Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran: attentato contro Ahmadinejad. Il regime smentisce Cronache e commenti di Andrea Morigi, Guido Olimpio, Redazione del Foglio, Fausto Biloslavo, Francesca Caferri, Andrea Malaguti
Testata:Libero - Corriere della Sera - Il Foglio - Il Giornale - La Repubblica - La Stampa Autore: Andrea Morigi - Guido Olimpio - La redazione del Foglio - Fausto Biloslavo - Francesca Caferri - Andrea Malaguti Titolo: «Gli studenti e i mercanti del bazar. Ora la minaccia è il fronte interno - La smentita maligna del regime iraniano - Dai curdi all’Onda verde. Tutti i nemici del regime»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 05/08/2010, a pag. 19, due articoli di Andrea Morigi titolati " Bomba su Ahmadinejad. Purtroppo è salvo" e " Gli oppositori ci sono. Ma Obama li ha traditi". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Gli studenti e i mercanti del bazar. Ora la minaccia è il fronte interno ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " La smentita maligna del regime iraniano ". Dal GIORNALE, a pag. 10, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Dai curdi all’Onda verde. Tutti i nemici del regime ". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'intervista di Francesca Caferri a Mohsen Sazegara dal titolo " Montatura per legittimare un leader molto screditato ". Dalla STAMPA, l'intervista di Andrea Malaguti a Shiva Mahbobi,iraniana in esilio dal titolo " L'Onda verde non usa bombe ". Ecco gli articoli:
LIBERO - Andrea Morigi : " Bomba su Ahmadinejad. Purtroppo è salvo"
Ahmadinejad
Sfiorato da una bombetta, Mahmoud Ahmadinejad se la cava per un soffio. L’attentatore colpisce all’uscita dall’aeroporto di Hamedan. Lì per lì tutto l’effetto provocato dall’ordigno rudimentale, che esplode in mezzo alla folla, sembra uno sbuffo di fumo a qualche decina di metri dal presidente iraniano. Sembra sopravvivere a tutto, come una leggenda. Mentre la notizia fa il giro del mondo, il regime di Teheran si affretta a negare l’attentato. Fa circolare versioni che risultano tanto più assurde quanto più recano il marchio dell’ufficialità: si attribuisce l’incidente a un petardo lanciato da un sostenitore entusiasta o magari a dei fuochi artificiali di benvenuto. Comunque l’uomo che ha fatto esplodere bomba e panico preterintenzionali viene fermato e interrogato. E le fonti governative diffondono notizie su un recente piano israeliano per uccidere Ahmadinejad. Tutto concorre a costruire la teoria del complotto. Gli attacchi si catalogano frettolosamente come inutili tentativi sionisti. Ma piovono le condanne a morte. Contando anche i reati comuni e le infrazioni contro la sharia, negli ultimi tre mesi sono state impiccate in Iran più di cento persone. Per limitarsi all’ultimo anno,sono una decina i dissidenti interni giudicati colpevoli di aver attentato alla sicurezza nazionale e marchiati come mohareb, cioè nemici di Allah e dell’islam. Li attende il plotone d’esecuzione, anche se, come Mohammad Ali Haj-Aqaii, non hanno mai partecipato ad attività terroristiche. Ieri la Corte d’appello di Teheran ha confermato la pena capitale nei suoi confronti. Lo avevano arrestato in settembre, al ritorno dall’Iraq, dove si era recato in vista al figlio, militante dell’Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo, una formazione comunista già alleata dell’Iraq di Saddam Hussein. In mancanza di altri strumenti per raccogliere il consenso, la sindrome da accerchiamento si rivela una risorsa sempre più essenziale per la stabilità delregime che sta costruendo la bomba atomica. E si dimostra ancora più efficace se entra in gioco anche un elemento trascinante come la figura insieme messianica e apocalittica del Mahdi, l’imam nascosto caro alla teologia sciita da oltre dodici secoli. Prima o poi, i suoi seguaci si aspettano che ricompaia a guidare le armate islamiche verso la vittoria finale, prima della fine del mondo. E proprio Ahmadinejad è uno dei maggiori sostenitori del revival del mahdismo. Ancheunattentato, vero o presunto, come quello portato a termine ieri, gli conferisce un alone di sacralità: se colui che lotta per la leadership del mondoislamico e contro learmate sataniche degli infedeli non è stato colpito, nemmeno di striscio, l’episodio può essere letto come il segno di una protezione divina. Per i fanatici di Allah tutto torna.
