martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






il Foglio - Corriere della Sera - L'Unità Rassegna Stampa
18.08.2010 L'Iraq non è ancora pronto per il ritiro degli Usa
Sarà l'Iran a trarre vantaggio da questa situazione

Testata:il Foglio - Corriere della Sera - L'Unità
Autore: La redazione del Foglio - Lorenzo Cremonesi - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «In Iraq un grave vuoto di potere. Colpa di Obama che ci abbandona - La guerra mai vinta. Così nasce la strategia della fuga degli Usa»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 18/08/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Nuove istruzioni per al Qaida in Iraq ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Iraq un grave vuoto di potere. Colpa di Obama che ci abbandona ". Dall'UNITA', a pag. 27, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Lucio Caracciolo dal titolo " La guerra mai vinta. Così nasce la strategia della fuga degli Usa ", preceduta dal nostro commento.
Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - "  Nuove istruzioni per al Qaida in Iraq"

Baghdad. In meno di due settimane le truppe in Iraq saranno ridotte a 50 mila, in poche grandi basi fuori dalle città e senza più missioni di combattimento. Ricordate le previsioni catastrofiche sugli americani in Iraq, che avrebbero dovuto salvarsi come a Saigon evacuando la propria ambasciata dal tetto, con gli elicotteri? Oggi gli iracheni chiedono agli americani – che sulla riva del Tigri hanno appena costruito la nuova ambasciata, la più grande al mondo – di non abbandonare il paese perché il lavoro non è ancora finito. Come ha detto persino l’ex ministro degli Esteri di Saddam Hussein, Tareq Aziz, il rischio è che gli americani “lascino il paese ai lupi”, dove i lupi sono i terroristi di al Qaida. Ieri mattina un attentatore suicida carico di chiodi e di esplosivo è scivolato fra le centinaia di aspiranti reclute che in piazza Maidan, nella capitale, aspettavano di presentare la propria domanda d’arruolamento. L’esplosione ha ucciso 61 persone e ne ha ferite un centinaio. Anche se l’intelligence irachena ha inferto colpi devastanti all’organizzazione – uccidendo a marzo i due capi supremi ricercati da anni – “la sua struttura cellulare è rimasta abbastanza intatta”, ha detto la settimana scorsa il capo delle forze speciali americane in Iraq, il generale Patrick M. Higgins, nella sua prima intervista dalla sua nomina lo scorso inverno. “I gruppi estremisti sono molto vivi”. Al Qaida ha elaborato una strategia di ripartenza per tornare a operare in Iraq. Al primo punto c’è la caccia ai finanziamenti. Bisogna riempire le casse, senza soldi non si può sostenere la guerra. Il gruppo ha gettato i suoi uomini nel racket contro le imprese commerciali più grandi e contro le compagnie petrolifere. “Per esempio – dice il generale Raymond Odierno, che comanda tutte le truppe americane – vanno dalle compagnie telefoniche e dicono ‘paga, o colpiremo le tue antenne e i tuoi dipendenti’. La linea di separazione con la criminalità ordinaria è ormai indistinguibile, perché non ricevono più molti finanziamenti dall’esterno”. Al Qaida ha anche organizzato una serie di attacchi spettacolari di autofinanziamento contro banche, oreficerie e contro il palazzo del ministero delle Finanze. Il secondo punto è non toccare gli americani. Conviene non disturbare troppo il rientro in patria dei soldati, per non giustificare eventuali rallentamenti nella tabella di marcia: è meglio esercitarsi a colpi di retorica sulla “cacciata degli infedeli”, che intralciarne su serio le operazioni. In questo senso, Washington e al Qaida vogliono la stessa cosa: meno truppe americane in Iraq. Al Qaida si concentra piuttosto sull’esercito iracheno, destinato a restare, colpendo con il massimo dell’efficacia. Come ieri a piazza Maidan e come due settimane fa a Diyala, dove uomini armati hanno ucciso una famiglia e hanno lasciato vivi i bambini perché chiamassero i soldati: quando quelli sono arrivati, i terroristi hanno fatto saltare la casa – in tutto ci sono stati undici morti. Il terzo punto è la riconquista della minoranza sunnita, che nei primi anni di guerra ha offerto ai terroristi ospitalità e obbedienza, ma che dopo l’arrivo del generale Petraeus si è ribellata contro lo strapotere, anche territoriale, di al Qaida. Gli estremisti stanno reclutando i loro ex alleati, favoriti anche dal vuoto politico – le elezioni sono state cinque mesi fa, ma non c’è ancora un governo e l’esasperazione cresce. Lo sceicco Sabah al Janabi, leader di una delle milizie popolari antiterrorismo al Sahwa, “il Risveglio”, dice che già cento dei suoi 1.800 uomini non si sono presentati a ritirare la paga di trecento dollari. Segno che qualcun altro li sta pagando: “Qui al Qaida ha avuto un ritorno in grande stile, io conosco il mio territorio e ogni singola persona, mi sono accorto di che cosa sta succedendo”. I soldi aprono la via del ritorno. E chi s’oppone è ucciso, come tre leader di al Sahwa domenica scorsa.

