Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele, dopo l'agguato libanese Analisi e commenti di Angelo Pezzana, Redazione del Foglio, Michael Sfaradi
Testata:Libero - Il Foglio - L'Opinione Autore: Angelo Pezzana - La redazione del Foglio -Michael Sfaradi Titolo: «Il Libano mostra i muscoli sapendo di avere alle spalle Hezbollah - Le sviste della Casa Bianca a Beirut - Il problema è Beirut, non il confine»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 05/08/2010, a pag. 19, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Il Libano mostra i muscoli sapendo di avere alle spalle Hezbollah ". Dal FOGLIO, in prima pagina gli articoli titolati " Attacchi premeditati" e " Il problema è Beirut, non il confine", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Le sviste della Casa Bianca a Beirut". Dall'OPINIONE, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " La crisi in Libano è provocata da Teheran". Ecco gli articoli:
LIBERO - Angelo Pezzana : " Il Libano mostra i muscoli sapendo di avere alle spalle Hezbollah "
Angelo Pezzana
L’opinione prevalente in Israele è che l’incidente al confine nord con il Libano non avrà conseguenze militari in tempi brevi, anche se il ministro della Difesa Ehud Barak ha dichiarato che Israele sarà «al fianco di cittadini e soldati in caso di attacco ». Ma negli ambienti militari, pur giudicandolo un’imboscata, lo si valuta un caso isolato. I soldati libanesi avevano bisogno di una scusa per attaccare Israele, dimostrare che l’esercito ha i muscoli bene allenati, e poco male se sottomano non hanno trovato niente di meglio della potatura di albero, definendola addirittura una violazione della risoluzione 1701 dell’Onu che aveva sancito il cessate il fuoco nel 2006 alla fine della cosiddetta seconda guerra del Libano. Peccato che Unifil abbia dichiarato ieri ufficialmente che l’esercito israeliano non ha sconfinato in Libano, facendo miseramente crollare la tesi libanese. BASSO PROFILO TEHERAN È stato alla fine uno scontro a fuoco di piccole proporzioni, per ricordare agli organismi internazionali che Hezbollah non solo è pronto a una nuova guerra contro Israele, ma che le forze armate di Beirut, al 60% sciite, sono ormai sotto il suocontrollo e alle strette dipendenze del padrone iraniano. Che in questo momento ha però altro di cui preoccuparsi, sanzioni e voci di un possibile attacco ai suoi siti nucleari, e che quindi ha interesse a che Hezbollah continui a mantenere un basso profilo. Non a caso la risposta di Onu, Unifil & C. è consistita nel raccomandare a Libano e Israele la massima calma, senza valutare quanto l’incidente sia stato una provocazione programmata, altro che la potatura di un albero, che tanto è piaciuta ieri ai commentatori occidentali. Ieri c’è stata a Nakoura (Libano) una riunione a tre, Unifil, Tzahal e esercito libanese, per analizzare quali misure possono essere intraprese per evitare il ripetersi incidenti simili. In Israele la reazione è stata composta senza bisogno di raccomandazioni internazionali, anche sequestemorti adopera di cecchini ben programmati non hanno alcuna giustificazione. Gli israeliani hanno imparato a tenere i nervi saldi, sanno che questa non sarà l’ultima delle imboscate, come non si illudono sulla finalità degli enormi arsenali di armi di Hezbollah. Israele, come tutte le democrazie, usa altri strumenti, per esempio sta lanciando una campagna diplomatica per convincere Usa e Francia a non fornire più assistenza militare al Libano, visto che ormai non c’è più differenza fra esercito regolare e Hezbollah. GLI STRUMENTI DI ISRAELE Negli ultimi anni l’America ha finanziato il Libano con 400 milioni di dollari per l’acquisto di armi, malgrado Israele avesse avvertito quale uso ne avrebbe fatto. Lostesso vale per la Francia,chehainviato ingenti quantità di armamenti, inclusi i missili anticarro di ultima generazione. Ma la via diplomatica, che Israele sempre percorre prima di ogni altra, non viene mai ricordata, dato che potrebbe rendere meno credibile l’etichetta di Stato guerrafondaio, che tantospessogli viene attribuita. Nemmeno il razzo che la settimana scorsa ha colpito vicino a Eilat, e partito dal vicino Sinai, ne ha interrotto le attività balneari, così come lo scontro a fuoco dell’altro giorno non ha costretto gli abitanti di Kiriat Shmona, vicinissima al confine, a cercare protezione nei rifugi sotterranei. Il nord, quanto il sud, sono meta di vacanze estive, l’invito è stato di continuare a godersele senza timore. Un segno che la situazione è sotto controllo, se anche il turismo straniero è in grande crescita, registrando nei primi sei mesi dell’anno 1,6 milioni di presenze in più, il 39% in più dell’anno precedente. Questo non significa che gli scenari intorno allo Stato ebraico siano tranquillizzanti, diciamo che non sono più preoccupanti del solito. Un risultato non disprezzabile.
