martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa - Il Foglio - Il Giornale Rassegna Stampa
23.07.2010 La strategia Usa in Afghanistan: droni e i micidiali soldati nepalesi gurkha
Obama cerca un sistema per abbandonare Kabul in fretta. Cronache e commenti di Maurizio Molinari, redazione del Foglio, Fausto Biloslavo

Testata:La Stampa - Il Foglio - Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari - La redazione del Foglio - Fausto Biloslavo
Titolo: «L'America si è stancata di Kabul - Tagliare la testa al talebano - Posta dai talebani: donne, a casa o morirete»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/07/2010, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L'America si è stancata di Kabul ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Tagliare la testa al talebano ", l'articolo dal titolo "  L’uomo che sussurrava ai droni promosso ai vertici della Cia". Dal GIORNALE, a pag. 11, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Posta dai talebani: donne, a casa o morirete ".
Ecco gli articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " L'America si è stancata di Kabul "


Maurizio Molinari

Al Congresso i democratici sono restii ad approvare nuovi fondi alla guerra contro i taleban, gli alleati olandesi e canadesi hanno deciso le date del ritiro delle truppe dentro il 2011, il britannico Cameron vuole farlo nel 2014, nei sondaggi il consenso per la campagna militare è sceso al 43 per cento e adesso anche il presidente Barack Obama comincia ad avere dubbi sull’andamento delle operazioni in Afghanistan.
A svelare quanto sta maturando dentro la Casa Bianca è il «New York Times», secondo cui «il presidente è sempre meno circondato da consiglieri e strateghi che sostengono i benefici di continuare l’attuale corso delle operazioni» basato sulla scelta compiuta nel marzo 2009 di aumentare le truppe sul terreno. Allora Obama fece prevalere la tesi del generale Stanley McChrystal su quella di Joe Biden, favorevole a ridurre le truppe per affidare la lotta ad Al Qaeda all’Intelligence, ma adesso con McChrystal defenestrato e le operazioni militari in stallo torna a riaffacciarsi l’opzione del vicepresidente.
A farlo intendere è John Kerry, il capo della commissione Esteri del Senato, che la scorsa settimana ha espresso in ripetuti colloqui privati i «dubbi sull’attuale strategia» ricordando di «aver sostenuto Biden». La carenza di risultati nell’Helmand, dove la cattura di Marjah non ha portato all’espulsione dei taleban, e lo stallo delle operazioni a Kandahar, con l’attesa offensiva estiva della Nato non ancora iniziata, lasciano intendere che l’arrivo dei rinforzi non sta cambiando l’equilibrio di forze sul terreno.
«È tempo di ridurre le nostre ambizioni e la nostra presenza» ha scritto Richard Haass, presidente del «Council on Foreign Relations», su «Newsweek», descrivendo l’opinione che si sta facendo spazio a Washington, dove se la Camera ha bocciato un emendamento della maggioranza per un calendario del ritiro è solo perché 98 democratici hanno votato con l’opposizione repubblicana. Rivedere la strategia ad appena 16 mesi dalla decisione si annuncia una scelta ad alto rischio per Obama ma l’impressione è che la Casa Bianca voglia saggiare la resistenza di chi potrebbe opporsi a una consistente riduzione di truppe: il ministro della Difesa Robert Gates e il nuovo comandante David Petraeus. Se ciò sta avvenendo ora è perché la Casa Bianca punta ad arrivare ad una decisione entro il vertice Nato di Lisbona, in novembre.

