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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.08.2010 L'iraniana 'adultera' ha 'confessato' in Tv
Cronache di Giulio Meotti, Alberto Simoni, Viviana Mazza

Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Alberto Simoni - Giulio Meotti - Viviana Mazza
Titolo: «L' adultera iraniana 'confessa' in TV - Un avvocato contro gli ayatollah.In Iran ha salvato dissidenti,gay e donne - Teheran insulta, Londra si ribella»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/08/2010, a pag. 12, l'articolo di Alberto Simoni dal titolo " L' adultera iraniana 'confessa' in TV ". Dal FOGLIO, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Un avvocato contro gli ayatollah.In Iran ha salvato dissidenti,gay e donne". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Teheran insulta, Londra si ribella ".
Ecco gli articoli:

La STAMPA - Alberto Simoni : " L' adultera iraniana 'confessa' in TV "


Sakineh Mohammadi Ashtiani

Sakineh Mohammadi Ashtiani parla con voce tremula in azero. Lo sguardo basso, un foglio fra le mani, il copricapo nero e il volto sgranato. Una settimana dopo aver rilasciato un’intervista, tramite un portavoce anonimo, al Guardian, nella quale la 43enne iraniana in prigione dal 2006 condannata alla lapidazione per adulterio e complicità nell’assassinio del marito, tocca al regime degli ayatollah riprendere il controllo della situazione. Così mercoledì sera la Asthiani è sbucata sugli schermi della tv pubblica, alla trasmissione 20,30, e ha rovesciato le dichiarazioni rilasciate al quotidiano inglese nelle quali si proclamava innocente.
Un dietrofront sfumato, dai contorni sin grotteschi se in ballo non ci fosse la vita di una donna. Sakineh Mohammadi Ashtiani ricorda che il cugino-amante le ha detto: «Uccidiamo tuo marito». Credeva scherzasse. Ma i dettagli dell’omicidio li racconta il magistrato ospite in studio. Alla donna non resta altro che confermare parti della ricostruzione e tentare di muoversi sul difficile crinale dell’incertezza. La Ashtiani accusa il suo avvocato di aver dato in pasto ai media stranieri la sua storia danneggiandola.
«Propaganda tossica», dicono dalla International Committee Against Stoning. Mohammad Mostafei, l’avvocato attivista per i diritti umani «scaricato», dall’esilio norvegese parla di pressioni. «La sua vita è nelle mani della gente che è al potere in Iran e qualsiasi cosa vogliano, la posso ottenere», dice. L’altro legale della Ashtiani, Hutan Kian, è lapidario: «È stata picchiata e torturata per due giorni fino a quando non ha accettato di farsi riprendere dalla tv».
La questione Ashtiani va ben oltre i confini iraniani. Per lei si è mossa la comunità internazionale. Il segretario di Stato Hillary Clinton tre giorni fa ha invocato il rispetto da parte di Teheran delle regole «anche per i suoi cittadini». Il 10 luglio la lapidazione è stata sospesa. Il timore adesso è che la «confessione» altro non faccia che sbloccare la situazione fornendo al regime il pretesto di agire in fretta eseguendo la condanna al riparo dai radar internazionali. Una «necessità» in un momento in cui il pressing internazionale su Teheran, sul fronte del nucleare, comincia a dare i suoi frutti.
Il regime rischia l’isolamento e con esso un aggravarsi delle condizioni socio-economiche interne. Con un’inflazione galoppante e la crisi occupazionale, il governo di Ahmadinejad non può permettersi passi falsi sul fronte dell’economia. Sul quale le sanzioni delle Nazioni Unite cominciano a mordere. Fonti diplomatiche sottolineano che «esiste grande unità a livello transatlantico nella gestione delle sanzioni». Secondo gli Stati Uniti le misure restrittive «stanno compromettendo la capacità iraniana di accesso a strumenti finanziari sui mercati internazionali». Gli Usa, continua la fonte, sono soddisfatti «per la cancellazione o il congelamento di contratti nel settore energetico per circa 50-60 miliardi di dollari». Fra le compagnie protagoniste di questa stretta vi sono anche le italiane Finmeccanica e Eni. Ci vuole tempo e pazienza, è il refrain americano per misurare il successo delle sanzioni, ma la disponibilità di Barack Obama ad incontrare Ahmadinejad annunciata alla Cnn da James Jones, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, è il segnale lampante di come alla Casa Bianca siano convinti che la stretta funzioni.
Il codice penale iraniano prevede la lapidazione per un unico crimine, l’adulterio, definito «un’offesa contro la legge divina». Altri reati come l’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata e il traffico di droga, sono punibili con il patibolo ma l’esecuzione non avviene tramite lapidazione bensì generalmente per impiccagione. La lapidazione è stata introdotta dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Le prime otto esecuzioni sono avvenute nel 1986, altre dieci nel 1995. Nel 2002 Teheran ha approvato una moratoria su questa pratica. Ma sono almeno sei le persone, secondo quanto riferisce Amnesty International, che dal 2006 sono state uccise a colpi di pietra. Altri 15 condannati sarebbero stati risparmiati dalla lapidazione.

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Un avvocato contro gli ayatollah.In Iran ha salvato dissidenti,gay e donne "


Giulio Meotti, Mohammed Mostafaei

Roma. Mohammed Mostafaei è la sola speranza per molti prigionieri iraniani condannati a morte. Stando all’ultimo rapporto annuale di “Nessuno tocchi Caino”, l’Iran è al secondo posto nella classifica mondiale delle condanne a morte. Dietro soltanto alla Cina, iperproduttiva anche nell’uso del boia. 402 sono state le persone uccise in Iran nel 2009. Mostafaei è l’avvocato iraniano che ha rischiato tutto, anche la propria famiglia, per difendere pro bono, gratuitamente, le vittime del sistema giudiziario degli ayatollah. Mostafaei è appena fuggito in Norvegia, dove ha chiesto asilo politico. Ha dovuto farlo dopo il caso di Sakineh Ashtiani, l’ultima donna iraniana condannata a morte tramite lapidazione. La vicenda Ashtiani ha avuto risonanza internazionale dopo che il suo avvocato ha reso noto che la donna avrebbe confessato il reato dopo aver subito 99 frustate e che, in seguito, avrebbe ritrattato la confessione negando l’accaduto. Senza Mostafaei, Ashtiani sarebbe morta così: con pietre non troppo grandi per evitare la morte rapida, con i versetti del Corano in sottofondo. La moglie e il cognato di Mostafaei sono stati arrestati il 24 luglio scorso a Teheran e, secondo fonti iraniane, potrebbero trovarsi nel carcere di Evin, dove vengono torturati molti dissidenti. Il regime lo ha fatto per vendicarsi su Mostafaei, uno dei pochissimi legali in Iran che abbia mai difeso i minorenni diretti alla forca. In Iran anche un bambino può finire con il cappio al collo (sono 130-140 quelli oggi nel braccio della morte, secondo stime delle organizzazioni internazionali per i diritti umani). Lo scorso primo maggio, alle 7 del mattino, il telefono squillò in una casa nel nord dell’Iran. “Mamma, stanno per uccidermi”. Era Delara Darabi, pittrice di 23 anni, condannata all’età di 17 per un omicidio del quale si dichiarava innocente. L’esecuzione fu portata a termine in anticipo senza avvertire neppure il suo avvocato, il solito Mostafaei. Come Makwan Muludzadeh, un ragazzo gay di venti anni impiccato perché riconosciuto colpevole di sodomia quando di anni ne aveva tredici. Oltre a Delara, quattro ragazzi sono stati giustiziati per crimini commessi prima dei diciotto anni: una violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia di cui l’Iran è firmatario. Tra loro, Behnoud Shojaee, condannato per omicidio. La sua esecuzione era stata rimandata cinque volte: tre volte aveva visto impiccare altri aspettando il proprio turno. Tutti difesi da Mostafaei. Così come suo cliente è Ebrahim Hamidi, un giovane iraniano, condannato a morte con il capo d’imputazione di “lavat-e iqabi”, che in persiano vuol dire “sesso anale”, sodomia. Le accuse al diciottenne non stanno in piedi neanche all’interno della “logica” giudiziaria iraniana: Hamidi non è gay, e le testimonianze usate per accusarlo sono state estorte con torture e forti pressioni. A raccontarne la storia è stato l’Observer. Hamidi avrebbe confessato dopo tre giorni di torture, mentre gli altri tre ragazzi avrebbero ricevuto la promessa di essere completamente scagionati se avessero confermato le accuse. La sentenza è stata prodotta sulla base della “sapienza del giudice”, una scorciatoia giuridica iraniana che concede al magistrato un ampio spazio di arbitrarietà quando le prove a carico dell’imputato non sono risolutive. Mostafaei è stato uno dei membri attivi della rete degli avvocati nella “Campagna per una legge senza lapidazione”. Questa campagna è riuscita a salvare le vite di almeno nove donne e due uomini in due anni. Fra le assistite dell’avvocato c’è anche Shadi Sadr, fondatrice di Raahi, uno studio legale chiuso dalle autorità, e del primo sito sui diritti delle donne nel paese (Zanan-e Iran). E’ una delle centinaia di studenti, intellettuali, politici incarcerati dopo le proteste per le elezioni del 12 giugno 2009. Mostafaei nella sua carriera è riuscito a salvare cinquanta minorenni diretti al patibolo. Ma chi prova a difendere questi “criminali in fasce” rischia anche di suo. Ogni visita in carcere per Mostafaei è un calvario e il legale deve sottoporsi a interrogatori pressanti per giustificare la sua presenza. A metà maggio, solo per aver richiesto una sospensione dell’esecuzione di due assistiti, Mostafaei ha rischiato di finire dentro. D’altronde l’avvocato sfida due grandi tabù del regime iraniano: difendere i “corrotti” e avere un blog dissidente. Il quotidiano conservatore Kahyhan lo ha accusato di essere “un agente dei sionisti”. Qualche giorno fa, Mostafaei ha criticato in un’intervista alla rete tedesca Deutsche Welle l’amputazione delle mani di cinque condannati per rapina. “Mostafaei è uno dei pochi avvocati in Iran che difendono i minorenni e le donne come Ashtiani, in maniera del tutto legale”, spiega Mahmmod Amiry-Moghaddam di Iran Human Rights, organizzazione per i diritti umani con sede a Oslo che ha lanciato l’allarme sull’arresto dei familiari del legale iraniano. La legge di Teheran è basata su una interpretazione della sharia e prevede che un condannato a morte per omicidio possa avere salva la vita se i familiari della vittima concedono il perdono. Di solito ciò avviene in cambio di denaro. Così, parte del lavoro di Mostafaei comporta la raccolta del denaro necessario per salvare i condannati a morte. “Il regime sta cercando di costringere gli attivisti dei diritti umani a lasciare l’Iran; il mondo deve opporsi a questo”, dice Mostafaei. L’avvocato ha appena scritto una lettera alla figlia di sette anni per il suo compleanno. “Speravo che almeno le autorità permettessero a mia moglie di dire buon compleanno alla sua unica figlia”. Il finale della lettera è una commovente richiesta di perdono alla figlia: “Tua madre ha tollerato la mia assenza per dieci anni così che potessi aiutare gli innocenti, i bisognosi e gli ingiustamente condannati a morte tramite impiccagione e lapidazione. Oggi è a te che chiedo di perdonare la mia assenza”.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Teheran insulta, Londra si ribella "