Il FOGLIO - " Le sviste della Casa Bianca a Beirut"
Barack Obama
Con ogni probabilità, le armi impiegate dall’esercito libanese per attaccare – per primo, come ammette il governo di Beirut – i soldati israeliani che agivano su suolo israeliano – come attesta Unifil – sono state comprate con denaro donato dagli Stati Uniti di Barack Obama. Perfetto simbolo di una strategia americana che è costretta a scoprire di avere sbagliato analisi. Il Libano è stato sottovalutato dall’Amministrazione Obama, soltanto una visita nel 2009 di Hillary Clinton e poi di Joe Biden e un incontro nel maggio scorso alla Casa Bianca con Saad Hariri, seguito da un finanziamento di 100 milioni di dollari all’esercito libanese (per un totale di 500 milioni di aiuti militari americani a Beirut). L’illusione della Casa Bianca era che rafforzare l’esercito libanese avrebbe fatto da argine all’aggressività di Hezbollah. E’ successo esattamente l’opposto: l’ufficiale libanese che ha ordinato di sparare – a tradimento – sui soldati ha agito come fosse un ufficiale Hezbollah, ed è stato lodato dal governo di Beirut. L’errore di fondo, che ha prodotto altri errori – inclusa la collaborazione dell’esercito libanese nel riarmo di Hezbollah – deriva dalla valutazione irreale sulla possibilità di sganciare la Siria, a partire dal Libano, dall’alleanza con l’Iran. Invece oggi non soltanto Damasco e Teheran sono alleati sempre più stretti, ma la Siria è anche tornata a essere “domina e padrona” a Beirut, sommando all’alleanza con Hezbollah il pieno controllo di un esercito libanese che, da marginale quale era, è ora efficiente e ha nel presidente Michel Suleiman – che lo comanda – non già una figura di mediazione, ma un fondamentale ganglio della catena di comando siriana, dopo un classico voltafaccia “alla libanese”. E tutto questo è una conseguenza della strategia mediorientale enucleata da Obama al Cairo il 4 giugno del 2009. Per due anni Obama ha fatto pressioni su Bibi Netanyahu, facendosi interprete della posizione araba. Nelle ultime settimane però, si è accorto di avere sbagliato, perché la pressione oltranzista dell’asse Teheran- Damasco – rafforzato da due anni di “dialogo”– è sul punto di minacciare una crisi esplosiva. Ora torna indietro e chiede – quasi impone – alla Lega araba di obbligare un reticente Abu Mazen a una trattativa con Israele (in piena sintonia, ora, con Netanyahu), abbandonando ogni precondizione, per cercare di ergere un argine frettoloso alla esplicita volontà dell’Iran di fare una “mossa del cavallo”: innescare una guerra tra Libano e Israele che attenui la pressione contro il programma nucleare.
