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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
20.07.2010 La dittatura dei talebani in Afghanistan e Pakistan
Cristiani e donne discriminati e perseguitati quotidianamente. Cronache di Lorenzo Cremonesi, Francesca Caferri

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Lorenzo Cremonesi - Francesca Caferri
Titolo: «Due cristiani uccisi in Pakistan. 'Blasfemi' - 'Vivere al tempo dei Taliban' in un blog paure e speranze delle donne dell´Afghanistan»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/07/2010, a pag. 17, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Due cristiani uccisi in Pakistan. 'Blasfemi' ". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'articolo di Francesca Caferri dal titolo " 'Vivere al tempo dei Taliban' in un blog paure e speranze delle donne dell´Afghanistan".
Ecco i due articoli:

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Due cristiani uccisi in Pakistan. 'Blasfemi' "

Falsamente accusati di blasfemia anti-musulmana, processati, riconosciuti innocenti, ma poi assassinati uscendo dal tribunale. Torna la violenza contro la minoranza cristiana in Pakistan. E’ avvenuto ieri nella città di Faisalabad, dove i 100.000 cristiani vivono giornate di paura. «Questo è solo l’inizio di una nuova tornata di attacchi. Temiamo le folle sobillate dai gruppuscoli dell’estremismo islamico filo-talebano», dicono per telefono dall’arcivescovado cattolico.

La tragedia inizia il 2 luglio per Rashid Emmanuel, 32 anni, pastore protestante, che assieme al fratello Sajjad, più giovane di due anni, coordina un’organizzazione non governativa dedita alla carità e soprattutto al dialogo interreligioso. I due sono accusati da un commerciante musulmano di avere diffuso alcuni volantini «blasfemi», in cui si deride Maometto e la sua religione. Loro si difendono, ribadiscono in pubblico che non sono gli autori.

Nulla da fare. Secondo le leggi «contro la blasfemia», promulgate nei primi anni Ottanta dal dittatore golpista Mohammad Zia-ul-Haq e mai revocate, qualsiasi cittadino appartenente alle minoranze religiose accusato di offendere l’Islam da un musulmano va processato con rito accelerato e, se riconosciuto colpevole, rischia la pena di morte. Pure, già dalle prime udienze emerge la loro totale estraneità. Un esperto calligrafo chiamato a testimoniare spiega che non è loro la firma quella sui volantini divulgati in fotocopia. «Quando è stato evidente che i due sarebbero stati presto liberati, i gruppi dell’estremismo locale sono entrati in fibrillazione. E un commando armato li ha attesi fuori dal tribunale», raccontano i reporter del quotidiano Dawn. Nella sparatoria restano coinvolti anche i poliziotti di scorta, che avevano cercato di reagire. Uno di loro è ferito grave. I due fratelli muoiono invece sul colpo.

Torna così all’ordine del giorno la richiesta di abrogare una volta per tutte le leggi contro la blasfemia. «Da anni ormai ne abbiamo chiesto la cancellazione in nome della giustizia. Sono spesso utilizzate per derubare i cristiani delle loro proprietà. Ma il governo non fa nulla», dicono alla nunziatura di Islamabad. La recrudescenza estremista dal 2001 pone i cristiani (sono circa il 2% dei 165 milioni di pachistani) sulla difensiva. Ed è difficile parlare con l’arcivescovo di Faisalabad, Joseph Coutts. Qui regna la paura. Dall’inizio dell’anno una ventina di cristiani pachistani è stata assassinata nel Paese. Gli incidenti più gravi sono avvenuti proprio nella sua diocesi. Nelle ultime settimane più volte sono state tirate pietre contro la locale basilica del Sacro Rosario. Il quartiere cristiano di Waris Pura sembra abbia visto un forte esodo. Dicono gli abitanti: «Non è sicuro. Lasciamo che si calmino le acque, poi torneremo alle nostre case».

