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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
30.08.2010 Gheddafi a Roma invita l'Europa a islamizzarsi
Cronache e commenti di Vittorio Emanuele Parsi, Gian Antonio Stella, Oliver Roy, Antonella Rampino

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Vittorio Emanuele Parsi - Antonella Rampino - Anais Ginori
Titolo: «L'alleato imbarazzante - I capricci di Sua Maestà da Tripoli -È il solito teatro del Colonnello il suo è un Islam da caricatura - Gheddafi sbarca a Roma: 'L’Europa sarà islamica'»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/08/2010, a pag. 2, la cronaca di Antonella Rampino dal titolo " Gheddafi sbarca a Roma: 'L’Europa sarà islamica' ", a pag. 1-27, il commento di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " L'alleato imbarazzante ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 38, l'articolo di Gian Antonio Stella dal titolo " I capricci di Sua Maestà da Tripoli ". Da REPUBBLICA, a pag. 2, l'intervista di Anais Ginori a Olivier Roy dal titolo " È il solito teatro del Colonnello il suo è un Islam da caricatura ".
Ecco gli articoli:

La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " L'alleato imbarazzante "


Vittorio Emanuele Parsi

Napoleone Bonaparte si racconta fosse furibondo con i suoi parenti, sempre avidi di nuovi regni e onori, e che a ogni loro astrusa richiesta commentasse sconsolato «Che posso dire! Gli amici si scelgono, i parenti ti capitano». Difficile che Silvio Berlusconi possa invocare la malasorte, pensando a tutti i guai che il suo amico Gheddafi gli sta combinando.

Arrivato a Roma con il solito imbarazzante codazzo di «amazzoni», tende e cavalli, che in confronto un circo di terz’ordine apparirebbe sobrio, l’ineffabile colonnello ha pensato bene di esternare la sua filosofia religiosa. Così, di fronte a un inclito pubblico di più o meno avvenenti hostess convocate all’uopo, ha invitato l’Europa «a convertirsi all’Islam», portando a casa, almeno a quel che si dice, la conversione di tre ragazze, come acconto. Il monito, già discutibile di per sé (andiamo, colonnello, delle signore appena conosciute le si invita a un giro di danza, a cena, a far due chiacchiere, non alla conversione… figuriamoci poi i continenti), risulta essere un’autentica cafonata fatto in quella Roma che oltre a essere la capitale d’Italia è, anche, la sede del papato da una cosetta da nulla come duemila anni. Pur in un’epoca in cui al multiculturalismo è doveroso sacrificare persino il buongusto e l’eleganza, la visita dell’ospite libico è sempre più (pre)destinata a essere il trionfo del Kitsch.
C’è qualcosa di francamente sconcertante nel vedere come un premier e un governo che hanno sempre fatto della difesa delle radici cristiane dell’Europa, dell’atlantismo e dell’occidentalismo uno dei tratti più caratterizzanti della propria filosofia politica, un vero e proprio tratto di autoidentificazione, possano poi trovarsi in una situazione così imbarazzante. Si dirà che occorre trattare con i vicini che si hanno e cercare di mantenere buone relazioni con chiunque. Corretta osservazione. Allo stesso modo si potrà ricordare che va a merito del governo Berlusconi aver chiuso l’infinito contenzioso con la Libia, tra l’altro in modo tutto sommato vantaggioso per noi, impresa che non era riuscita né al furbissimo Andreotti né al sornione Prodi: incontestabile. Si affermerà, infine, che il Trattato di Bengasi ha consentito di trasformare la Libia in un partner per la lotta all’immigrazione clandestina: vero, pur con qualche imbarazzo sulle modalità con cui le autorità libiche si prestano alla bisogna.
Ma l’interesse nazionale non giustifica, e soprattutto non richiede, di rendersi disponibili a ospitare grottesche pagliacciate. È pur vero che l’ospite è sacro, ma è altrettanto vero che reiterare inviti a ospiti così imbarazzanti è poco furbo. È una delle regole da sempre discretamente seguite in diplomazia. Gli inglesi, che han governato un impero per qualche secolo e la cui abilità diplomatica li ha spesso esposti ad accuse di «doppiezza» (la perfida Albione…), erano sicuramente costretti a intrattener rapporti con personaggi bizzarri almeno tanto quanto il colonnello. Ma non han mai trasformato Hyde Park in un circo. Avevano ben chiaro il senso della dignità della Casa («Home Fleet» era il nome della Flotta destinata a tutelare le Isole, e «domestic» è l'aggettivo usato per definire gli affari interni). Talvolta si direbbe che sia invece un’altra la metafora che il premier ha in mente per l’Italia, e cioè quella aziendale, per cui, si sa, «il cliente ha sempre ragione»… Più che conflitto di interessi, in questo caso, si potrebbe parlare di una vera e propria confusione di ruoli da parte del premier-imprenditore. Una confusione che, comunque, non fa bene al Paese e alla sua immagine.

