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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Helena Janeczek , Le rondini di Montecassino 25/07/2010

Le rondini di Montecassino     Helena Janeczek
Guanda                                          Euro 18

Di libri sui padri non ne verranno scritti mai abbastanza. Soprattutto sui padri che sono sopravvissuti alla guerra, e che avrebbero potuto raccontare e non lo hanno fatto. Helena Janeczek – nata a Monaco di Baviera da una famiglia ebreo-polacca, residente nei pressi di Milano, dal 1983, e scrivente in un ottimo italiano – conclude il suo romanzo con questa amara constatazione: “Ai nostri padri non possiamo più domandare niente. Possiamo solo ricordare le loro vite e le loro verità, anche quando assumono la forma della diceria inverificabile, o si ricoprono della pietà mai abbastanza grande, mai abbastanza impermeabile, della menzogna”.
Per questo motivo l’autrice si mette a scavare nel passato comune di un gruppo di uomini quanto mai diversi: dal sergente texano John Wilkins al maori Charles Maui Hira all’ebreo polacco Samuel Steinwursel (detto Milek).
Tutti accomunati dal fatto di aver partecipato, dal gennaio al maggio del 1944, all’”inutile” battaglia di Montecassino. Le truppe alleate (composte da americani, inglesi, marocchini, magrebini, maori, indiani, nepalesi, polacchi ed ebrei) dettero ripetutamente assalto e misero a ferro e fuoco la collina sovrastata dal monastero benedettino, dove si era asserragliato un manipolo di ostinati paracadutisti tedeschi. Un obiettivo militare non strategico che bloccò per mesi l’avanzata verso Nord degli alleati e costò loro migliaia di morti. Perché soprattutto i polacchi si ostinarono a conquistare quel monastero, lo spiegò, anni dopo lo scrittore polacco, Gustaw Herling, che dal 1956 visse a Napoli e aveva combattuto laggiù come radiotelegrafista: “Fu senza dubbio una grande battaglia. La volemmo, vivemmo con questo pensiero in Palestina, in Iraq, in Egitto, addentrandoci nel deserto, ascoltando notizie dalla Polonia. E’ facile oggi sostenere che, cinque mesi dopo gli accordi di Teheran, era una cosa politicamente inutile. Così come può sembrare facile, se non ancora più categoricamente, il giudizio sull’Insurrezione di Varsavia. Ci sono processi che, una volta messi in moto, e fomentati spesso, non si possono fermare a un passo dalla loro realizzazione, senza il rischio di una capitolazione spirituale per lunghi anni”. E’ quindi un destino che non si poteva arrestare (soprattutto nei casi degli ebrei) la fune che lega tutti i personaggi di questo romanzo in forma di una miriade di storie, che rintracciano percorsi che arrivano nei posti più lontani, fino alle estremità dei ghiacci siberiani (dove i sovietici annientarono migliaia di persone considerate nemiche). Come un abile burattinaio, Janeczek riesce a tirare tutti i fili di questi destini recuperando il non detto di quella tragedia, e più in generale di quella della seconda guerra mondiale.


Francesco M. Cataluccio
Il Sole 24 Ore


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