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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.08.2010 Pakistan: i talebani non distribuiscono gli aiuti ai cristiani
Il Vaticano non ha niente da commentare? Cronache di Fausto Biloslavo, Alessandra Muglia

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fausto Biloslavo - Alessandra Muglia
Titolo: «In Pakistan niente aiuti umanitari ai cristiani - I talebani pachistani: Colpiremo gli aiuti»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 27/08/2010, a pag. 17, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " In Pakistan niente aiuti umanitari ai cristiani ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Alessandra Muglia dal titolo "I talebani pachistani: Colpiremo gli aiuti  ".
Ecco i due articoli:

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " In Pakistan niente aiuti umanitari ai cristiani"


Cristiani pakistani

Non solo i pachistani sono vittime di serie B e la comunità internazionale ha raccolto spiccioli per la disastrosa alluvione che ha messo in ginocchio 20 milioni di persone. Adesso salta fuori che i cristiani e altri reietti non musulmani vengono tagliati fuori dagli aiuti umanitari già insufficienti. E i talebani minacciano i volontari delle organizzazioni umanitarie occidentali che danno una mano.
L'allarme discriminazione religiosa è stato lanciato ieri dall'agenzia Fides, l'organo d'informazione delle Pontificie opere missionarie. Oltre 200mila sfollati cristiani e 150mila indù, nella parte meridionale della provincia del Punjab, sarebbero discriminati nella distribuzione degli aiuti. La stessa sorte di abbandono riguarderebbe altri 600mila disgraziati nella provincia meridionale del Sindh.
«Questi sfollati mancano di tutto, attendono impotenti senza alcun rifugio. La loro sopravvivenza è a forte rischio», denuncia alla Fides un volontario impegnato sul campo. «I cristiani spesso sono ignorati: non vengono, di proposito, nemmeno identificati e registrati. In tal modo sono automaticamente esclusi da ogni assistenza medica o alimentare, in quanto non esistono», spiega la fonte dell'agenzia.
In questa fase di emergenza gli aiuti sono ancora insufficienti e gestiti in gran parte da funzionari governativi. Molti simpatizzano per l'estremismo islamico. Non solo: in particolare nel sud del Punjab, terra di madrasse fondamentaliste, operano organizzazioni pseudo umanitarie musulmane che discriminano i disperati a seconda della religione. Il disastro naturale era già stato utilizzato in Kashmir, durante il terremoto del 2005, per opera di proselitismo e reclutamento in cambio degli aiuti da parte di ong islamiche. Alcune erano emanazione di gruppi politici o armati che si battono per l'indipendenza del Kashmir.
«Mentre la Caritas e le Pontificie Opere Missionarie operano nel soccorso agli sfollati senza alcuna discriminazione di provenienza, razza o religione, in altre zone i profughi cristiani sono trattati, anche in questa tragedia, come cittadini di seconda classe», ribadisce padre Mario Rodrigues da Lahore. L'alluvione sta provocando una specie di "guerra fra poveri" per accaparrarsi gli aiuti. «I profughi appartenenti alle minoranze religiose (5% della popolazione, nda) sono i più derelitti, gli esclusi - sostiene il direttore delle Pontificie Opere Missionarie nel Paese -. I nostri sacerdoti, volontari, laici, nelle province di Punjab, Sindh e Baluchistan stanno girando per le aree colpite raccogliendo centinaia di sfollati cristiani, abbandonati a se stessi». La Caritas della diocesi di Multan sta cercando di raggiungere i cristiani e indù abbandonati in 7 distretti nel sud del Punjab per consegnare tende, cibo, acqua potabile e fornire assistenza medica.
Nazir S. Bhatti, presidente del "Congresso cristiano del Pakistan" è ancora più duro: «L'odio anticristiano impedisce di far giungere gli aiuti in molte aree».
Nell'emergenza sguazzano i talebani pachistani. «È inaccettabile la presenza di operatori umanitari stranieri nelle zone alluvionate», hanno sostenuto ieri gli integralisti in armi citati dalla tv araba al-Jazeera. Secondo gli americani, i miliziani del Tehrik-e Taliban «progettano attacchi agli stranieri che portano aiuti». In quest'ottica le Nazioni Unite hanno rivisto le misure di sicurezza rallentando inevitabilmente il flusso di aiuti. Le zone ad alto rischio sono il Baluchistan e l'area del Khyber-Pakhtunkhwa a ridosso del confine afghano. I talebani, secondo la fonte Usa, «potrebbero anche preparare attacchi contro responsabili federali e provinciali a Islamabad», la capitale. L'obiettivo è quello di sfruttare la catastrofe umanitaria per accreditare le organizzazioni caritatevoli islamiche, legate all'estremismo, come le sole in grado di aiutare la popolazione. Il vero problema è che con 4,6 milioni di senzatetto mancano ancora all'appello 800 milioni di dollari. Ieri il cartello di Ong italiane, Agire, ha lanciato l'allarme per la scarsità delle donazioni nel nostro Paese. «Nei primi cinque giorni di appello su Haiti - denuncia il direttore Marco Bertotto - la grande mobilitazione dei mezzi di informazione e dei privati cittadini ci aveva consentito di raccogliere una somma cento volte superiore a quella che abbiamo finora ottenuto per il Pakistan». Per il momento sono arrivati appena 100mila euro per le vittime pachistane di serie B e quelle cristiane e indù di serie Z.

CORRIERE della SERA - Alessandra Muglia : " I talebani pachistani: Colpiremo gli aiuti "

Un’ondata di violenza minaccia i soccorsi ai disperati del Pakistan, proprio mentre un nuovo allarme inondazioni ha portato all’evacuazione di 400 mila abitanti nella provincia meridionale del Sindh. La presenza nel Paese di operatori umanitari stranieri è stata definita « inaccettabile » dal Tehrik-e Taliban, il gruppo di talebani pachistani più radicale e violento. L’allarme era stato lanciato poco prima da un alto funzionario americano e ora l’Onu starebbe «rivedendo» il livello di sicurezza, misura che potrebbe comportare il ritiro degli stranieri da alcune zone.

L’allerta l anciata a New York è rimbalzata a Islamabad. «Le agenzie per le Nazioni Unite hanno diffuso un allarme oggi nella riunione con i responsabili per la sicurezza delle varie Ong — racconta Pierluigi Testa, capo missione a Islamabad per Medici senza frontiere —. Nessuno di noi si è scontrato con una minaccia diretta o indiretta ma la sicurezza resta un fattore fondamentale».

«Circolano voci che i talebani abbiano lanciato una raccolta fondi di 20 milioni di dollari, ponendo tra le clausole che i beneficiari rifiutino altri aiuti — riferisce Giacomo Agosti, coordinatore per le emergenze del Cesvi operativo nel distretto di Nowshera, provincia di Khyber Pakhtunkhwa (Pkp) —. Non mi risulta, però, che siamo diventati un loro bersaglio. Almeno non più del solito. Noi prendiamo sempre le nostre precauzioni: telefoniamo ogni due ore al quartier generale di Islamabad per comunicare la nostra posizione, cerchiamo di non urtare la sensibilità locale, per esempio evitando di mangiare e bere in pubblico durante il Ramadan o di fumare sigarette».

Don Peter Zago è un salesiano che da anni lavora per la ong Vis a Quetta, capitale del Belucistan, una delle province più critiche per la presenza talebana. E alle intimidazioni degli insorti è abituato: la scorsa settimana hanno attaccato il suo centro mentre lui era fuori. Il 90% dei suoi ospiti sono bambini musulmani «e questo è inaccettabile per i talebani».

Un portavoce dell’Oms ha riferito che proprio operatori umanitari della provincia di Khyber-Pakhtunkhwa e del Belucistan avevano già espresso preoccupazione per la propria sicurezza: «Ora con questa minaccia o dobbiamo ridurre le operazioni oppure incrementare le misure di sicurezza, il che significa avere più risorse».

Già, i fondi. Quelli che stentano ad arrivare, e che fanno del Pakistan un’emergenza di serie B nonostante le dimensioni del disastro: 20 milioni di sfollati e 3,5 milioni di bambini a rischio. Mentre l’Fmi sta valutando un maxi prestito, la macchina degli aiuti si sta muovendo lentamente, anche in Italia, denuncia Agire, il network italiano di ong per l’emergenza (www.agire.it). Anche la Croce Rossa Italiana (www.cri.it) rinnova l’appello a donare: «Abbiamo esaurito il budget delle emergenze per Haiti», lamenta il direttore generale, Patrizia Ravaioli. Pioniera tra le compagnie profit è Wind (del gruppo Orascom Telecom, lo stesso della telefonica pakistana, Mobilink) scesa in campo con una campagna di raccolta fondi che invita gli italiani a donare (www.mobilinkfoundation.org).

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