunita, auspicasse la cristianizzazione di Libia e dintorni? Poi c’è quel tipo di forma che diventa sostanza. Passi, lo abbiamo detto, per gli aspetti circensi.
Ma è sbagliato inserire tra le stranezze del colonnello anche la ripetuta convocazione di centinaia di hostess alle quali esprimere, appunto, il desiderio di estendere le fortune islamiche. Come si è giunti a queste riunioni che per la loro evidente selettività di sesso e di estetica offendono le donne? Chi ha finanziato una ricerca tanto accurata e tanto difficile (pensiamo alle implicazioni in materia di sicurezza)? Qualora venisse invocato il rispetto dell’extraterritorialità (gli incontri hanno avuto luogo in sedi libiche), quale parte hanno svolto le autorità italiane? Se si considera che è sempre aperta la ferita delle intese sui respingimenti degli immigrati clandestini provenienti dalla Libia (il numero degli arrivi in Italia è effettivamente diminuito, ma la sorte di quei disgraziati rimandati al mittente rimane più che incerta nei poco ospitali campi di Gheddafi), la nostra impressione è che il conto del dare e dell’avere avrebbe potuto, anzi avrebbe dovuto essere fatto meglio. Anche tappandosi il naso.
La STAMPA - Maurizio Lupi, Mario Mauro : " Basta offrire il palcoscenico al dittatore "


Maurizio Lupi, Mario Mauro
Caro direttore, acta est fabula. Dopo due giorni di Gheddafi-show verrebbe voglia di gridare ai quattro venti il celebre motto dell’imperatore Cesare Augusto: «Signori e signori, lo spettacolo è finito».
Perché le amazzoni, i cavalli berberi, la tenda beduina, i vestiti appariscenti, le hostess a pagamento sembrano annebbiarci la vista. Siamo così abituati alle folkloristiche esagerazioni che il leader libico si concede quando viene qui che tutto il resto passa in secondo piano. Avvolto da un manto di preoccupante indifferenza. Ma le parole pronunciate da Gheddafi davanti alle 500 adepte accuratamente selezionate non possono lasciarci indifferenti. Quel richiamo alla necessità che l’Islam diventi la religione dell’Europa ha una portata dirompente. E non possiamo rimanere fermi a guardare anche perché, come scriveva Paul Bourget alla fine di un suo celebre romanzo, «l'uomo o agisce come pensa o finisce per pensare come agisce».
Per questo ci permettiamo di sollevare una questione: è ancora opportuno offrire il nostro Paese come palcoscenico per gli spettacoli del rais? Certo, è fondamentale per noi sviluppare relazioni diplomatiche privilegiate con la Libia, ma come mai scene e appelli come quello di domenica non si vedono mai in Germania o nel resto d’Europa? Ormai nessuno sembra più essere cosciente del reale pericolo che rappresentano quelle parole. Non perché contengano una particolare carica fondamentalista, ma perché il contesto di relativismo che le accoglie ne stravolge completamente rilevanza e senso. È come se ogni cosa avesse lo stesso valore. Le frasi di Gheddafi sono un pericolo proprio per il fatto che non ne avvertiamo la gravità.
Tra l'altro non possiamo nasconderci che quello che è avvenuto domenica non potrebbe mai verificarsi in molti Paesi musulmani. Cosa accadrebbe se, non un politico cristiano, ma un qualsiasi cristiano facesse certe affermazioni? Verrebbe perseguito dalla legge per aver utilizzato espressioni o comportamenti non idonei alla religione locale.
La provocazione di Gheddafi serve quindi a ricordarci ciò che siamo e cosa significa essere cristiani. Hrant Dink, il giornalista turco-armeno assassinato nel 2007 nel quartiere di Istanbul davanti al suo giornale, ricordava: «Ascoltando le 5 preghiere islamiche mi ricordo di essere cristiano; la convivenza fa crescere la consapevolezza e alimenta la conoscenza». Ed è proprio facendo riferimento alla Turchia e al suo ingresso nella Ue che Gheddafi si è provocatoriamente augurato l’islamizzazione dell’Europa. Ma il rais dimentica che ciò che blocca questo processo è l’assenza, in quel Paese, di alcuni requisiti di libertà e democrazia, che sono testimonianza concreta dell’incidenza della tradizione cristiana nel processo di formazione dell’Europa.
Infatti la consapevolezza di essere cristiani è anche la consapevolezza dell’incidenza di quel processo che ha avuto tra i suoi frutti maturi la democrazia e la libertà, il vero problema del popolo è infatti essere libero dal potere e un Dio che non rappresenti per l’uomo la possibilità di compiere il proprio desiderio di infinito è solo l’origine di una nuova schiavitù. Se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Per questo è incredibile un’Europa che non si apra alla dimensione pubblica della religione. Perché proprio un’Europa che cerca di confinare nel privato la rilevanza sociale del cristianesimo diventa fragile rispetto a esibizioni come quelle di Gheddafi.
Non dobbiamo mettere in atto una crociata identitaria. Quello che è realmente importante è l’amore per il destino del popolo che ha bisogno di essere libero dal potere.
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