Il FOGLIO - " Attacchi premeditati"
Beirut. Si è trattato di un’imboscata pianificata in anticipo e non di un semplice – anche se cruento – incidente sulla frontiera tesa tra Libano e Israele. I cecchini della nona brigata dell’esercito libanese hanno sparato non sui soldati dell’Idf impegnati a potare un albero ma contro i comandanti, in un posto d’osservazione trecento metri più indietro. L’albero, abbattuto ieri, era dentro il territorio israeliano – cinquanta metri a sud della Linea blu – come confermano anche gli osservatori delle Nazioni Unite. La striscia di vegetazione è al di qua del confine proprio per consentire agli israeliani di sfoltirla periodicamente senza creare eccessive tensioni. L’esercito libanese ieri ha ammesso di avere sparato per primo. E’ strano per una pretesa “reazione a uno sconfinamento”: non sparare sugli “sconfinatori”, ma sugli ufficiali lontani, con tiri di precisione. I cecchini hanno ucciso il comandante di battaglione Dov Harari e ferito gravemente un capitano che gli stava accanto: colpire l’ufficiale più alto in grado sul campo è la regola di guerra in ogni agguato di cecchini su un moderno campo di battaglia. Gli israeliani dicono di avere avvertito Unifil dell’operazione di routine – il taglio dell’albero – e Unifil dice di avere avvertito l’esercito libanese, che però ha usato l’informazione per preparare l’attacco. Il giornale israeliano Yediot Ahronot sostiene che l’esercito libanese ha chiamato sul posto in anticipo giornalisti e televisioni, arrivate con i furgoni, per raccontare lo scontro. Questo spiega perché durante la reazione al fuoco da parte degli israeliani è rimasto ucciso anche un inviato, Assaf Abu Rahal, del quotidiano di Beirut al Ahkabar – vicino a Hezbollah – e un altro è rimasto ferito, Ali Shuaib del canale al Manar, la televisione ufficiale di Hezbollah. Secondo l’esercito israeliano, due giorni fa l’ordine di sparare è stato dato da un singolo ufficiale, conosciuto per il suo fanatismo ideologizzato; ma la sua operazione riflette l’incoraggiamento diretto avuto dai superiori. “E’ stata un’imboscata con cecchini”, dice il generale Gady Eisencott, che comanda il settore nord israeliano. Per l’ex ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz “è stato un attacco terroristico, preparato in anticipo su ordine di Hezbollah”. Ieri il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha smentito il suo predecessore: “Non era pianificato in anticipo”, ma parla trattenuto da ragioni diplomatiche e istituzionali. Non può dichiarare che il Libano ha organizzato un’imboscata contro Israele. Resta che il grande cambiamento, rispetto alle ultime giornate di guerra vissute in Libano, quelle dell’agosto 2006, è che allora l’esercito libanese era una presenza neutrale ed evanescente, a malapena capace di svolgere compiti di polizia. Ora è entrato nella lista degli aggressori di Israele. E’ il segno che l’influenza di Hezbollah sul paese ha infiltrato anche, dopo la politica, le Forze armate. Due giorni fa il presidente Michel Suleiman ha chiesto ai libanesi di essere pronti a sacrificare le proprie vite in caso di guerra contro Israele. Tsahal deve aggiornare la strategia per un nuovo nemico.
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " La crisi in Libano è provocata da Teheran"
Michael Sfaradi
Per capire la situazione che si sta creando in medio oriente è necessario mettere ordine sui fatti degli ultimi giorni anche perché fra omissioni, ritardi e "dimenticanze", i media hanno fatto di tutto per creare confusione evitando, in questo sono maestri, di pubblicare le notizie nei tempi e nei modi in cui i fatti sono accaduti. Serve inoltre mettere a fuoco la linea che unisce questi episodi, che acquistano senso solo se analizzati nel loro insieme. Viene alla luce il piano organizzato dal burattinaio che ha tentacoli in Libano, Siria e Gaza, e la testa pensante a Teheran. Venerdì 30 luglio un razzo Grad lanciato dalla striscia di Gaza ha colpito la città di Ashkelon, il giorno dopo un missile Qassam, ha colpito Sderot distruggendo un edificio adibito a centro per il recupero di persone diversamente abili, solo perché il fatto è accaduto di sabato, giorno di festa in Israele, si è evitato un massacro. Vanno poi aggiunti la reazione israeliana, che ha bombardato uno dei centri di comando di Hamas, e l'esplosione accidentale di un altro razzo Grad, sicuramente destinato ad essere lanciato verso Israele all'interno di un'abitazione privata, e il lancio di altri cinque razzi dello stesso modello verso Eilat. Dopo aver riscaldato il Sud, il "burattinaio" si è dedicato al Nord ed ecco che ieri dei soldati libanesi hanno aperto il fuoco contro un gruppo di militari israeliani intenti a sradicare un albero che ostacolava la visuale sulla linea di frontiera. Questa aggressione, lo stesso esercito libanese ha ammesso di aver aperto il fuoco per primo e che l'albero in questione si trovava in territorio israeliano, e la conseguente reazione dell'esercito di Gerusalemme, sono costate la vita a tre militari libanesi, un giornalista e un ufficiale dell'esercito israeliano; oltre al ferimento di almeno altre 15 persone. Anche se con una la mediazione delle Nazioni Unite si è giunti ad un chiarimento che dovrebbe riportare, il condizionale è d'obbligo, la calma in zona, il confine fra Israele e il Libano rimane la valvola di sfogo verso la quale far confluire la quasi totalità dei problemi regionali. Il motivo di tanto nervosismo è l'avvicinarsi della data in cui verranno resi noti dalla commissione d'inchiesta i nomi dei mandanti dell'omicidio dell'ex primo ministro libanese Hariri. Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah e proconsole di Ahmedinejad nel paese dei cedri, che è pesantemente coinvolto e sa che della lista di nomi fanno parte alcuni suoi fedelissimi, ha tutto l'interesse ad infiammare il confine fino a scatenare una nuova guerra con lo Stato ebraico, pur di distogliere l'attenzione della comunità internazionale e non rendere conto del suo operato criminale. Dal 2006 ad oggi l'afflusso di armamenti di fabbricazione iraniana è stato costante tanto quanto è stata inutile la presenza delle truppe Onu che tutto hanno fatto, tranne quello che dovevano fare, tutti gli esperti sono sempre stati d'accordo sul fatto che la risoluzione 1701 non era rispettata da Hezbollah né fatta rispettare dall’Unifil2. Ora che la milizia sciita è di nuovo ben armata e strettamente alleata con l'esercito regolare libanese, i tempi per una nuova guerra sono pronti e non è errato considerare lo scontro a fuoco di due giorni fa come il prologo di un tragedia annunciata. La responsabilità morale, nel caso di apertura di ostilità, ricadrebbe sulla comunità internazionale e in particolare sulla Francia, la Spagna e l’Italia che, impegnate sul territorio, non sono state in grado di assolvere agli impegni.
