Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2010, a pag. 12, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Israele non può vincere, per questo si è fermata ". Dall'UNITA', a pag. 25, l'articolo di Robert Fisk dal titolo " Quel simbolo sul confine e l’incubo di una nuova guerra ".
Ecco i due articoli, preceduti dai nostri commenti:
La STAMPA - Claudio Gallo : " Israele non può vincere, per questo si è fermata "
Sui quotidiani italiani di questa mattina era specificato che l'Unifil ha dichiarato che l'albero tagliato dall'esercito israeliano si trovava nei confini di Israele e non in Libano. L'unico quotidiano che ha scelto di non diffondere questa notizia è La STAMPA. Persino il quotidiano comunista l'ha ammesso. Il quotidiano torinese ha preferito pubblicare il reportage dal Libano di Claudio Gallo che segue, in cui si legge : " L’incidente è accaduto dove la strada fa un’ampia curva prima di tagliare il culmine della collina in metà come una ferita profonda. La gru israeliana era lì sotto a pochi metri, le foto mostrano chiaramente che col braccio meccanico ha portato il soldato nel gabbiotto metallico dentro il versante libanese. L’albero che ha causato la carneficina non c’è più, gli israeliani lo hanno tagliato nella notte. ". Gallo prende per la vera la storia che sia stata la decisione di Israele di tagliare un albero a far scattare la reazione libanese, quando è evidente che si è trattato di un'operazione preparata in anticipo. Inoltre l'Unifil ha specificato che l'albero non si trovava sul territorio libanese, ma su quello israeliano. Eppure Gallo scrive l'esatto contrario. Perchè?
Ecco l'articolo:

Hezbollah
Non credo che l’esercito israeliano avesse intenzioni ostili l’altro giorno. Non sono sicuri di poter vincere la guerra, non vedo perché avrebbero dovuto incominciarla proprio ora». A essere così cauto sull’incidente di frontiera tra Libano e Israele non è un generale dello sparuto esercito libanese ma Ibrahim Moussavi, uno dei più brillanti politici di Hezbollah, responsabile dei rapporti con i media.
Sorseggiando un tè nero, nel suo ufficio accanto alla moschea di Bir Alabed, nel cuore sciita di Beirut, dice israeliani, neppure sionisti. Il Libano è un Paese pirandelliano (copyright Salvo Lombardo, catanese, direttore dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi): ogni cosa qui può diventare il suo contrario, come insegna il valzer delle alleanze dalla guerra civile a oggi. Che cosa è successo davvero martedì ad Addaysseh, al confine meridionale con Israele, al di là delle versioni ufficiali? Andiamo a vedere.
Fuori Beirut, superati i casermoni militari di Saida, cominciamo ad arrampicarci sulle colline di Nabatiye. Qui nel 2006 piovevano a dirotto le bombe israeliane, ma ormai le cicatrici sono sparite. Palazzoni appena terminati con ancora i muri di cemento vivo spuntano ovunque. La città è imbandierata per la festa del Mahdi, l’Imam nascosto, il salvatore messianico degli sciiti. Contrasta nel centro del Paese la statua molto mondana di Hassan Kamel al Sabbah, scienziato che nella prima metà del Novecento contribuì, nei laboratori Edison all’invenzione della televisione e morì a New York in un incidente stradale. Per la gente del posto è l’inventore dell’elettricità.
Salendo verso la valle del torbido Litani s’incrociano boschi di pini marittimi e distese di ulivi coi vecchi rami nodosi come piccole braccia nerborute. Su un ponte c’è un posto di blocco dell’esercito libanese, alcuni scalcinati blindati M113, infiniti rifacimenti del modello degli Anni Sessanta, sono parcheggiati ai lati della strada. Martedì i razzi israeliani, su alla frontiera, ne avevano danneggiati un paio. Ai bordi della strada spuntano i più moderni Renault dell’Unifil, quasi eleganti nel loro bianco imbelle. E inutili, come gli uomini che li guidano, strillano i giornali libanesi.