Il FOGLIO - "  Tagliare la testa al talebano"


Gurkha

I gurkha sono soldati nepalesi che combattono come volontari nell’esercito britannico. La loro fama, e quella dei loro coltelli da combattimento, i micidiali kukri dalla lama ricurva, è leggendaria. Si dice che durante la Seconda guerra mondiale i soldati giapponesi che ne aspettavano in trincea l’onda d’urto finissero per arrendersi prima dell’assalto, coi nervi a pezzi per aver ascoltato i gurkha affilare nottetempo le lame. Ora uno di loro finirà davanti alla Corte marziale. La sua squadra in Afghanistan ha ricevuto l’ordine di dare la caccia a un comandante talebano di alto livello. I gurkha sono riusciti a ucciderlo, ma sono finiti sotto il fuoco pesantissimo dei guerriglieri e non potevano, come da istruzioni, portarne indietro il cadavere per l’identificazione certa: il soldato ha estratto il suo kukri, ha staccato la testa del comandante e tutti hanno fatto ritorno alla base. Secondo un portavoce del ministero della Difesa, l’azione del soldato viola la Convenzione di Ginevra (contro quale esercito nemico in divisa?) e potrebbe offendere la sensibilità della popolazione islamica. Un soldato sta per essere punito perché ha mostrato coraggio, lucidità e rapidità d’esecuzione. Nel frattempo martedì a Baghlan, nel nord dell’Afghanistan, fuori dal metro quadro di pensiero ristretto occidentale, là dove il mondo incivile vive e combatte, i talebani hanno espugnato una stazione di polizia e – molto politicamente scorretti – hanno decapitato da vivi sette afghani.

Il FOGLIO - "  L’uomo che sussurrava ai droni promosso ai vertici della Cia"