Mohammad-Reza Rahimi, vicepresidente iraniano

Ogni tanto Simon Gass deve proprio rimpiangere la Grecia. Da quando ha lasciato Atene nell’aprile 2009 per trasferirsi all’ambasciata britannica di Teheran, ne ha sentite di tutti i colori contro il «Piccolo Satana», titolo che in Iran spetta al suo Paese.

L’ambasciatore tenta di evitare lo scontro: s’è presentato anche alla cerimonia di insediamento di Ahmadinejad dopo la contestata riconferma, definendolo «il leader eletto». Ma il vicepresidente iraniano Mohammad-Reza Rahimi, che oltretutto dichiara (falsamente, pare) di aver conseguito un dottorato ad Oxford, ha oltrepassato il limite. In un discorso, lunedì, Rahimi ha insultato i sudditi di Sua Maestà. E allora l’ambasciatore non ha più potuto tacere.

Rahimi se l’era presa con i Paesi che hanno appoggiato l’ultima serie di sanzioni Onu contro il programma nucleare iraniano, tra cui gli australiani («vaccari») e i sudcoreani («da picchiare in faccia perché diventino umani»). Ma a Londra ha riservato speciale attenzione. «L’Inghilterra non ha nulla. I suoi abitanti non sono umani, i suoi funzionari sono irresponsabili. Non ha risorse naturali. Sono un mucchio di idioti controllati da una mafia. Hanno saccheggiato il mondo per 500 anni e il giovane ora in carica (il premier Cameron, ndr) è persino più stupido del suo predecessore... È come se Dio avesse reso questa nazione serva dell’America e dei sionisti».

Gass ha replicato oltraggiato, in farsi, sul sito dell’ambasciata, «linkando» il messaggio anche su Twitter: «È una mancanza di rispetto per la dignità umana oltre che un’osservazione illogica e indegna». Ha chiesto chiarimenti.

L’anno scorso la sua ambasciata s’è vista accusare di aver fomentato le proteste contro Ahmadinejad, e membri del suo staff sono stati arrestati. Poi Londra è stata minacciata di ricevere «un pugno in bocca» quando il ministro degli Esteri Miliband elogiò i manifestanti. Restare a Teheran è importante, ha sempre detto Gass, per discutere del nucleare e dei diritti umani. Discutere, sì, scrive ora, ma fino a un certo punto. «Discutere delle differenze politiche tra i Paesi è naturale. Ma quando un alto funzionario che rappresenta la Repubblica islamica fa commenti offensivi sulla gente di un altro Paese, ciò si riflette negativamente sulla persona stessa».

Non che la reputazione di Rahimi abbia bisogno d’essere danneggiata ulteriormente. Diversi parlamentari tra gli stessi conservatori hanno chiesto il suo arresto per corruzione: è accusato di aver sottratto milioni di dollari in combutta con funzionari della compagnia statale di assicurazioni. Ahmadinejad lo ha difeso, e l’inchiesta è stata sospesa.

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