LIBERO - Andrea Morigi : " Gli oppositori ci sono. Ma Obama li ha traditi "
Barack Obama
Dalle giornate della rivoluzione verde di Teheran, soffocata nel sangue nel 2009, non solo l’indice di gradimento interno di Mahmoud Ahmadinejad è in costante ribasso, ma aumenta sensibilmente la parte di opinione pubblica iraniana che vorrebbe farlo fuori. Gli scontri sono all’ordine del giorno. Ieri, nella capitale, una manifestazione di protesta dei familiari dei detenuti politici, è stata dispersa dalla polizia di fronte al Palazzo di Giustizia, minacciando l'arresto dei parenti dei detenuti. Gli agenti avrebbero anche strappato alcune immagini dei prigionieri portate dai familiari. Da alcuni giorni le famiglie dei detenuti politici, in segno di protesta contro le dure condizioni in cui si trovano i loro familiari nel carcere di Evin a Teheran, hanno iniziato lo sciopero della fame. Dall’estero, sostiene la propaganda del regime, è “il grande satana” statunitense a soffiare sul fuoco. Ma gli americani, sebbene nascondano il loro appoggio ai movimenti di resistenza anche armata che tentano di organizzarsi al di là dei confini iraniani, vedono con simpatia tutti gli oppositori purché si dimostrino affidabili. Eppure i Muhahedin e Khalq, cancellati dalla lista nera europea dei gruppi terroristici, figurano ancora nell’elenco americano. Chi li sostiene e appoggia finanziariamente, subisce pesanti condanne penali da parte dei tribunali americani, che non fanno altro che applicare la legge e i divieti vigenti. Pe ora, quindi, si è trattato soltanto di parole. L’insor - genza iraniana si è sentita abbandonata e tradita da un Obama troppo timido e debole nel denunciare la repressione e la violazione sistematiche dei diritti umani. Dal punto di vista dei risultati militari, la mancanza della volontà politica di Washington di contrastare il regime di Teheran si è rivelata un autogol. E serve a poco che il capo di Stato Maggiore del Pentagono, l’ammiraglio Mike Mullen, lunedì scorso in un’intervista alla Nbc abbia rivelato che gli Usa hanno già pronti i piani per un eventuale attacco contro la Repubblica islamica. A giudizio del generale, far partire l’ordine d’attacco non sarebbe una buona idea, ma è sempre meglio essere preparati a tutti gli scenari possibili, anche se non desiderabili. Ahmadinejad lo sa bene. E manda segnali di distensione, come la proposta di incontrare "faccia a faccia" il presidente statunitense, Barack Obama, per «parlare di questioni mondiali», come ha detto in un discorso diffuso lunedì dalla televisione di Stato. L’occasione, suggerisce il presidente iraniano, potrà essere fornita dalla «prossima assemblea delle Nazioni Unite a New York» prevista per settembre. Da Washington rispediscono l’invito al mittente. Ma la Casa Bianca è ancora ben lontana dall’elaborare una strategia convincente per fermare l’atomica iraniana.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Gli studenti e i mercanti del bazar. Ora la minaccia è il fronte interno "
L’imbarazzo delle fonti ufficiali. Le versioni contrastanti. Sì, c’è stato un attentato. No, non è successo nulla. La bomba rudimentale che diventa «un petardo». Il presunto attentatore che si trasforma in un manifestante in estasi per la visita del presidente iraniano a Hamedan. Segnali che il regime è forse stato colto di sorpresa. L’Iran, infatti, continua a guardare ai nemici esterni — che pure esistono e pressano — ma dovrebbe badare piuttosto a quello che accade all’interno dei suoi confini.
Il «petardo» di Hamedan ha il suono dell’avvertimento ad Ahmadinejad. Un gesto isolato che potrebbe anticipare qualcosa di più minaccioso. Picchiando senza alcuna remora sul dissenso — grazie all’azione combinata di pasdaran, boia e carcerieri di Evin — il potere ha debilitato gli oppositori riformisti ma non li ha sconfitti. Il presidente può tenere sotto controllo chi scende in piazza, però deve fare i conti con un crescente malcontento, dove le motivazioni sociali prevalgono su quelle politiche. La crisi economica si fa sentire e le sanzioni adottate dall’Onu, per quanto non soddisfino in pieno america ni e israeliani, stanno «mordendo». Il Paese, secondo diverse fonti, ha qualche problema a trovare compratori per il suo petrolio e le restrizioni nei rapporti commerciali potrebbero provocare ulteriori tensioni nella vita quotidiana.
Il sintomo evidente della malattia iraniana è venuto dal lungo sciopero che ha paralizzato il bazar di Teheran, il più sensibile «termometro» che esista nel regno dei mullah. I commercianti della capitale hanno chiuso i negozi per protestare contro il sistema fiscale e sono stati presto imitati dai mercanti di altre città. Il governo, in difficoltà, ha annunciato due giorni di festa «perché faceva troppo caldo» e poi dovuto correggere le disposizioni. Con il bazar non si scherza. E lo sanno bene gli eredi di Khomeini, poiché nei giorni della rivoluzione i commercianti, molto legati ai conservatori, si schierarono al fianco dei turbanti.
Ahmadinejad, dunque, è contestato a sinistra e a destra. Non deve guardarsi solo dai riformisti, ma anche dall’ala conservatrice che gli rimprovera conti cattivi, problemi di budget e una posizione internazionale perennemente instabile. Invece che aiutare il leader, sono lì pronti ad attizzare il fuoco. Infatti, le prime informazioni sul presunto attentato sono state diffuse dal sito di un giornale conservatore e poi rilanciate dall’agenzia semi ufficiale Fars. Non è davvero una prova di compattezza.
Senza contare che in Iran non mancano i gruppi — dai beluci alla minoranza araba passando per i
mujahed - din — che hanno capacità eversive molto temute dagli agguerriti servizi di sicurezza interni.
L’episodio di Hamedan è venuto al termine di un periodo delicato per il potere. Stretto tra i guai in casa e la continua pressione internazionale. Teheran ha osservato i movimenti navali di Israele e Stati Uniti. Ha cercato di decifrare le continue voci — spesso fatte circolare ad arte — su possibili blitz. Con gli Usa abili nel giocare sul filo dei nervi: fanno sapere che un attacco sarebbe controproducente, però lasciano trapelare scenari bellici. Teheran ha risposto con bordate propagandistiche contro «i complotti», rinnovando però l’appello ad un dialogo diretto con gli americani. Infine, ha comunicato di aver acquistato i sospirati missili S300 per proteggere alcuni siti nucleari.
Un quadro già visto ma sufficiente a creare ansia a un potere che si trova esposto su molti fronti. Una situazione dove un «petardo» può essere peggio di una vera bomba.
Il FOGLIO - " La smentita maligna del regime iraniano "
Baku. Una bomba a mano ha colpito il convoglio del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, nella città di Hamadan, a metà strada fra la capitale e il confine con l’Iraq. Ahmadinejad non è stato ferito e ha salutato migliaia di persone poche ore più tardi, durante un discorso in uno stadio. La notizia è stata pubblicata nel corso della mattina sul sito Internet di una televisione araba, al Arabiya, che ha citato “fonti attendibili”. Il governo di Teheran ha negato l’attacco con fermezza. “Nulla è accaduto – ha detto un ufficiale alla tv del regime – Indagheremo per scoprire chi c’è dietro questa invenzione”. Ahmadinejad, 54 anni, guida il paese dal 2005. Con lui l’Iran ha aumentato gli sforzi per costruire armi nucleari, come ritengono le principali agenzie d’intelligence del mondo, ed è piombato in una crisi economica particolarmente dura, dovuta in parte alle sanzioni promosse dalla comunità internazionale per fermare il programma atomico che gli ayatollah portano avanti da anni. Il presidente si è distinto per le provocazioni e le minacce allo stato di Israele. La sua ultima vittoria elettorale, a giugno 2009, ha scatenato proteste a Teheran ed è costata la vita a decine di manifestanti negli scontri di piazza con le forze di sicurezza e le milizie paramilitari. Quello che è successo a Hamadan resta un mistero. Secondo i reporter di al Arabiya, un uomo ha lanciato una bomba a mano contro il corteo di Ahmadinejad, colpendo una delle auto che seguivano il presidente. L’uomo sarebbe finito in arresto poco più tardi. Il governo ha smentito in modo netto la notizia dell’attentato, mentre l’agenzia di stampa Isna, controllata dal regime, ha confermato le voci di un’esplosione, ma ha attribuito l’evento ai fuochi d’artificio sparati in aria dalla gente di Hamadan “per festeggiare l’arrivo del presidente”. All’inizio della settimana, Ahmadinejad ha detto che Israele ha un piano per assassinarlo. E’ un trucco per compattare l’opinione pubblica. La popolarità del governo è bassa e il malcontento cresce nelle strade della capitale. Le autorità hanno appena scongiurato uno sciopero pericoloso: migliaia di commercianti hanno chiuso le loro botteghe per fermare una nuova imposta fiscale e lo sciopero è rientrato dopo che Ahmadinejad ha garantito di rivedere la proposta. La bomba di Hamadan non è l’unica esplosa in negli ultimi tempi. Due kamikaze hanno colpito Zahedan a maggio, uccidendo 21 persone. Anche quella volta gli uffici stampa del regime hanno negato a lungo ogni notizia, nonostante la rivendicazione del gruppo sunnita Jandullah. Ieri hanno fatto di più. La tv al Alam, un’emittente conosciuta per le trasmissioni in lingua araba, ha annunciato la morte di un ex premier israeliano, Ariel Sharon, che si trova in coma dal 2006. “I membri del governo israeliano sono stati informati ma hanno deciso di non dare la notizia in attesa di un momento politico più opportuno”, ha detto un giornalista. Nessuno, a Gerusalemme, si è sognato di commentare.
Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Dai curdi all’Onda verde. Tutti i nemici del regime "
Un lupo solitario stanco del regime iraniano, gruppi armati sunniti, curdi o ex marxisti e dietro le quinte gli israeliani, che da tempo sono impegnati in una guerra segreta contro il nucleare di Teheran. Non sono pochi i nemici del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Negli ultimi tempi, i più pericolosi si sono dimostrati i Soldati di Allah (Jundallah), anche se il loro capo, Abdolmalek Rigi, è stato da poco impiccato. Il 15 luglio, come rappresaglia per l’esecuzione del leader, i terroristi sunniti hanno messo a segno un doppio attacco suicida. Le vittime sono state 28, in gran parte Guardiani della rivoluzione, il corpo di élite degli ayatollah. Lo stesso Ahmadinejad era finito nel mirino dei Soldati di Allah, ma il complotto per ucciderlo è stato sventato all’ultimo momento. Il gruppo armato sunnita, nell’Iran sciita, sostiene di battersi per i diritti dei baluchi, un gruppo etnico della regione Sud orientale del Sistan-Baluchistan. L’esplosione che ha coinvolto il convoglio del presidente, però, è avvenuta dall’altra parte del Paese, nel capoluogo regionale di Hamadan. Non lontano dal Khuzestan, regione turbolenta, dove in passato sono scoppiate diverse bombe. Teheran aveva accusato gli inglesi, presenti nel confinante Irak, di aiutare le cellule arabe del Khuzestan. Lo stesso Rigi aveva confessato in tv i contatti con Yasin Ahvazi, un presunto leader del gruppo armato Al Ahvazie, che prende il nome dal capoluogo della regione con forte presenza araba. L’apparente esplosione amatoriale di ieri fa pensare a un lupo solitario, stufo del regime e della crisi economica. Sarebbe già stato arrestato. Un singolo, vicino all’Onda verde, il movimento di protesta contro il regime. Anche i curdi hanno un gruppo armato, noto con la sigla Pjak (Partito della vita libera in Kurdistan). La formazione è attiva nelle montagne del Nord, al confine con l’Irak. In giugno gli iraniani avrebbero usato l’artiglieria per stanarli. Oltre la metà dei miliziani sono giovani donne. Tra i capi, Gulistan Dugan, 39 anni, psicologa laureata all’università di Teheran. Oramai sono in seconda linea i chiacchierati Mujaheddin del popolo, ex marxisti, che hanno cambiato nome e pelle. Negli anni ’80 e ’90 mettevano a segno temibili attentati. Primo fra tutti quello che ha costretto Ali Khamenei, la Guida suprema, a non poter più usare il braccio destro. Saddam Hussein avevano garantito ai Mujaheddin campi, soldi e addestramento. Dal 2001 avrebbero rinunciato al terrorismo. La leader è Maryam Rajavi, laureata in ingegneria a Teheran. Guida la lotta da Parigi. I Mujaheddin s’infiltrano alle manifestazioni dell’Onda verde e raccolgono informazioni sensibili sul programma nucleare iraniano. Dietro le quinte degli attentati che ogni tanto decapitano i vertici dei Pasdaran o eliminano gli scienziati atomici iraniani si sospetta spesso che ci sia il Mossad. «In cooperazione con gli Stati Uniti le operazioni coperte israeliane puntano a eliminare figure chiave coinvolte nel programma nucleare», ha rivelato lo scorso anno Reva Bhalla, analista di Stratfor, un centro studi vicino alla Cia. Nei giorni scorsi lo stesso Ahmadinejad aveva parlato di un piano israeliano per ucciderlo.
La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Montatura per legittimare un leader molto screditato "
Mohsen Sazegara
Una montatura, per mettere a tacere il dissenso interno e riacquisire legittimità agli occhi del popolo. Non ha dubbi Mohsen Sazegara sull´interpretazione da dare al misterioso attacco che avrebbe subito ieri il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad: «Chavez, Castro, Stalin: tanti dittatori hanno denunciato complotti per assassinarli anche se non erano mai esistiti. Perché non Ahmadinejad?». Un punto di vista da ascoltare con attenzione, il suo: Sazegara è uno dei fondatori delle Guardie rivoluzionarie, uno degli uomini che ha contribuito a portare insieme all´Ayatollah Khomeini, la rivoluzione in Iran. A lungo è stato uno degli uomini più potenti del Paese, prima di essere estromesso da ogni carica perché la sua linea politica non era conforme a quella di Khamenei. Oggi vive da esule negli Stati Uniti. Perché una montatura? «Pochi giorni fa Ahmadinejad aveva detto che il regime sionista e l´America vogliono ucciderlo. Ora questo. È il tipo di propaganda fatta apposta per ridare legittimità a un leader screditato». E allora perché smentire, come è stato fatto in un primo momento? «Perché lo Stato iraniano non è così ben organizzato: la smentita è stata probabilmente un errore, una cosa detta da qualcuno non informato». Ma se Ahmadinejad non è amato, come dice Lei, in molti potrebbero voler colpirlo. «È vero. Ma il movimento verde è assolutamente non violento. E non vedo né i ribelli sunniti né i dissidenti interni fare una cosa così». Che segnale politico ne deriva? «I segnali sono due: il primo è il bisogno del regime di legittimarsi agli occhi della sua stessa gente, dopo che è stato screditato dall´Onda verde. Il secondo è che il governo è davvero in difficoltà, altrimenti non farebbe ricorso a questi mezzi: sono due o tre mesi che la tensione interna al campo conservatore è altissima e Ahmadinejad è contestato dalle stesse persone che in passato lo hanno sostenuto». Crede che l´attacco potrà essere usato come pretesto per dare il via a una nuova ondata repressiva? «Questo può accadere. In questi giorni sono state inflitte diverse condanne a morte e non escluderei di vedere altre sentenze presto».
La STAMPA - Andrea Malaguti : " L'Onda verde non usa bombe "
Shiva Mahbobi
Shiva Mahbobi, responsabile mondiale della campagna per la liberazione dei prigionieri politici in Iran, è seduta vicino a una vetrata dello Sturbucks di Hammersmith. Ha 43 anni ed è una donna sottile con grandi occhi scuri, mani delicate e lo sguardo di una bambina. I capelli, neri, le arrivano a metà del collo. Indossa una gonna grigia, lunga, e una maglietta azzurra, con le maniche corte. «A Teheran mi arresterebbero per questo», dice mentre guarda passare una ragazza col burqa che spinge una carrozzina. «Si vestirebbe così se fosse libera?». La voce è chiara, ferita, ferma. Quando aveva sedici anni fu arrestata dalla polizia perché protestava contro la pena di morte. Fu picchiata, torturata e violentata. La rilasciarono dopo tre anni e mezzo ma lei non era cambiata così il governo decise di andarla a cercare di nuovo. Scappò dal confine con la Turchia - «Niente di più facile sei hai un po’ di soldi per corrompere qualcuno» - e da allora, era l’inizio degli Anni Novanta, vive a Londra. Neppure adesso è cambiata. «Quello contro Ahmadinejad sembra un attentato isolato». Perché sembra? «Perché le notizie che arrivano da Hamedan sono poche e soprattutto perché non è nello stile del popolo della protesta cercare di ammazzare qualcuno con le bombe. In più non ci sono state rivendicazioni e quindi è difficile immaginare un piano organizzato. Il problema non è uccidere Ahmadinejad. Morto lui un altro prenderebbe il suo posto. Il problema è il sistema». Un gesto inutile? «Non lo so, forse. Ma è un gesto che fa paura alla Repubblica Islamica». Eppure Hamedan è considerata una zona fedele al presidente. «Crede? Nessuna zona dell’Iran è sicura per lui. Il governo sa che il popolo vuole cambiare e che non gli darà tregua. Gli iraniani sono coraggiosi». Eppure l’onda verde sembra essersi fermata. «È un problema di comunicazione. I media si accorgono di quello che succede solo se milioni di persone scendono contemporaneamente in piazza. E tra l’altro quella che viene chiamata onda verde non rappresenta l’unica forma di opposizione organizzata al regime. Dietro l’onda verde, assieme a rivoluzionari veri, c’è Mousavi, che con il regime è invischiato da sempre. Il dissenso è più largo e coinvolge ogni strato sociale». Niente gesti violenti, giusto. Come si fa cadere un regime allora? «Con gli scioperi, con le marce. E prima o poi il regime cadrà. All’improvviso, come successe nel 1979. Ci sono proteste davanti alle prigioni, dove ogni ora, anche adesso probabilmente, vengono richiuse centinaia di persone per motivi assurdi. Nemici di Dio, li chiamano. Pronti per essere ammazzati. Come Jafar Kazemi, professore alla Amir University di Teheran che da 55 giorni si trova nella sezione 305 del carcere di Evin, il peggiore di tutti. O come Behnam Ibrahimzadeh, attivista per i diritti umani portato via da casa il 12 giugno. Stiamo lottando per loro». Come è stata la sua di prigione? «Feroce. Una stanza larga cinquanta centimetri per un metro, buia. Mi legavano le mani, mi giravano a pancia in giù e mi riempivano di botte, oppure mi facevano l'elettroshock o mi frustavano le piante dei piedi. Mi hanno stuprata. Il mio corpo era un fremito continuo, percorso da scosse che ancora sogno di notte. Mi sputavano in faccia. Sono stata umiliata, come altre centinaia di migliaia di persone in Iran. Tutto questo deve finire». Che cosa volevano da lei? «Che facessi i nomi dei miei compagni di scuola». Li ha fatti? «Gliel’ho già detto che gli iraniani sono coraggiosi».
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