La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " 'Vivere al tempo dei Taliban' in un blog paure e speranze delle donne dell´Afghanistan "

«La provincia dove vivo, a sud di Kabul, è piena di Taliban. I miei cugini sono stati uccisi due giorni fa perché lavoravano per il governo. Nessuno ha detto nulla. Tutti gli uomini hanno la barba. I matrimoni sono silenziosi, perché abbiamo paura di mettere la musica. Vado a lavoro e mio padre mi rimprovera perché dice che sto rischiando troppo. Dite che volete aiutarmi, ma non potete farlo, perché solo io sono qui. Vedo le mucche dalla finestra: loro vanno fuori, io non posso. Se lo facessi i Taliban mi ucciderebbero. E nessuno si chiederebbe perché». L´autrice di questo messaggio è una donna che ha scelto di restare anonima: firmarlo equivarrebbe a condannarsi a morte. La speranza di chi ha raccolto e messo in Rete le sue parole è che arrivino alle orecchie dei rappresentanti di 65 nazioni che oggi, in una Kabul blindata, si riuniranno per discutere ancora una volta del futuro dell´Afghanistan.
L´anonima è una della trentina di donne impegnate da più di un anno in un esperimento senza precedenti: Afghan Women Writing Project (AWWP) è un progetto iniziato nel 2009 dalla scrittrice americana Masha Hamilton. Con l´aiuto di conoscenti impegnate nella cooperazione, Hamilton è riuscita a convincere un gruppo di afgane a scrivere i loro pensieri e - grazie al sostegno tecnico suo e di alcune sue colleghe - a mandarli in Rete. In pochi mesi i contributi sono cresciuti in maniera esponenziale: AWWP è diventato uno squarcio aperto su un mondo altrimenti inaccessibile, quello delle donne dell´Afghanistan. Sul sito non ci sono le attiviste o le giornaliste che, seppur con difficoltà, da Kabul riescono a far uscire la loro voce. Ma le abitanti della provincia, le madri preoccupate, le maestre che vedono bruciare le loro scuole e le studentesse timorose che, da un giorno all´altro, la famiglia le costringa a sposarsi e a interrompere gli studi. L´Afghanistan reale insomma, quello che, se non fosse per Internet, con difficoltà riuscirebbe ad arrivare nelle sale ultra-blindate dove i grandi del mondo discutono del suo futuro.
A parole, l´incontro di oggi promette di essere diverso dai nove (in nove anni) che lo hanno preceduto: per la prima volta il presidente Hamid Karzai sarà chiamato a tracciare le linee per smarcarsi, entro tre anni, dalla dipendenza militare ed economica dai paesi donatori. Ma i dubbi sulla sua reale efficacia sono molti: associazioni non governative come Oxfam e Human Rights Watch hanno invitato i delegati ad abbandonare i calcoli politici e dare finalmente priorità alle richieste degli afgani e, soprattutto, delle afgane. Sono loro, ancora una volta, il settore più a rischio in questo momento. Nelle cancellerie così come negli uffici delle ong si teme apertamente che la riconciliazione con i Taliban voluta da Karzai possa avvenire sulla loro pelle: che per salvarsi dal fallimento dietro l´angolo, il presidente sia pronto a sacrificare i diritti delle sue connazionali. I timori paiono confermati dalla conferenza di oggi: benché il segretario di Stato Hillary Clinton abbia voluto ad ogni costo inserire nella sua agenda un incontro con un gruppo femminile, la presenza delle donne fra i delegati sarà minima. E, nelle parole dell´attivista Soraya Pakzad, «del tutto simbolica».
Un fatto che genera rabbia fra le donne di AWWP: «Non mi fido di quelli che dicono di sostenere i diritti delle donne in Afghanistan - scriveva qualche settimana fa Roya - Come potrei? In questi anni hanno forse fatto fiorire un bocciolo ma non hanno portato la primavera. Lasciate pure che restino chiusi nei loro uffici: ma non ditemi che si preoccupano dei nostri diritti». «I nostri governanti devono smetterla di comprare ville a Dubai e cominciare a pensare a noi - le fa eco Elay - a quelle ragazze che scappano di casa rischiando di essere uccise, perché in famiglia nessuno le tratta come esseri umani. Se accadesse alle vostre sorelle, figlie, madri, mogli: cosa fareste? Le ragazze sono il futuro di questo paese, dobbiamo dare loro diritti e possibilità, trattarle come esseri umani. Fate qualcosa». Parole dure, reali, prive di fronzoli diplomatici: se riuscissero ad arrivare alle orecchie dei rappresentanti internazionali sarebbe già un successo.

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