La valle del Litani scorre profonda quando arriviamo a Kfarkilla, ormai in vista del confine. C’è un posto di blocco da superare ma le guardie sono distratte, la tensione sembra svaporata. A Bawabat Fatima, la porta di Fatima, spunta la barriera elettrificata del confine che corre accanto all’asfalto. In mezzo c’è un largo tratturo sterrato che fa da terra di nessuno, poi un altro reticolato e al di là le colline di Israele. I pali della rete sono conficcati in una aiuola punteggiata di bandiere iraniane, che sventolano la loro provocazione in faccia a chi sta dall’altra parte.
Dal portico del bar all’incrocio, si può contemplare quella che gli israeliani chiamano biblicamente Alta Galilea. «Quella è davvero Israele?». Il barista che se ne stava seduto nel patio con lo sguardo assente, mette su uno sguardo mezzo torvo e mezzo sorpreso: «La Palestina, vorrà dire?». Non è il momento della dialettica. «Certo, certo». Qui, nel 2000, dopo la ritirata israeliana decisa da Sharon, venivano in pellegrinaggio le famiglie palestinesi. Guardavano per ore la «loro» terra al di là del reticolato, i giovani fantasticavano, i vecchi piangevano.
La strada sale per circa un chilometro fino a Addaysseh, costeggiata da postazioni militari, su una garitta spunta la bandiera azzurra e bianca con la stella di Davide, è così vicina che sembra di poterla toccare. Non si vede persona viva, solo una lunga fila di albicocchi. Poco lontano un grappolo di case linde, un villaggio ebraico.
È in cima a questo crinale che è scoppiata la battaglia di martedì. Su uno spiazzo che dà sulla barriera è fermo un gigantesco blindato Renault dell’Unifil. I soldati sono indonesiani, portano la bandierina rosso-bianca sulla spalla, il basco blu e gli occhiali da deserto come gli americani in Iraq. Hanno un’espressione abbastanza ostile, tutti col mitra spianato, tranne uno, giovanissimo, che è anche l’unico a parlare inglese.
«È stata dura ieri?».
Ride, si schermisce: «No, nessun problema».
Ma come, se stava per scoppiare la guerra?
«No, no - ride (ma che ha da ridere?) - ora è tutto calmo».
È vero c’è una calma bucolica su queste colline, anche se non è merito loro, che ieri se la sono data a gambe.
L’incidente è accaduto dove la strada fa un’ampia curva prima di tagliare il culmine della collina in metà come una ferita profonda. La gru israeliana era lì sotto a pochi metri, le foto mostrano chiaramente che col braccio meccanico ha portato il soldato nel gabbiotto metallico dentro il versante libanese. L’albero che ha causato la carneficina non c’è più, gli israeliani lo hanno tagliato nella notte. In cima alla collina di fronte spunta quello che sembra un posto di osservazione, una struttura metallica da guerre stellari. «Siamo nel mirino dei loro cecchini», scherza, ma non troppo, l’interprete palestinese.
I morti dalla parte libanese sono caduti qui, dove la strada si piega per poi scendere dall’altro versante. In mezzo alla carreggiata c’è un posto di blocco militare, le garitte sono fatte di fusti di benzina e mattoni. Un Hammer della televisione araba Al Hor è parcheggiato sulla destra, accanto è piazzata un’antenna satellitare. Quando è scoppiata la sparatoria, i tre disgraziati si sono rifugiati in una specie di magazzino in muratura sulla sinistra, ma i razzi israeliani sparati, sembra, da un elicottero, hanno traforato il muro di mattoni uccidendoli.
Un paio di grandi squarci sulla parete mostrano da dove sono entrati. Sul frontespizio sono appese due corone, una per il giornalista, una per i militari. I razzi dovrebbero aver centrato anche le casematte dell’esercito sopra la strada. Un fante dice: «Ero lassù - e indica gli alloggiamento sopra la strada - quando ho sentito dei colpi. Sono uscito e ho visto gli israeliani che tiravano sull’Unifil, allora ho cominciato a sparare». Ennesima variante alla versione ufficiale.
Gli israeliani non si vedono, ma almeno le loro postazioni sono lì di fronte. Ma dove sta l’esercito di Hezbollah che quattro anni fa sbarrò la strada alle più potenti forze armate del Medio Oriente? Sorridendo con i suoi occhi acuminati, così Ibrahim Moussavi aveva risposto alla domanda: «Lei non vede i combattenti di Hezbollah? Ce li ha davanti agli occhi: i maestri, gli studenti, i lavoratori, le donne. Noi siamo un esercito del popolo che difende la sua terra. Guardi chi sono i martiri della guerra passata, tutta gente normale». Una bella risposta politica per non rispondere.