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : "In Iraq un grave vuoto di potere. Colpa di Obama che ci abbandona "


Hoshyar Zebari

BAGDAD — «Si sta creando un pericoloso vuoto di potere in Iraq. Se ne vanno gli americani, arrivano iraniani, turchi, siriani e tanti altri. Si moltiplicano le interferenze destabilizzanti, ognuno dei nostri vicini vuole dire la sua. È un problema gigantesco per il nostro futuro e non solo per il nostro. Ho cercato di comunicarlo tante volte negli ultimi tempi a Washington: se perdono l'Afghanistan è un Paese solo, se perdono l'Iraq perdono il Medio Oriente. Ma non credo abbiano capito». Hoshyar Zebari non nasconde la sua preoccupata delusione nei confronti della politica americana nella regione. Ministro degli Esteri nei diversi governi che dalla guerra del 2003 hanno guidato il «nuovo Iraq», non ha mai celato la sua radicata identità curda (nato nel 1953 nella zona di Erbil, è stato portavoce del Partito Democratico Curdo) ed è cugino di Babaker Zebari, il generale di Stato maggiore che negli ultimi giorni ha creato scompiglio e non poche tensioni con Washington a causa delle sue dichiarazioni pubbliche molto scettiche sulla capacità di tenuta del nuovo esercito nazionale a fronte del ritiro delle truppe americane. Per quasi un'ora ci ha ricevuto nel suo ufficio.

Anche lei ritiene necessari almeno altri 10 anni alle forze di sicurezza nazionali per essere in grado di controllare l'Iraq?

«Esercito e polizia sono molto cresciuti. Lo sviluppo è stato impressionante quanto ad addestramento, numero di uomini e mezzi. Ma ritengo che le dichiarazioni di mio cugino Babaker non siano state capite. Lui si riferiva alla capacità di controllare i nostri confini. Un conto è combattere l'eversione interna e un altro essere preparati nell'eventualità di un attacco da parte di un nemico esterno. Nel primo caso penso che davvero esercito e polizia siano pronti. Ma non nel secondo. Abbiamo bisogno di aviazione, aerei da combattimento, di una marina militare in grado di pattugliare in modo efficiente le acque del Golfo e i terminali petroliferi. Necessitiamo di radar, di capacità di coordinamento tra forze terrestri e aeree. Il vuoto lasciato dalle truppe Usa in queste aree resta grave e ci vorrà tempo prima che noi si riesca a colmarlo». Preferiva Bush a Obama? «Bush era un decisionista: decideva e agiva. Anche a costo di commettere errori, anche se sapeva di essere impopolare. Con Obama invece le iniziative si fermano a metà strada. Non procede nel negoziato israelo-palestinese, non in Libano, va male in Afghanistan e Pakistan. Non vedo successi, nonostante il grande impegno».

Teme che gli Stati Uniti siano troppo passivi, pensa stiano abbandonando l'Iraq?

