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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
24.07.2010 Europa unita contro il nucleare iraniano
Allora perchè Franco Frattini ha accettato l'invito di Mottaki ad andare a Teheran?

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: La redazione del Foglio - Antonella Rampino
Titolo: «Lunedì: sanzioni europee contro l’Iran. E il resto dell’anno? Sabotaggio»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 24/07/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo "Lunedì: sanzioni europee contro l’Iran. E il resto dell’anno? Sabotaggio". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'intervista di Antonella Rampino a Franco Frattini dal titolo " Sul Kosovo sentenza giusta ma rimanga un caso  ", preceduta dal nostro commento. Ecco i due articoli:

La STAMPA - Antonella Rampino : "Sul Kosovo sentenza giusta ma rimanga un caso unico"

Franco Frattini dichiara, riguardo alla Turchia : " Il rischio di perdere la Turchia può diventare concreto, se continuiamo a considerarla un problema. (...) Con conseguenze anche sulla questione iraniana, perché la Turchia infine ha votato all’Onu contro le sanzioni a Teheran. Poi c’è il fronte aperto con Israele, quando si trattava del Paese che maggiormente dialogava con Tel Aviv. ". Ormai la Turchia è persa. Non è più in bilico fra Iran ed Europa, è diventata un satellite della teocrazia degli ayatollah. Il deterioramento dei rapporti con Israele ne è una prova.
Frattini sostiene che la capitale di Israele sia Tel Aviv, ma si sbaglia. La capitale è Gerusalemme.
Nel corso dell'intervista, Frattini si dimostra molto ottimista sull'Iran, dichiara di voler accettare l'invito di Mottaki ad andare a Teheran. Viene da chiedersi a che cosa servano le sanzioni e i tentativi di sabotaggio del programma nucleare se poi l'Europa dimostra di non avere una linea unica e l'Italia fa l'occhiolino ad Ahmadinejad.
Ecco l'intervista:

Ministro Frattini, l’Aja ha riconosciuto la legittimità della secessione del Kosovo. E già premono l’Ossezia, l’Inguscezia, e una miriade di altri indipendentisti...
«La Corte ha fatto chiarezza, tutti temevamo una sentenza ambigua. Ma il Kosovo deve rimanere un unicum, non ci può essere un effetto-domino, perché entrerebbero in crisi i rapporti internazionali. E come dice la stessa Corte, serbi e kosovari devono riprendere i negoziati, ci sono questioni delicate, etniche, culturali, storiche e religiose da affrontare. Nel Nord del Kosovo ci sono i monasteri ortodossi che sono la sorgente della religione ortodossa serba, per esempio. E la strada da seguire è quella dell’Europa. Già lunedì a Bruxelles spero si appoggi la domanda di adesione della Serbia, sinora chiusa nel cassetto dalle titubanze di Germania e Olanda».
Anche per evitare che si duplichi, con la Serbia, quello che Barack Obama ha rimproverato all’Europa in merito alla Turchia?
«E che anch’io rimprovero all’Europa. Il rischio di perdere la Turchia può diventare concreto, se continuiamo a considerarla un problema. Abbiamo bloccato perfino il capitolo energetico, quando tutte le autostrade dell’energia passano dalla Turchia! Con conseguenze anche sulla questione iraniana, perché la Turchia infine ha votato all’Onu contro le sanzioni a Teheran. Poi c’è il fronte aperto con Israele, quando si trattava del Paese che maggiormente dialogava con Tel Aviv. L’Italia deve svolgere un ruolo-ponte, per questo ci sarà a Roma un vertice italo-turco in ottobre, con i due primi ministri e non solo. Ed è positivo che proprio in queste ore Israele, come importante gesto di distensione, abbia cancellato l’invito agli israeliani a non andare in Turchia».
Perché è stato rimandato il viaggio a Gaza? Gelosie europee per l’iniziativa dell’Italia, della Francia e della Spagna?
«Ma no, c’è stata una valutazione pragmatica dopo la visita di Lady Ashton. Se l’obiettivo è constatare il progresso sull’apertura delle frontiere e il flusso delle merci è meglio attendere i primi di settembre. Andare adesso avrebbe significato bruciare una visita senza precedenti, di sette ministri europei».
Addirittura una Foreign Affairs Flotilla? È come se lei dicesse che al momento Gaza resta blindata...
«Una specie di Foreign Affairs Flottilla, sì. E’ settembre il momento giusto perché allora potremo lanciare i negoziati diretti israelo-palestinesi, dato che alla fine di quel mese la Lega araba revisionerà il piano di proximity talks e scadrà la moratoria sugli insediamenti. Mi auguro che la disponibilità sui negoziati diretti sia raccolta anche prima di settembre. Ho parlato ieri con gli Stati Uniti, i risultati della visita di Abu Mazen e Netanyhau alla Casa Bianca lo lasciano sperare».
C’è anche la questione di Gerusalemme, che fece fallire i famosi negoziati condotti da Bill Clinton...
«Credo che si debba procedere affrontando le molte questioni tappa per tappa. E che si debba discutere di Gerusalemme solo alla fine».
Ministro, a Kabul lei ha visto il ministro degli Esteri iraniano Mottaki. Accetterà il suo invito a Teheran?
«Sì, se risponderà in tempi brevissimi alla richiesta della Ashton, che gli ha scritto, di riprendere i negoziati sul nucleare. A me Mottaki ha già detto che il negoziato ripartirà alla conclusione del Ramadan, la prima settimana di settembre. Se fosse così si creerebbero le condizioni per una mia visita a Teheran su un tema molto concreto, quello della collaborazione per la stabilizzazione dell’Afghanistan. L’Italia ha interesse a parlare degli Ied, quelle bombe a compressione che fanno saltare i nostri automezzi in Afghanistan, e l’Iran chiede all’Italia un’iniziativa per la lotta alla droga in ambito regionale, dunque... Gli iraniani, poi, considerano positivamente il passaggio di consegne tra McChrystal e Petraeus, perché Petraeus aprì con loro il negoziato per risolvere la questione dell’Iraq».
Ma non l’imbarazza andare in Iran?
«Col negoziato nucleare aperto dall’Europa, e la questione della stabilizzazione afghana in agenda, verificata un’apertura iraniana, sarà molto meno difficile e molto meno imbarazzante che io vada a Teheran».
Dunque le sanzioni non bastano, l’Europa punta sull’azione diplomatica. Anche perché gli americani perseguono attraverso lo strumento dell’embargo il fine di affermare la propria leadership in un mondo sempre più multipolare?
«Il negoziato nucleare deve iniziare con l’Europa, non c’è dubbio. Ma la strategia delle sanzioni avrà successo solo se un numero consistente di Paesi vi concorrerà».
E l’Italia farà la sua parte? Noi teniamo la linea politica, ma poi le nostre imprese continuano a operare, questa è l’accusa che ci è sempre stata mossa.
«L’Italia concorrerà. Lunedì a Bruxelles discuteremo lo sviluppo delle sanzioni Onu. L’Italia ormai è dietro la Germania, come partner economico dell’Iran, pur nel rispetto degli impegni che avevamo preso. Le sanzioni devono essere efficaci. E sono lo strumento di pressione per riaprire, non per chiudere il tavolo negoziale».