CORRIERE della SERA - Gian Antonio Stella : " I capricci di Sua Maestà da Tripoli "


Gian Antonio Stella

Compiaciuto tra i suoi 30 cavalli berberi più belli di quelli di Ben Hur, le amazzoni di scorta con rimmel antisommossa e le sue 500 ninfette italiane prese a nolo, «Papi» Muammar benedice l’amico Silvio e tutto il popolo italiano: questa sì è un’accoglienza da Re! E chissà che anche stavolta, tra le seguaci conquistate dalla sua oratoria e da un pacco di fruscianti bigliettoni, non spunti fuori qualche convertita all’Islam...

Diciamo la verità: era cominciata male, tra Gheddafi e gli italiani. Prima il fastidio delle polemiche sulla cacciata dei nostri connazionali buttati fuori dopo la rivoluzione. Poi lo strascico del rancore per la nostra occupazione coloniale che gli aveva fatto istituire la Giornata della Vendetta. Poi i seccanti sospetti su un suo coinvolgimento in certi episodi terroristici. Poi i missili contro Lampedusa e la rivendicazione della sovranità sulle Tremiti. Per non dire di certe parole di Oriana Fallaci: «Oltre ad essere un tiranno è un gran villanzone». Peggio: «È clinicamente stupido». Peggio ancora: «È senz’altro il più cretino di tutti». Screanzata. Più ancora di Indro Montanelli, che lo aveva bollato come «un sinistro pagliaccio». Più di Reagan, che lo chiamava: «Il cane di Tripoli».

Vabbè, pietra sopra. Tutto cancellato dal rapporto con l’amico Silvio. Lui, Muammar, l’aveva detto già nel lontano 1994: «Io e Berlusconi siamo fatti per intenderci, in quanto rivoluzionari. Prevedo per lui grandi successi nella gestione dello Stato, così com’è stato nella gestione del Milan. La sua personalità è apparsa all’orizzonte cambiando tutto da cima a fondo». Certo, il Cavaliere non ha accettato tutti i suoi consigli su come risolvere le grane parlamentariste. L’anno scorso in Campidoglio, ad esempio, aveva detto: «Il partitismo è un aborto della democrazia. Se me lo chiedesse il popolo italiano gli darei il potere. Annullerei i partiti, affinché il popolo possa prendere il loro posto. Non ci sarebbero più elezioni e si verificherebbe l’unità di tutti gli italiani. Basta destra e sinistra. Il popolo italiano eserciterebbe il potere direttamente, senza rappresentanti». Quindi, all’università «La Sapienza», aveva spiegato che questa è l’essenza della democrazia: « Demos in arabo vuol dire popolo e crazi vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie». Aristotelico.

Allora, alle «letterine» affittate perché ascoltassero a ottanta euro l’una il sermone maomettano, aveva rivelato: «Sapete che al posto di Gesù crocifissero un suo sosia?». Questa volta, tra i sorridenti inchini e gli ossequiosi salamelecchi dei nostri uomini di governo solitamente ostili, diciamo così, a certi discorsi, è andato oltre: «L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l’Europa». Lo dicesse l’imam di una sgangherata moschea di periferia sarebbe scaraventato fuori tra strilli di indignazione. Lo dice lui? Spallucce. È la politica, bellezza.

Così è fatto, «Papi» Muammar: adora essere circondato da cammelli, cavalli e puledre. Il tutto con una sobrietà che in quattro decenni di potere è diventata leggendaria. Oddio, diciamo la verità: il Colonnello si muove nel solco di una storia antica. È un secolo che gli italiani dalla Libia si aspettano cose spropositate. Basti ricordare come, per eccitare la fantasia dei lettori prima della conquista, l’inviato de «La Stampa» Giuseppe Bevione scriveva che laggiù c’erano «ulivi più colossali che le querce» e che l’erba medica poteva «essere tagliata 12 volte all’anno» e che i poponi crescevano «a grandezze incredibili, a venti e trenta chili per frutto». Va da sé che, con questi poponi alle spalle, il re beduino della Jamahiriyya non poteva essere da meno.

Il suo piccolo Paese, disse un giorno Igor Man, «gli è sempre andato stretto». Detto fatto, si è sempre mosso alla grande. Come quando si presentò al vertice dell’Unione africana ad Addis Abeba facendosi precedere da 15 lussuosissime auto blu personali fatte sbarcare da aerei giganteschi e scandalizzò tutti con due valigie («Un regalo del nostro leader ai capi di Stato africani», spiegarono i diplomatici) piene d’oro zecchino. O quando, sceso a Roma con la solita corte di 300 attaché, pretese che gli montassero una tenda di 60 metri quadrati a Villa Pamphilii con 12 poltrone dai piedi dorati, lampade, divanetti, tavoli e «grandi incensieri per profumar l’ambiente». O quando inaugurò un pellegrinaggio attraverso Swaziland, Mozambico, Malawi, Zimbabwe e Kenia presentandosi in Sudafrica con due Boeing 707 in configurazione Vip, un jet più piccolo d’appoggio, un gigantesco Antonov russo con a bordo due autobus di lusso da 46 posti, sessanta auto blindate e 400 guardie del corpo armate fino ai denti di kalashnikov. Più, piccolo dettaglio regal-pastorale, un container frigorifero di agnelli macellati.

Potevano i figli di tanto padre non seguirne l’esempio? No. Ed ecco Hannibal e Moutassem sgommare in Costa Smeralda al volante di una Ferrari a testa fino a far saltare i nervi del giardiniere della spettacolare villa presa in affitto, furibondo per la quotidiana raccolta di cocci delle bottiglie di champagne millesimato buttate dalla finestra. Ecco il conto preteso per via giudiziaria (la famiglia si era dimenticata di pagare) dall’hotel Excelsior di Rapallo per una vacanza di Al Saadi, detto l’Ingegnere: 392 mila euro per sei settimane. Ecco lo stesso Al Saadi, capricciosamente deciso a «giocare al calciatore professionista», affittare Villa Miotti a Tricesimo: 13 mila euro al mese. Spiccioli per un uomo che, volendo farsi insegnare qualche trucco sul palleggio, raccontò Emanuela Audisio su Repubblica, ingaggiò per gli allenamenti un trainer personale esclusivo: Diego Armando Maradona. Costo: 5 milioni di dollari.

Anche queste cose però, diciamo la verità, finiscono per annoiare. Ed è così che il despota tripolino, un bel giorno, ha deciso di commissionare alla Tesco Ts di Torino un’auto disegnata da lui medesimo. Possibile? Parola dei costruttori dei due prototipi: «Durante la realizzazione di questa macchina, l’équipe tecnica di Tesco Ts ha seguito alla lettera le idee del designer, il Leader, per produrre la vettura perfetta secondo la sua visione». E come poteva essere la vettura perfetta, per sua maestà Muammar? Rifiniture in marmo. Un capriccio è un capriccio. Se no che gusto c’è ad essere il leader di una Jamahiriyya Popolare e Socialista?

 

La STAMPA - Antonella Rampino : " Gheddafi sbarca a Roma: 'L’Europa sarà islamica' "


