Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/07/2010, a pag. 14, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Negoziati diretti con Israele Abu Mazen: è troppo presto". Da REPUBBLICA, a pag. 24, l'articolo di Lucio Caracciolo dal titolo "Il futuro di Gerusalemme e la pace tra arabi e israeliani ", preceduto dal nostro commento. Ecco i due articoli:
La STAMPA - Aldo Baquis : " Negoziati diretti con Israele Abu Mazen: è troppo presto"
Negoziati diretti fra Israele e palestinesi non sono per il momento all’ordine del giorno. Con questo messaggio lanciato da Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen ha ieri raggelato le speranze di Barack Obama e di Benjamin Netanyahu di rilanciare in tempi brevi le trattative di pace.
Ai palestinesi, ha spiegato Abu Mazen, preme in questa fase compiere progressi su due questioni centrali: i confini del futuro Stato e le questioni di sicurezza. Se su questi temi saranno compiuti progressi nei «proximity talks» (negoziati indiretti, mediati dagli Stati Uniti) l’Anp sarà pronta a passare a colloqui diretti. «In caso contrario - ha sospirato Abu Mazen - sarebbe solo una perdita di tempo».
Che i «proximity talks» abbiano lasciato finora molto a desiderare lo concordano peraltro anche Stati Uniti ed Israele. Martedì Netanyahu sarà al Cairo da Hosni Mubarak per chiedergli di rendere Abu Mazen più malleabile. Il presidente palestinese, negli ultimi mesi, non compie alcun passo senza lo «scudo protettivo» della Lega araba che a fine luglio tornerà a riunirsi. Netanyahu spera che Mubarak - pur afflitto da problemi di salute - abbia la forza residua per spronare Abu Mazen verso trattative dirette.
In casa il presidente palestinese è sottoposto a pressioni di carattere opposto. Nabil Amr, un influente dirigente di al-Fatah, critica aspramente la sua linea politica, mentre altri denunciano che Israele continua la politica del «fatto compiuto», in particolare a Gerusalemme est.
Presto tornerà a Ramallah l’emissario di Obama, George Mitchell. Nella valigetta ha una serie di misure che dovrebbero, almeno in parte, restituire l’ottimismo fra i dirigenti pragmatici palestinesi. Si parla del rafforzamento del governo di Salam Fayad; della estensione delle aree di attività in Cisgiordania delle forze di sicurezza dell’Anp; e del collegamento con una nuova superstrada di Ramallah alla città high-tech palestinese di Rawabi, in fase di costruzione. Netanyahu, che ieri ha rivelato a Fox News di «escludere un accordo di pace con i palestinesi prima del 2012», a quanto pare non ha obiezioni. Intanto gli occhi di israeliani e palestinesi sono puntati su un cargo che batte bandiera moldava e che trasporta aiuti umanitari libici diretti a Gaza. La marina israeliana ha avvertito che non gli consentirà di forzare il blocco marino e che gli aiuti possono essere inoltrati nella Striscia via terra: dal porto israeliano di Ashdod, o da quello egiziano di el-Arish. A bordo della nave ci sono una trentina di persone: assicurano che non si opporranno alle ispezioni israeliane del carico. Ma una volta concluse, aggiungono, dovrà essere permesso loro di raggiungere Gaza, per l’abbraccio con la popolazione palestinese.
La REPUBBLICA - Lucio Caracciolo : " Il futuro di Gerusalemme e la pace tra arabi e israeliani "

Lucio Caracciolo
Come scrive Lucio Caracciolo, Gerusalemme è uno dei nodi più difficili da sciogliere fra Israele e palestinesi, ma non è l'unico. Caracciolo si legga l'articolo di Aldo Baquis riportato in questa pagina della rassegna. Al momento chi si oppone ai negoziati diretti con Israele è Abu Mazen. Come al solito, i rifiuti netti a priori arrivano dalla parte palestinese, ma Caracciolo non lo specifica nel suo pezzo.
Riguardo a Gerusalemme, Caracciolo scrive : "Persino gli scavi archeologici assumono una dimensione geopolitica, a Gerusalemme e dintorni. A sponsorizzarli, gruppi politico-religiosi interessati ad affermare la propria versione sui "diritti storici" di una nazione e/o religione. Una fast archeology che ha poco di scientifico e molto di geopolitico. (...)Da parte israeliana, l´obiettivo di fondo è di rendere di fatto impossibile la spartizione della città ". Contrariamente a quanto scrive Caracciolo, i parchi archeologici a Gerusalemme non sono un sistema per cacciare la popolazione araba locale. Sono un progetto che ha a che vedere con la sua storia, dal momento che Gerusalemme è stata fondata dagli ebrei.