Il FOGLIO - " Il problema è Beirut, non il confine"
Gen. Graziano
Roma. “Gli incidenti al confine fra Libano e Israele possono portare a conseguenze anche molto gravi”, dice al Foglio il generale Claudio Graziano, comandante delle forze Unifil dal 2007 al gennaio 2010 e ora capo di gabinetto del ministro della Difesa, Ignazio La Russa. “Pochi giorni dopo il mio arrivo in Libano per guidare le forze dell’Onu c’è stato un incidente simile a quello di martedì, quella volta fortunatamente senza vittime, ma anche allora c’era chiaramente la percezione che ogni singolo evento potesse far schizzare la tensione, fino a conseguenze gravi”, spiega il generale, che non vuole commentare lo scontro a fuoco dove sono rimasti uccisi un ufficiale israeliano, due soldati libanesi e un cronista del quotidiano al Ahkbar – “perché non sono sul campo”, dice – ma racconta la situazione multistrato del sud del Libano per come l’ha vista nei tre anni di servizio: “Abbiamo avuto buoni rapporti sia con l’esercito israeliano che con quello libanese. E quando me ne sono andato provavo anche una certa ammirazione per le Forze armate del Libano, che avevano passato di tutto: una guerra civile, il ritorno nel sud del paese, l’assenza di un governo e poi l’assenza di un capo delle Forze armate e il prezzo di sangue altissimo pagato contro gli estremisti palestinesi. Si trattava di una specie di forza autorganizzata che doveva fare da pilastro in uno stato dove la politica era assente”. Lo scontro di martedì, avvenuto mentre i soldati israeliani potavano alberi all’interno dei loro confini e consumato con quella che ha l’aria di un’azione di premeditato cecchinaggio, sembra dire che i vuoti dell’esercito sono stati riempiti dagli estremisti di Hezbollah. E’ così? “Io credo di no”, dice Graziano, “l’esercito libanese ha la sua struttura e Hezbollah collabora in quanto parte della coalizione al governo. Ma per quello che ho visto sul campo non posso dire che l’esercito regolare sia in qualche modo ostaggio di Hezbollah”. Il problema, dice Graziano, è sul piano politico: “Il livello di sicurezza dell’area è arrivato al massimo, e ora la politica dovrebbe sfruttare la finestra aperta dalle forze di pace. Ma i progressi in questo senso non si vedono e allora è chiaro che un incidente serio come quello di questi giorni può complicare molto le cose”. Qual è allora in questo contesto il senso della presenza Unifil? “Il mandato di Unifil, secondo la risoluzione 1.701, è sostenere l’esercito libanese, che a sua volta si impegna a disarmare Hezbollah. Il rischio è che Unifil finisca ostaggio di questa situazione in cui le parti si appoggiano al cuscinetto della coalizione di pace mentre la politica perde le occasioni create dalla situazione relativamente stabile. Il mandato dell’Onu è giusto, ma occorre fare altri passi avanti”. Si aggira più di un sospetto sulla posizione del Libano nei confronti di Hezbollah e le stesse relazioni del presidente Michel Suleiman con il movimento di Nasrallah e con la Siria hanno molte ombre. In queste ore le parti minimizzano l’incidente, ma sul confine la guerra sembra sempre a portata di mano.
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