Muammar Gheddafi

«L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l’Europa». Non fa neanche in tempo ad arrivare a Roma, lasciando Frattini ad aspettarlo a Ciampino per un’ora e mezza, che Gheddafi lancia il suo ballon d’essai. Altre fonti riferiscono una versione ancora più netta della stessa frase, «l’Islam diventerà la religione d’Europa», e per quanto pronunciata nel chiuso dell’ambasciata di Tripoli a Roma, e di fronte a cinquecento giovani hostess reclutate per l’occasione, che subito divampa la polemica. Per i Turchi evocati alle porte di Vienna come nel Settecento, e per il manipolo di odalische occidentali convocate nel parco della residenza di via Cortina d’Ampezzo.
Imbarazzato il governo, con il cattolicissimo sottosegretario al presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi che cerca di buttare acqua sul fuoco, «una battuta pronunciata in una riunione privata», e poi «è diritto di chiunque sia veramente credente immaginare che il mondo possa diventare come lo si vorrebbe». Ma è soprattutto la seconda parte del «ragionamento» della suprema Guida della Rivoluzione (questo è il ruolo ufficiale di Gheddafi) ha scatenare le ire anzitutto della Lega: l’islamizzazione dell’Europa, dice infatti Gheddafi, «comincerà dall’ingresso della Turchia in Europa».
Non c’è bisogno che la Lega dia ascolto al casiniano D’Elia, che solo pochi minuti prima chiedeva «cosa pensa Bossi dell’indegna sceneggiata di Gheddafi a Roma, quel lusso sfrenato in contrasto coi barconi che fuggono dalle coste libiche?». Scatta subito in automatico Borghezio, che stigmatizza ovviamente «il progetto di islamizzazione dell’Europa», e invita il governo di cui fa parte «a tenere bene in conto il grado di affidabilità e di lealtà di chi ha la filosofia di un mercante di tappeti». È stretta tra due fuochi la Lega: ha bisogno della politica dei respingimenti dei migranti attuata attraverso gli accordi con Gheddafi, che viola ogni diritto umano come ancora ieri tornava a ricordare Laura Boldrini dell’Onu, e s’accorge che l’alleato è «un pericoloso mercante di tappeti» solo quando parla dell’Islam.
L’altro punto è proprio quello delle giovani hostess. «Un’istigazione alla prostituzione», secondo l’Italia dei Valori. «Una nuova forma di mercificazione del corpo della donna, possibile solo nell’italietta di Berlusconi», incalza Rosi Bindi: «Invece di chiedere ragione delle condizioni di vita di migliaia di migranti, il governo offre un palcoscenico a chi fa propaganda circondandosi di belle ragazze». Umiliante per l’Italia, «subalterna a Gheddafi», è la chiosa di Rosi Bindi.
E non è ancora finita, poiché la grande giornata del Colonnello a Roma è proprio quella di oggi. Tra caroselli di cavallerizzi berberi, altri incontri con avvenenti hostess non tutte contente di ricevere, come ieri, una copia del Corano in arabo e un compenso di 70 euro. Prima, mostra fotografica e convegno sui rapporti italo-libici. E gran finale con la cena per ottocento, offerta da Silvio Berlusconi. Il cuoco Michele è già al lavoro per il tradizionale tris di pennette tricolore.

La REPUBBLICA - Anais Ginori : " È il solito teatro del Colonnello il suo è un Islam da caricatura "

Secondo Olivier Roy "  il leader libico ha abbandonato il terrorismo ". Anche ricevere con tutti gli onori come se fosse un eroe il terrorista di Lockerbie dopo che era stato scarcerato dalla Scozia circa un anno fa perchè 'malato terminale'  fa parte di questo nuovo corso?
Ecco l'intervista:


Olivier Roy

PARIGI - «È il solito, vecchio teatro di Gheddafi. Non bisogna preoccuparsi, né prenderlo troppo sul serio». L´orientalista Olivier Roy, specialista dell´Islam, sorride vedendo l´adunata di ragazze pronte a convertirsi davanti al leader libico. «È solo spettacolo, pura retorica» ripete Roy, professore all´Istituto universitario europeo di Firenze e autore del saggio su nuove religioni e fondamentalismi moderni, "Santa Ignoranza", pubblicato qualche mese fa da Feltrinelli.
Gheddafi è credibile come portavoce dell´Islam?
«Non ha alcuna formazione teologica. E il suo Libro Verde è stato un tentativo di riscrittura dell´Islam che ha destato scandalo tra gli studiosi. Per i tradizionalisti deve infatti esistere unicamente il Corano. Molti musulmani che vivono in Europa si vergognano di vedere Gheddafi sbarcare a Roma e dire queste cose».
Intanto approfitta della sua visita ufficiale per chiedere che l´Islam sia la religione d´Europa.
«Ma non ha alcuna autorità per farlo, usa questa ribalta. Il problema dei governi europei è che sono costretti a ricevere il leader libico per due buone ragioni. La prima è di natura economica, Gheddafi è infatti al centro di molti affari. La seconda è strategica, perché il leader libico ha abbandonato il terrorismo. Questo gli va riconosciuto, e gli occidentali hanno in qualche modo un debito di riconoscenza nei suoi confronti. Ma ogni suo viaggio è una catastrofe diplomatica per l´Europa. Anche quando è venuto in Francia, invitato da Nicolas Sarkozy, è finita molto male».

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