Per quanto riguarda le critiche alla gestione israeliana della città, facciamo notare che l'accesso ai luoghi sacri è garantito a tutti. Non succedeva lo stesso con la gestione giordana prima del '67.
Caracciolo scrive : " Ma ogni decisione strategica su Gerusalemme – e soprattutto ogni eventuale compromesso – non spetta a capi e capetti palestinesi, né solo ai leader arabi, ma all´insieme della comunità islamica e ai suoi esponenti religiosi e politici più in vista. Compresa la Turchia neo-ottomana di Erdogan, il nuovo "eroe di Gaza". ". Non manca qualcuno nell'elenco? Israele non ha alcun diritto su Gerusalemme? Israele nel '67 ha vinto una guerra, per questo Gerusalemme è diventata la sua capitale unica e indivisibile. Se ci saranno dei compromessi o delle spartizioni sarà Israele a deciderlo, non i palestinesi, nè tantomeno la Turchia filo iraniana di Erdogan.
Ecco l'articolo:
Perché non si riesce a far la pace fra arabi e israeliani? Per un milione di ragioni, ma soprattutto per una: Gerusalemme. Ci si può accordare – forse – sullo statuto dei Territori occupati, sulla questione dei rifugiati, sull´acqua e sulle eventuali garanzie internazionali. Ma quando si tocca il filo che porta a Gerusalemme, ogni negoziato muore. Lo scoprì suo malgrado Bill Clinton a Camp David, nel luglio 2000.
Dieci anni dopo, le distanze fra le parti sono cresciute su tutto, meno che sulla "città santa". Non perché si siano accorciate, ma perché erano e restano incommensurabili, come quelle che dividono una Verità assoluta da un´altra Verità assoluta. Perché lì, nel Bacino Sacro, si confrontano le incomponibili Verità delle grandi religioni monoteiste. Ogni terra è negoziabile, meno quella santa.
Gerusalemme simboleggia la dimensione profonda del conflitto arabo-israeliano. Sempre meno nazionale e sempre più religiosa. La partita vera è fra islamismo ed ebraismo, e fra i vari islamismi ed ebraismi spesso in contrasto fra loro. Siamo in Terrasanta. Lo stesso contenzioso, con gli stessi attori, spostato in qualsiasi altra parte del mondo, sarebbe stato probabilmente risolto. Ma dove ogni sasso racconta la mia Verità e nega quella altrui, la pace resta un miraggio.
Persino gli scavi archeologici assumono una dimensione geopolitica, a Gerusalemme e dintorni. A sponsorizzarli, gruppi politico-religiosi interessati ad affermare la propria versione sui "diritti storici" di una nazione e/o religione. Una fast archeology che ha poco di scientifico e molto di geopolitico. L´interesse maggiore è riservato alla cosiddetta Città di David, dove intransigenza religiosa e manipolazione geopolitica sono tutt´uno.
Da parte israeliana, l´obiettivo di fondo è di rendere di fatto impossibile la spartizione della città, così come prefigurava la formula di Clinton: "Ciò che è arabo ai palestinesi, ciò che è ebraico agli israeliani". Per questo è importante sottrarre quanto più spazio possibile ai quartieri arabi, insediandovi enclave ebraiche, da collegare fra loro. A confermare e rafforzare il peso dei coloni nella società e nell´establishment politico d´Israele.
Benjamin Netanyahu ha ripetutamente informato gli americani di non accettare alcun limite all´espansione degli insediamenti israeliani nell´area di Gerusalemme, capitale "unica, eterna e indivisibile" dello Stato ebraico. Si tratta infatti di creare una "collana di perle" fra le diverse zone gestite dai coloni e svuotare così di ogni senso il progetto di uno Stato palestinese.
I palestinesi sono talmente deboli e divisi, impegnati nelle loro faide e guerre tra feudatari e capiclan locali, da non potersi opporre all´espansione israeliana a Gerusalemme e in buona parte della Cisgiordania. Sicché la rivendicazione di Gerusalemme Est come capitale dell´improbabile Palestina è sempre più astratta. Ma ogni decisione strategica su Gerusalemme – e soprattutto ogni eventuale compromesso – non spetta a capi e capetti palestinesi, né solo ai leader arabi, ma all´insieme della comunità islamica e ai suoi esponenti religiosi e politici più in vista. Compresa la Turchia neo-ottomana di Erdogan, il nuovo "eroe di Gaza".
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