L'UNITA' - Robert Fisk : " Quel simbolo sul confine e l’incubo di una nuova guerra"

Robert Fisk
L'UNITA' ha diffuso la notizia delle dichiarazioni dell'Unifil circa la posizione dell'albero in un articolo di Udg che non riportiamo.
Peccato che la redazione abbia scelto di pubblicare anche l' 'analisi' di Robert Fisk, un condensato di menzogne su Israele, i suoi rapporti con il Libano e gli avvenimenti di due giorni fa.
Fisk scrive : " nessuno sa con esattezza dove passa il confine tra Israele e il Libano. ". E allora come avrebbe potuto l'Unifil stabilire con certezza che l'albero si trovava sul territorio israeliano? Il fatto che il Libano non condivida il confine delineato dalla Linea Blu non lo rende più labile e irriconoscibile.
"Impensabile che l’esercito libanese abbia deciso di attaccare quello di Israele forte di 264 missili nucleari. Assurdo che l’esercito israeliano abbia deciso di attaccare l’esercito di uno dei Paesi più piccoli del mondo". Fisk scrive di testate nucleari israeliane. Si tratta di una sua illazione, Israele non ha mai confermato di possedere un arsenale nucleare ed è ovvio che, se anche ce l'avesse, di certo non lo utilizzerebbe per bombardare un Paese limitrofo, ne ha mai minacciato di farlo. Fisk ha visto e contato le 264 testate nucleari? In caso di risposta negativa, non è ben chiaro come possa scrivere al riguardo.
Il fatto che l'esercito libanese sia più piccolo e meno potente di quello israeliano non significa nulla. Israele ha tutti i diritti di difendersi, anche se ad attaccarlo è uno Stato con un esercito meno addestrato.
Ecco la ricostruzione dei rfatti scritta da Robert Fisk : "Più o meno in quel momento AssafRabu Rahal, corrispondente locale del giornale Al-Akhbar, è arrivato a Addaiseh per fare un servizio sull’accaduto. E poco dopo un elicottero israeliano ha lanciato un razzo controunblindato libanese uccidendo tre soldati e il giornalista. Le truppe libanesi, su ordine di Beirut, hanno risposto al fuoco e hanno ucciso un tenente colonnello israeliano.". Secondo Fisk è stato Israele ad attaccare per primo e non l'esercito libanese. Una tesi che non regge per vari motivi: il primo è che a Israele non interessa iniziare una guerra con il Libano. Ciò che interessa allo Stato ebraico sono la pace e la sicurezza dei suoi cittadini. Inoltre che senso avrebbe avuto attaccare per primi se l'albero era sul suolo israeliano?
Fisk si spinge oltre e scrive : "Naturalmente Israele gradirebbe una serie di «incidenti» prima della prossima guerra tra Israele e Hezbollah quando,come ha promesso, distruggerà le infrastrutture del Libano per la sesta volta in 32 anni – con il pretesto che ora Hezbollah è rappresentata in seno al governo libanese. ". Se scoppierà una guerra con il Libano la responsabilità non sarà di Israele che ha fatto di tutto per evitarla, ma del governo libanese, ostaggio di Hezbollah.