John D. Bennett

Roma. Il direttore generale della Cia, Leon Panetta, ha scelto John D. Bennett come capo del National Clandestine Service (Ncs), la branca paramilitare dell’agenzia, quella che sovrintende alle operazioni clandestine. Bennett è un civile che già dai tempi dell’Amministrazione Bush lavora a Islamabad al comando della Special Activities Division, il ramo della Cia che si occupa delle missioni inconfessabili e che in Pakistan dirige gli attacchi con aerei senza pilota contro le aree tribali vicine al confine afghano. “John ha credenziali impeccabili in tutte le competenze richieste dalle operazioni di intelligence – dice Panetta, annunciando la nomina – è stato in prima linea nella lotta contro al Qaida e i suoi alleati aggressivi”. Tra le competenze di Bennett hanno pesato soprattutto gli anni passati in Pakistan a individuare e colpire i rifugi dei talebani con gli aerei senza pilota. Quella che Panetta descrive come “la campagna più aggressiva della storia della Cia”, che Bennett ha diretto di persona. Carriera segnata fin dal suo ingresso alla Cia, nel 1991. L’ex marine John D. Bennett è mandato dall’intelligence americana in Africa negli stessi anni che vedono la nascita di al Qaida, ed è laggiù che il gruppo inizia a colpire: il 9 agosto 1998 attacca le ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam, uccidendo 223 persone. Lui – che nel tempo ha diretto quattro sedi della Cia – in quel momento è il numero due della divisione africana dell’Ncs. La competenza che Bennett acquista sul campo è così preziosa che subito dopo l’11 settembre 2001 è richiamato in patria come esperto nella pianificazione della controffensiva globale al terrorismo chiesta dal presidente George W. Bush. Per il resto la sua biografia – in gran parte oscura, come quella di ogni spia che si rispetti – è legata ad alcuni compiti che non contribuiscono a restituirgli candore: è stato vicedirettore della misteriosa Humint, la divisione dei servizi segreti che si occupa di raccogliere le informazioni sul campo; ha diretto la Special Activities Division (Sad), la branca della Cia che gestisce le operazioni di spionaggio più segrete, senza disdegnare le incursioni con i commando. Sono gli uomini a cui vengono affidati i compiti più torbidi: sono stati i primi a entrare in Iraq, dove hanno preparato il terreno per l’attacco dell’esercito nel febbraio del 2003, prima dell’invasione. Le squadre del Sad hanno anche combattuto e sconfitto gli estremisti islamici di Ansar al Islam, alleati di al Qaida, in una campagna vicino al confine iracheno con l’Iran. Sono gli stessi che nel marzo del 2003 hanno catturato la mente dell’attentato alle Torri gemelle, Khalid Sheikh Mohammed, in un blitz in Pakistan. Perdite civili E’ per questo che Panetta dice che Bennett “conosce le difficoltà e i benefici del lavoro duro”. E ora più che mai c’è bisogno della sua esperienza nella campagna con gli aerei senza pilota. Sono gli stessi numeri a dire che – mentre in Afghanistan Kandahar attende ancora la sua battaglia di terra finale – nelle aree tribali al confine con il Pakistan si sta colpendo sul serio: uno studio della New America Foundation – intitolato “L’anno del drone” – ha registrato, dal primo di gennaio al 15 luglio scorso, 46 attacchi con aerei senza pilota. Un andamento che promette di superare i 53 dell’anno scorso, magari raddoppiando il 2008 in cui l’Amministrazione Bush si era limitata a metterne a segno 36 – e nove tra il 2007 e il 2004, l’anno in cui è stato lanciato il programma. Operazioni non ufficialmente riconosciute in uno stato straniero, lungo un confine troppo poroso dove le distinzioni tra lecito e illecito diventano molto labili. Il direttore generale della Cia ha fatto di tutto per sponsorizzare l’eccezionale efficacia di questi sconfinamenti, dicendo che gli attacchi con aerei senza pilota “stanno decimando al Qaida”. Ma secondo i critici, i dati a disposizione non permettono di quantificare ancora con precisione l’efficienza e i costi della strategia di Panetta. Le notizie dalle aree tribali sono spesso sommarie e trascurano il dato che è difficile da vendere politicamente, quello delle perdite civili. Secondo la New America Foundation un terzo delle vittime degli attacchi sarebbero civili. Un altro studio di Brian Glyn Williams, dell’Università del Massachusetts, ridimensiona le vittime tra la popolazione, fissandole attorno al quattro per cento. E’ anche vero che, nella zona, le distinzioni tra militanti e semplici simpatizzanti filo talebani si stemperano in un insieme in cui è difficile mettere ordine. Mastini bushiani I costi di altra natura sono invece più chiari: attacchi di questo tipo violano la sovranità nazionale del Pakistan, danno che l’America è costretta a ripagare finanziando il governo di Islamabad e sopportando le sue impresentabili velleità di alleato affidabile. L’avvicendamento alla Casa Bianca non ha cambiato la strategia. La nomina di Leon Panetta alla guida della Cia – un deputato a digiuno di sicurezza nazionale, già capo dello staff di Clinton – sembrava destinata a segnare una svolta rispetto all’Amministrazione Bush. Ma quello che si voleva “Papa straniero” si è appoggiato su mastini bushiani come Stephen Kappes ed è finito per fare affidamento su sistemi più brutali di quelli dei suoi predecessori. A fine marzo, Panetta aveva detto: “Siamo in guerra, non possiamo permetterci esitazioni. Il mio approccio sta per diventare quanto più duro sarà necessario per battere quei figli di puttana”. Il manifesto programmatico della Cia dell’Amministrazione Obama era chiaro, e ora la nomina di Bennett è la conferma di cui ormai non c’era più necessità.

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Posta dai talebani: donne, a casa o morirete"