Il FOGLIO - " Lunedì: sanzioni europee contro l’Iran. E il resto dell’anno? Sabotaggio "


Mahmoud Ahmadinejad

Bruxelles. Sul programma nucleare iraniano, l’Unione europea lunedì farà ciò che avrebbe dovuto fare cinque anni fa, quando nell’agosto 2005 l’Iran tolse i sigilli all’impianto di arricchimento dell’uranio a Isfahan: adottare sanzioni così “ampie e robuste” da riportare la Repubblica islamica al tavolo dei negoziati. “L’Ue allarga in maniera autonoma le sanzioni delle Nazioni unite”, spiega al Foglio un ambasciatore europeo. Dopo anni di divisioni e rinvii, c’è l’accordo di tutti su misure che colpiscono idrocarburi, banche, assicurazioni, trasporti e personalità del regime. Saranno vietati i nuovi investimenti, l’assistenza tecnica e i trasferimenti di tecnologia nei settori del petrolio e del gas. Le sanzioni Ue limiteranno gli scambi commerciali e rafforzeranno il controllo sulle banche iraniane. Alcuni leader dei Guardiani della rivoluzione – come il capo di stato maggiore dei pasdaran, Ali Akbar Ahmadian – diverranno “personae non gratae”. Servirà un po’ di tempo per l’implementazione, deve ancora essere “adottato un regolamento”, dice l’ambasciatore. Ma “queste sanzioni sono sorprendentemente severe”, spiega Mark Fitzpatrick dell’International Institute for Strategic Studies di Londra. “Per la prima volta, l’Iran ha di fronte sanzioni che avranno un impatto significativo sull’economia”. Secondo Fitzpatrick, non basterà a convincere Teheran a rinunciare al programma nucleare. Ma “in passato l’Iran ha sempre fatto delle concessioni sotto pressione”. E lunedì i ministri degli Esteri Ue rinnoveranno l’offerta di negoziato. “La nostra risposta è pronta”, ha detto ieri il ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki, spiegando che nei prossimi giorni annuncerà le sue condizioni al dialogo. Domani arriva a Ankara il ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorim, per resuscitare l’asse pro-iraniano con il suo omologo turco Ahmet Davutoglu. L’Iran compra dalla Turchia metà delle importazioni di benzina, il resto arriva dalla Cina e dal traffico clandestino attraverso il Kurdistan iracheno. Se le manovre dilatorie sono una specialità iraniana, la stretta delle sanzioni inizia a farsi sentire sull’economia. La scorsa settimana i bazarii di Teheran erano in sciopero contro l’aumento delle tasse. Intanto, le sanzioni sul materiale nucleare hanno rallentato l’arricchimento dell’uranio. I dati dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica rivelano un calo del 20 per cento delle centrifughe attive a Natanz: da 4.920 nel maggio 2009 a 3.936 nel 2010. Tra le ragioni, secondo il Financial Times, l’incompetenza degli scienziati iraniani e il sabotaggio. I servizi segreti occidentali avrebbero utilizzato le filiere legali e illegali che forniscono all’Iran materiali per le centrifughe introducendo pezzi di ricambio difettosi. Già nel 2006 un’esplosione di una centralina distrusse 50 centrifughe a Natanz. Nel 2004 gli ispettori dell’Aiea constatarono danni a componenti provenienti da una società svizzera avvicinata dalla Cia. “Recentemente un ampio numero di centrifughe iraniane sono scoppiate ed è stato necessario sostituirne circa la metà”, rivela un accademico al Ft: “Queste cose non accadono accidentalmente”.

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