Ecco l'articolo:
Un albero potrebbe scatenare una guerra in Medio Oriente? L’altro giorno stava per accadere. Che si possa fare una domanda del genere dimostra che la situazione nella regione è drammatica, che non diminuisce la sfiducia tra arabi e israeliani e che il confine meridionale del Libano rimane uno dei posti più pericolosi del mondo. Dopo il cannoneggiamento dei carri armati, gli attacchi degli elicotteri israeliani armati di missili, le mitragliatrici libanesi e il fuoco delle granate, l’Onu ha invitato tutti a «fare un passo indietro» e la battaglia è’ cessata. Il tutto si verifica dopo un vertice arabo a Beirut, misteriosi attacchi con lanciarazzi lungo i confini della Giordania, di Israele e dell’Egitto due giorni fa, la dichiarazione di Hezbollah secondo cui l’inchiesta dell’ONU sull’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri è stata «pilotata da Israele». Ma torniamo all’albero. Si trattava di un misero alberello malridotto le cui foglie hanno ostruito l’occhio delle telecamere israeliane piazzate lungo il confine israelo-libanese non lontano da Addaiseh. Gli israeliani hanno deciso di usare una gru per porre rimedio all’inconveniente. Ma si è presentato immediatamenteun problema considerato che nessuno sa con esattezza dove passa il confine tra Israele e il Libano. Nel 2000 l’Onu ha tracciato una «linea blu» lungo quella che era la frontiera tra il mandato francese del Libano e il mandato britannico della Palestina. Alle spalle, percome la vedono i libanesi, si trova il «confine tecnico» israeliano. Quando l’altra mattina l’esercito libanese ha visto una gru in azione, i soldati libanesi hanno cominciato ad urlare ai soldati israeliani di tornare indietro. Non appena la gru ha varcato la linea ideale del «confine tecnico» i soldati libanesi hanno sparato in aria. Gli israeliani – secondo quanto riferiscono i libanesi – non hanno sparato in aria, ma hanno diretto il fuoco contro le truppe libanesi. Impensabile che l’esercito libanese abbia deciso di attaccare quello di Israele forte di 264 missili nucleari. Assurdo che l’esercito israeliano abbia deciso di attaccare l’esercito di uno dei Paesi più piccoli del mondo, non fosse altro perché alla Giornata dell’Esercito organizzata a Beirut due giorni prima aveva partecipato il presidente del Libano, Michel Sleiman, che nell’occasione aveva invitato i soldati a difendere i confini nazionali. Più o meno in quel momento AssafRabu Rahal, corrispondente locale del giornale Al-Akhbar, è arrivato a Addaiseh per fare un servizio sull’accaduto. E poco dopo un elicottero israeliano ha lanciato un razzo controunblindato libanese uccidendo tre soldati e il giornalista. Le truppe libanesi, su ordine di Beirut, hanno risposto al fuoco e hanno ucciso un tenente colonnello israeliano. Per tutto il pomeriggio israeliani e libanesi hanno continuato ad addossarsi l’un l’altro la responsabilita’ dell’aggressione. Israele ha detto essersi trattato diunmalinteso. Saad Hariri, figlio di Rafiq e primoministro del Libano, ha parlato al telefono con il presidente egiziano Hosni Mubarak denunciando «la violazione della sovranità’ libanese ad opera degli israeliani» mentre Israele ha dichiarato che avrebbe interessato della faccenda il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. «Israele considera il governo libanese responsabile di questo grave incidente e prevede conseguenze molto negative nel caso in cui le violazioni dovessero continuare», ha detto un portavoce. A causa dell’albero? Naturalmente Israele gradirebbe una serie di «incidenti» prima della prossima guerra tra Israele e Hezbollah quando,come ha promesso, distruggerà le infrastrutture del Libano per la sesta volta in 32 anni – con il pretesto che ora Hezbollah è rappresentata in seno al governo libanese. Resta il fatto che gli israeliani hanno cannoneggiato i libanesi con i carri armati e hanno usato gli elicotteri. L’esercito libanese, dal canto suo, ha usato lanciarazzi e mitragliatrici pesanti. A causa di un albero. «Eccezionalmente calmo e straordinariamente pericoloso» – così un gruppo di esperti ha descritto l’altro giorno il confine meridionale del Libano e settentrionale di Israele. Una calma agghiacciante è scesa su una delle frontiere più pericolose delmondodopo la guerra del 2006 scatenata da Israele contro Hezbollah. Ma la regione, piena di mine anti-uomo e pattugliata da truppe libanesi e da 13.000 caschi blu delle Nazioni Unite, rimane più chemai pericolosa e inquieta. Il Gruppo di Crisi Internazionale che si riunisce a Bruxelles, ha fatto sapere l’altro giorno che non sono state affrontate le radici politiche della crisi del 2006 e che un’altra guerra sarebbe più devastante dell’ultima. Hezbollahnon ha preso parte alla scaramuccia dell’altro giorno, mail suo capo, Sayyed Hassan Nasrallah, ha detto che il suo movimento reagirà se l’esercito libanese verrà nuovamente attaccato. «La mano israeliana che prende di mira l’esercito libanese verrà mozzata », ha dichiarato Nasrallah.
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