Talebani

«Devi finirla di insegnare, altrimenti taglieremo la testa ai tuoi figli e daremo fuoco alla tua bambina» è la minaccia dei talebani ad una maestra afghana, colpevole di fare il suo mestiere in una scuola femminile. Uccise senza pietà perché lavorano per le organizzazioni umanitarie occidentali o minacciate di venir sfregiate con l'acido per innocenti richieste musicali alle radio locali, le donne del disgraziato Paese al crocevia dell'Asia sono di nuovo sotto tiro. E temono che andrà sempre peggio se il governo Karzai aprirà le braccia ai talebani nella speranza di chiudere il conflitto.
Lo denuncia un'inchiesta di Human rights watch, che ha raccontato la drammatica storia di 90 donne afghane vessate o uccise nei distretti che si trovano sotto pesante influenza talebana. I loro nomi sono quasi sempre di fantasia per evitare ritorsioni.
Il 13 aprile Hossai, una giovane afghana di 22 anni, è stata imbottita di proiettili all'uscita degli uffici di una Ong americana a Kandahar. Pur avendo ricevuto le lettere minatorie, che i talebani appiccicano di notte all'uscio di casa delle loro vittime, non voleva crederci. E tantomeno lasciare il lavoro umanitario che dava da mangiare a lei e alla sua famiglia. È morta per le ferite.
Subito dopo altre donne, come Nadia N., sono state minacciate. «I servi dell'Islam ti ordinano di non lavorare più per gli infedeli - si legge nella lettera pubblicata da Human rights watch -. Se continui ti uccideremo come abbiamo fatto con Hossai. Il tuo nome, come quello di altre donne, è nella nostra lista» delle esecuzioni.
I talebani hanno già "giustiziato" donne famose come la pacifista Sitara Achakzai, il comandante della polizia Malalai Kakar, la giornalista Zakia Zaki e la funzionaria per gli Affari femminili Safia Amajan. I colpevoli non sono mai stati portati davanti ad un tribunale.
Lo scorso febbraio Fatima K., rea solo di essere una impiegata pubblica, ha ricevuto questa lettera su carta intestata dell'Emirato talebano: «Ti uccideremo in una maniera brutale. Servirà da lezione per quelle donne che ricevono soldi haram (proibiti dall'Islam, nda), che arrivano dagli infedeli».
Lo scorso anno Jamila W. ha preso il coraggio a quattro mani arruolandosi come osservatrice elettorale durante le presidenziali. I talebani le hanno subito recapitato una lettera minatoria: «Lavori per il voto con i nemici della religione. Devi abbandonare subito questo incarico o ti staccheremo la testa dal corpo». Jamila ha resistito per un po', ma suo padre è stato assassinato per ritorsione.
Nel mirino dei talebani ci sono soprattutto le insegnanti delle scuole femminili. Asma A. faceva la maestra in una provincia meridionale dell'Afghanistan. Per convincerla ad andarsene gli estremisti in armi le hanno minacciato la prole: «Taglieremo la testa ai tuoi figli e daremo fuoco alla tua bambina se non lasci il primo possibile il tuo posto».
Nella provincia settentrionale di Kunduz il "governatore" ombra degli insorti ha emesso un editto che proibisce di mandare a scuola le ragazze dopo la pubertà.
Da febbraio si sono ripetuti gli avvelenamenti, in alcuni casi con agenti chimici e gas, nelle scuole femminili. Almeno sette istituti sono stati colpiti in varie parti del Paese. In un solo episodio a Kunduz, lo scorso aprile, un centinaio fra studentesse ed insegnanti sono finiti all’ospedale.
Le minacce talebane riguardano anche le ragazze che chiedono la canzone preferita alle radio locali. Nel distretto di Kohistan, provincia di Kapisa, è stato affisso sull'uscio di numerose case il divieto di fare richieste alle emittenti. Quando erano al potere i talebani avevano proibito musica e televisione. «In caso contrario sarete decapitate o sfregiate con l'acido», si legge nell'ordinanza firmata dal "Gruppo della fratellanza islamica".
Il 2 giugno scorso il presidente afghano Hamid Karzai ha aperto le braccia ai nemici in occasione della Loya Jirga di pace organizzata a Kabul. «Ripeto ai miei cari fratelli talebani che questa è la loro terra - ha dichiarato Karzai davanti l'assemblea tribale -. Tornate a casa. Non verrete incolpati se avete compiuto degli errori.
Le vittime intervistate nel rapporto di Human rights watch sono convinte che sia necessaria una soluzione negoziale del conflitto, ma hanno paura che venga ottenuta sulla pelle della popolazione femminile. «Le donne vogliono la fine della guerra - si legge nel rapporto dell'organizzazione per i diritti umani - ma con l'avvicinarsi dei negoziati con i talebani temono che saranno loro a pagare il prezzo più alto per la pace».

Per inviare la propria opinione a Stampa, Foglio, Giornale, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@lastampa.it
lettere@ilfoglio.it
segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT