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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - L'Opinione - La Stampa Rassegna Stampa
17.07.2010 La frattura fra Hamas e Anp rende impossibili i negoziati
Cronache e commenti di Dimitri Buffa, redazione del Foglio, redazione della Stampa

Testata:Il Foglio - L'Opinione - La Stampa
Autore: La redazione del Foglio - L'Opinione - La Stampa
Titolo: «Chi deve chiamare Israele se vuole parlare con i palestinesi? - Hamas spara su manifestanti disarmati, ma pacifinti e stampa non se ne accorgono - Diamo Gaza ad Hamas ma con i confini sigillati»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/07/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Chi deve chiamare Israele se vuole parlare con i palestinesi? ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Hamas spara su manifestanti disarmati, ma pacifinti e stampa non se ne accorgono  ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo dal titolo " Diamo Gaza ad Hamas ma con i confini sigillati.

Nei due cartelli della vignetta c'è scritto : "Fatah, il partito violento fondato da Yasser Arafat". "Hamas, il partito violentissimo controllato dall'Iran ".

Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - " Chi deve chiamare Israele se vuole parlare con i palestinesi? "

Gerusalemme. Fatah, il partito di Abu Mazen, giovedì ha chiesto al rais palestinese di non accettare colloqui diretti con gli israeliani. Pochi giorni prima, il presidente Barack Obama, dopo un incontro a Washington con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, aveva parlato per la prima volta di una scadenza: a settembre, ha detto, spero di vedere palestinesi e israeliani seduti a un tavolo. L’ottimismo dell’Amministrazione americana si è concretizzato nell’ennesimo viaggio dell’inviato in medio oriente, George Mitchell, arrivato giovedì nella regione per agevolare il passaggio ai colloqui diretti. Il diplomatico, secondo quanto riportato dai giornali locali, dovrebbe incontrare oggi i vertici palestinesi, che sembrano però aver già posto le loro condizioni: l’interruzione definitiva della costruzione degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est (la moratoria del governo di Netanyahu scade a settembre); più garanzie su confini e sicurezza; i negoziati devono ricominciare da dove i colloqui tra Abu Mazen e l’ex premier Ehud Olmert si sono interrotti, nel 2008, a causa dell’operazione Piombo Fuso. Mentre l’inviato americano fa ancora una volta la spola tra le parti, mentre Netanyahu spinge per colloqui diretti e Abu Mazen si mostra dubbioso, tutti preferiscono ignorare il dato di fatto: i palestinesi, dall’estate del 2007, sono divisi ideologicamente, politicamente e geograficamente. In Cisgiordania ci sono un presidente (il cui mandato è tecnicamente scaduto nel gennaio 2009) e un premier, Salam Fayyad, che non hanno vinto le elezioni (le urne furono conquistate da Hamas nel 2006); il Parlamento non si riunisce da mesi. Una volta seduto al tavolo delle trattative, per chi negozierà Abu Mazen? Secondo Elias Zananiri, giornalista palestinese molto vicino all’Autorità nazionale (Anp), “i negoziati devono fondarsi sui confini del 1967. Negoziare tanto per negoziare non serve a nulla e a nessuno. Occorrono trattati che portino a un accordo, e questi devono tenere conto di confini e sicurezza”. E’ la posizione ufficiale da mesi e, ricorda il giornalista, “stiamo parlando di negoziati che includerebbero Cisgiordania, Gaza, la Valle del Giordano”. Per raggiungere un’intesa il rais palestinese dovrebbe lavorare allo stesso tempo alla riconciliazione tra il suo partito, Fatah, e Hamas. “Quando Israele e l’Anp raggiungeranno un accordo, verrà posto di fronte ai palestinesi. Il presidente avrà abbastanza potere per presentarlo alla popolazione e Hamas dovrà rispettare la volontà popolare”. Non tutti, in Cisgiordania, danno a un’eventuale intesa il potere taumaturgico di sanare la ferita interna. Abu Mazen sta per entrare in negoziati partendo dal presupposto di essere il leader di tutti i palestinesi – spiega Diane Buttu, ex consigliere del rais –, quando non comanda neppure in Cisgiordania. “Uno dei problemi più grandi è che lui ignora la divisione interna tra i palestinesi. Pensa che i negoziati stessi possano portare a una riconciliazione, che ci sarà una rivolta in suo favore nella Striscia di Gaza nell’eventualità di un accordo. Ma questo non succederà. La popolazione non crede più nel processo di pace, a meno che non veda una trasformazione nella vita quotidiana”. E intanto Hamas manda segnali, fa capire di voler entrare nella danza diplomatica a suo modo, come ha scritto l’Economist. “Il mondo deve fare i conti con noi”, ha detto al settimanale britannico Khaled Meshaal, leader dell’organizzazione in esilio a Damasco. A Gaza si attende l’ennesimo collasso dei tentativi negoziali, sperando di essere chiamati “a fare parte del gioco”. Anche per questo, nelle ultime settimane, il movimento ha ricontattato lo 007 più famoso del Cairo, il generale Omar Suleiman, per trascinare ancora una volta il mediatore egiziano sul campo, a trattare con la fazione palestinese avversa. “Non esiste però una strategia congiunta – spiega ancora Buttu – Sia Abu Mazen sia Hamas vogliono un accordo con Israele, ma nel proprio interesse: Hamas parla segretamente con Israele; Abu Mazen parla con Israele, ma Hamas e Fatah non parlano tra loro. Per chi tratterà quindi il presidente? Anche per Gaza? Il suo mandato è scaduto, come quello del premier Salam Fayyad. Lo stato palestinese è soltanto una condizione mentale, perché nessuno veramente sa di cosa stiamo parlando. Abu Mazen vuole un accordo che porti alla riconciliazione interna. Non viceversa”. Abu Mazen ha chiesto a Hamas, giusto pochi giorni fa, di firmare un documento egiziano sulla riconciliazione, rifiutato a fine 2009 dopo mesi di trattative. Un testo che permetterebbe ai palestinesi di muoversi verso le elezioni, dando nuova legittimità alle istituzioni. Ma “la frattura tra palestinesi è ideologica, politica, geografica. Non sarà risanata nel futuro prossimo – spiega Gidi Grinstein, direttore del Reut Institute di Tel Aviv –. Anp e Organizzazione per la liberazione della Palestina non hanno più la legittimità necessaria a un accordo con Israele. Anche se si arrivasse all’intesa domani, il Parlamento palestinese non potrebbe ratificarla. Per questo i colloqui indiretti sono in realtà il miglior modo di affrontare la situazione per ora. Un voto del genere potrebbe portare un peso eccessivo sul debolissimo sistema politico palestinese”.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Hamas spara su manifestanti disarmati, ma pacifinti e stampa non se ne accorgono  "


Dimitri Buffa

Una giovane palestinese è stata gravemente ferita da armi da fuoco martedì scorso nella striscia di Gaza dalla polizia di Hamas. Che ha disperso sparando sui partecipanti una manifestazione organizzata dal piccolo partito islamista non-violento Hizb al-Tahrir (Partito della Liberazione). Anche un fotografo dell’AFP è rimasto ferito. Hizb al-Tahrir, un gruppo fondato nel 1953 a livello mondiale con filiali in molti paesi musulmani e occidentali, sostiene una lotta pacifica per l’avvento del califfato islamico in tutto il mondo. La differenza con i Fratelli Mussulmani è che la jihad deve essere non violenta. Per la cronaca il partito della giovane donna rimasta ferita abbastanza gravemente ha precisato che la manifestazione era a favore dei diritti umani e per sollecitare la scarcerazione di decine di attivisti della forza politica recentemente arrestati. Hamas andata al potere come Hitler con elezioni formalmente democratiche, ma completamente condizionate da atti di violenza e intimidazione, oggi non godrebbe neanche del 20% dei consensi della gente a Gaza e di quello di quasi nessuno nella West Bank. Ma a Gaza adesso le elezioni non si fanno più. Esattamente come nella Germania degli anni 30. Forse troppo distratti dalle imprese delle nuove “flottille” per Gaza, tra cui quella di Gheddafi junior appena dirottata dall’esercito israeliano in un porto egiziano, e quella italiana a cura dei provocatori di “Infopal” che invece partirà a settembre, appena pagate le prime tre rate per l’affitto della nave, sia i media italiani ed europei, sia i “pacifinti” di ogni latitudine e colore poltico non si sono accorti della cosa. E intanto per agosto si stanno preparando le “vacanze a Gaza”. Lo dice in una rticolo molto sracastico Sharon Levi della ong secondoprotocollo.org. “Dall’Italia – si legge nel pezzo - i soliti noti stanno organizzando una spedizione con l’ambasciata turca. La IHH ha fatto sapere di aver già reperito tre/quattro navi. Se tutto va bene gli alberghi e i ristoranti di Gaza lavoreranno a pieno ritmo. Però, da quanto si apprende, è necessario prenotare con largo anticipo. I posti sono purtroppo limitati.” Unica condizione richiesta per partecipare alla vacanza? “L’appartenenza a uno dei tanti movimenti legati ad Hamas o, al limite (ma proprio al limite), ai Fratelli Musulmani”. Può servire anche un attestato della IHH o una dichiarazione rilasciata dal Consolato Libico che attesti l’appartenenza ad una “organizzazione umanitaria” facente capo al Colonnello Gheddafi.

La STAMPA - " Diamo Gaza ad Hamas ma con i confini sigillati "

Avigdor Lieberman

Cedere Gaza ad Hamas con l’assistenza della Ue: alla vigilia della visita del ministro degli Esteri europeo Catherine Ashton, Israele lancia una proposta radicale. La proposta, secondo quanto anticipa il quotidiano Yediot Ahronot, è stata messa a punto dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, che vuole vedere la Ue sempre più coinvolta nella Striscia. Con l’assistenza economica europea, Gazaa potrebbe diventare indipendente. Inoltre, la Ue si farebbe carico anche della gestione degli aiuti e del controllo dei valichi.
Israele vuole chiedere fin da subito dei passi importanti: in particolare, la costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica e di altri due per la desalinizzazione e la depurazione dell’acqua. Lo Stato ebraico, secondo la strategia di Lieberman, chiuderebbe completamente i suoi confini con la Striscia, alla quale si accederebbe solo via mare. Ma Hamas ha rigettato l’idea in toto: per Sami Abu-Zuhri, portavoce del movimento islamico, «Gaza è parte della terra palestinese e respingiamo ogni tentativo di staccarla dal resto dei territori». Hamas, ha proseguito il portavoce, «non permetterà che chi occupa la terra palestinese evada dalle sue responsabilità».

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