«Gli Stati Uniti non abbandoneranno l'Iraq. I loro interessi qui sono troppo forti. Hanno una delle loro più grandi ambasciate proprio a Bagdad e hanno appena aperto i consolati di Bassora ed Erbil, oltre agli uffici di Kirkuk e Mosul. Ma è vero che la loro nuova politica ci condiziona in modo profondo. Poche settimane fa sono stato a Washington proprio per suonare un campanello d'allarme: attenzione, dovete fare di più, rischiate di restare a metà dell'opera, qui avete un ruolo da sostenere, dovete operare in modo più energico. Per esempio la loro passività sta ritardando la formazione del nostro governo. Alle elezioni del 2005 i problemi furono molto minori, le interferenze straniere quasi nulle. Oggi invece è l'opposto. Turchi, iraniani, siriani, sauditi e tanti altri si mettono di mezzo. Se l'amministrazione Obama fosse stata più attiva nel lavorare per una mediazione, oggi probabilmente avremmo già un nuovo governo a Bagdad e saremmo molto meno deboli».

Ma sono trascorsi oltre cinque mesi dal-

Hoshyar Zebari Curdo, 57 anni, ha studiato sociologia in Gran Bretagna e Giordana, ha rappresentato all’estero il Partito democratico del Kurdistan. Ministro degli Esteri iracheno dal 2003 le elezioni parlamentari del 7 marzo. Gli iracheni accusano la loro classe politica di egoismo e cecità. Pochi puntano il dito contro gli americani. Non pensa sia una vostra precisa responsabilità trovare la formula di compromesso per la nuova coalizione?

«In verità solo a maggio sono giunti i risultati definitivi del voto ed è da allora che i negoziati sono entrati nel vivo. Il problema è che nessuno vuole stare all'opposizione. E comunque è evidente: il ritardo nella formazione del governo non può che lasciare spazio alle forze dell'eversione. Al Qaeda, il terrorismo, il settarismo prolificano in questa situazione di stallo. Direi che gli iracheni sono stati anche troppo pazienti».

Pensa che l'Iran potrebbe intervenire contro gli interessi Usa in Iraq in caso di attacco contro i suoi reattori nucleari? «Mi sembra un pericolo remoto. La presenza Usa dal primo di settembre sarà limitata a 50.000 soldati restati ad addestrare le nostre forze di sicurezza».

E come giudica la crescita delle componenti islamiche in Turchia?

«Un problema serio. Negli ultimi tempi i turchi interferiscono con aggressività crescente in Libano, Siria, a Gaza e in Iraq. I risultati sono stati scarsi. Però il loro attivismo è senza precedenti e sinceramente ritengo vada controbilanciato».

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : "  La guerra mai vinta. Così nasce la strategia della fuga degli Usa"


Lucio Caracciolo

Il commento di Caracciolo su Obama, sulla sua debolezza e sulla sua inettitudine in politica estera, specialmente in Medio Oriente è sostanzialmente corretto. Non si può scrivere altrettanto delle sue 'analisi' sull'Iran e i suoi rapporti con Israele e su Netanyahu e Obama.
Caracciolo dichiara : " 
Il problema è che Netanyahu è anche un politico americano, oggi collocato all’opposizione insieme ai suoi amici repubblicani estremisti ". Come al solito spunta la teoria complottista della lobby ebraica potentissima e in grado di controllare la politca estera degli Stati Uniti. Se fosse così, di sicuro Obama non si sarebbe mosso come ha fatto da quando è Presidente degli Stati Uniti. Non è ben chiaro perchè i repubblicani debbano venire definiti 'estremisti'.
Per quanto riguarda l'Iran e un possibile attacco di Israele per neutralizzare il suo programma nucleare, Caracciolo dichiara : "
È una ipotesi certamente realistica, come è realistico immaginare che non risolverebbe la questione del nucleare iraniano, mentre ne aprirebbe molte altre, non ultima quella del nucleare israeliano ". Che cosa c'entra il nucleare israeliano ? Prima di accusare Israele di possedere un arsenale nucleare, Caracciolo dovrebbe averne le prove. Il fatto che Israele non abbia mai nè confermato nè smentito di averlo non è una prova. In ogni caso, se anche Israele avesse delle testate nucleari, esse non sono una minaccia per nessuno. Non è Israele a dichiarare un giorno sì e l'altro pure di voler cancellare qualche Paese dalla carta geografica. Il nucleare iraniano è un pericolo per il mondo intero, mentre Obama tentenna e continua con la sua fallimentare politica della mano tesa, Ahmadinejad prosegue la strada verso l'atomica. Se Israele deciderà di attaccare per impedirglielo, ben venga.
Ecco l'intervista:

Il caos iracheno. La sfida a Obama. L’Unità ne parla con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la rivista italiana di geopolitica. Per Caracciolo, a trarre i maggiori vantaggi del caos iracheno e della «strategia della fuga» di Barack Obama è l’Iran, considerando che «dopo l’intervento americano, prima in Afghanistan e poi in Iraq, sono caduti dueregimi anti-iraniani: quello talebano e quello di Saddam». Le cose non vanno meglio se l’orizzonte si allarga all’intera Regione: «In questi anni l’America in Medio Oriente - riflette il direttore di Limes - ha semplicemente mostrato la sua impotenza. Di cui tutti, amici e nemici, hanno preso buona nota».
La strage di Baghdad e la decisione di Barack Obama di ritiro delle truppe americanedall’Iraq.Quelladell’inquilinodella Casa Bianca èuna strategiao una fuga?
«Possiamo chiamarla la strategia della fuga, conseguenza in realtà di una decisione già presa da Bush quando si è accorto che non poteva vincere la guerra. Il ritiro americano lascia quindi l’Iraq in una condizione di instabilità cronica sulla quale gli Stati Uniti potranno avere una influenza inferiore a quella dei principali vicini, a cominciare dall’Iran... ».
Èdunque Teheran a trarre vantaggio da questa instabilità irachena? «Certamente sì, considerando che dopo l’intervento americano, primain Afghanistan e poi in Iraq, sono caduti due regimi anti-iraniani: quello talebano e quello di Saddam. Senza che, peraltro, né in Afghanistan né in Iraq si sia creato un nuovo potere».
La strage avviene il giorno dopo la sospensione dei colloqui per la formazione del nuovo governo iracheno. È una coincidenza?
«Sì, credo che sia una coincidenza. La connessione è, semmai, con il ritiro, peraltronon totale, delle forze militari americane dal Paese. Colpendo i rappresentanti del cosiddetto “nuovo Iraq”, i terroristi vogliono affermare la propria capacità di azione indisturbata nei territori di fatto ingovernati».
Obama ha più volte evocato un «Nuovo Inizio» nei rapporti tra gli Usa e ilmondoarabo e musulmano. In Medio Oriente, cosa ne è di questo «Nuovo Inizio»?
«Nulla. Nessuno dei potenziali interlocutori di Obama lo considera un interlocutore. Quindi gli appelli, così pieni di buona volontà, che partono dalla Casa Bianca, cadononel vuoto. In questi anni, l’America in Medio Oriente ha semplicemente mostrato la sua impotenza. Di cui tutti, amici e nemici, hanno preso buona nota».
Il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu in quale delle due categorie - amici e nemici di Obama - va inserito?
«Netanyahu è nemico di Obama ma, allo stesso tempo, è capo di un Paese che si considera più che amico, quasi fratello degli Stati Uniti. Il problema è che Netanyahu è anche un politico americano, oggi collocato all’opposizione insieme ai suoi amici repubblicani estremisti ».
Ciclicamente si ritorna a parlare e a scrivere, con dovizia di particolari, di un possibile attacco israeliano all’Iran. È una ipotesi realistica?
«È una ipotesi certamente realistica, come è realistico immaginare che non risolverebbe la questione del nucleare iraniano, mentre ne aprirebbe molte altre, non ultima quella del nucleare israeliano»

Per inviare la propria opinione a Foglio, Corriere della Sera, Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it
lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT