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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero-Informazione Corretta Rassegna Stampa
08.07.2010 Il successo di Bibi duro da digerire
Le analisi di Angelo Pezzana, Danielle Sussmann

Testata:Libero-Informazione Corretta
Autore: Angelo Pezzana-Danielle Sussman
Titolo: «Il successo di Netanyahu e l'ennesima sconfitta dei nostri commentatori- Il giornalismo delle tavole imbandite»

Il successo dell'incontro Bibi-Obama non è stato apprezzato da molti commentatori, che ieri hanno dato sfogo alla loro delusione con interviste e analisi, nei quali hanno cercato di criticrane il risultato. Due articoli oggi,08/07/2010, a commento, su LIBERO, a pag.18, di Angelo Pezzana, su INFORMAZIONE CORRETTA di Danielle Sussmann.

Libero-Angelo Pezzana: " Il successo di Netanyahu e l'ennesima sconfitta dei nostri commentatori"

Che l’incontro tra Netanyahu e Obama si andato meglio di qualunque previsione è un fatto, l’hanno riconosciuto anche i commentatori meno bendisposti. La passeggiata dei due nel giardino della Casa Bianca ha immortalato un’amicizia ritrovata. Poteva però finire così una querelle che aveva nutrito le speranze di coloro che vedevano l’allontanarsi del potente alleato americano come l’annuncio di un nero futuro per lo Stato ebraico ? No, che non poteva, sarà per questo che i commenti ieri, dopo aver documentato l’intenzione, condivisa da Obama, che solo i colloqui diretti fra israeliani e palestinesi potevano sbloccare la situazione, di fatto il fallimento di quelli indiretti sui quali la nuova amministrazione americana aveva riversato troppa fiducia, hanno cercato subito quale argomento poteva condizionare la ripresa del rapporto Israele-Usa. C’è una parola, “coloni”, usata abitualmente per esprimere severe condanne sulla politica israeliana, basta pronunciarla, scriverla, perchè al lettore, bombardato da anni da una disinformazione a senso unico, venga subito in mente l’associazione con il colonialismo di europea memoria. Pochi conoscono la storia del kibbutz, la rinascita dello Stato grazie al lavoro dei pionieri su una terra che è sempre stata legalmente di proprietà di chi la coltivava. E’ stato un gioco sporco ma facile far passare Israele per uno stato colonialista al posto di una democrazia che in 62 anni ha dovuto affrontare guerre e terrorismo per sopravvivere. Chi voleva cancellarla dalla carta geografica è invece finito per interpretare la parte del ‘resistente’, del povero e onesto contro il ricco e cattivo. Ecco allora sulle pagine dei nostri giornaloni una sfilza di interviste per ribadire che c’è poco da fare, l’ostacolo dei coloni impedirà di raggiungere qualunque intesa, Israele o ritorna ai confini del 67, qualcuno vorrebbe persino del ’48, sennò anche i colloqui diretti non produrranno un bel niente. Che Abu Mazen, capo dell’Anp in Cisgiordania, abbia dichiarato di vedere nel potere di Hamas il pericolo più grande per il futuro stato palestinese, lascia indifferenti gran parte dei nostri analisti . La sua dichiarazione è uscita l’altro giorno su questo giornale, che però non ha avuto imitatori. E’ vero che Abu Mazen è uso a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e che non rinuncerà mai ad attribuire a Israele, a prescindere, ogni colpa, ma ci sembra un po’ troppo che il Manifesto arrivi a scrivere che “ sarà costretto a riprendere i negoziati diretti”. Costretto ? Il Corriere, per non essere da meno, dà grande rilievo ad un rapporto della Ong israeliana B’Tselem, schierata totalmente dalla parte palestinese (ma non lo scrive), titolando “In Cisgiordania il 42% ai coloni”, un falso, ma che colpisce il lettore non esperto. Anche la Stampa, accanto ad una cronaca corretta da Washington, non può fare a meno di intervistare da Roma un israeliano che la butta sui coloni, senza che gli venga mai fatta una domanda che faccia capire a chi legge come sta la questione. Per fortuna l’occhiello lo presenta come ‘attivista palestinese ‘! Mai che venga in mente di intervistare demografi, storici non schierati, in Italia viene intervistato solo chi fa propaganda contro Israele. Il successo della diplomazia israeliana è un boccone difficile da digerire, urge mettere i bastoni fra le ruote. Disinformare l’opinione pubblica, quando all’orizzonte si affaccia una nuova speranza di pace, è la tecnica che finora ha dato i suoi frutti, fino a legittimare Hamas pur di danneggiare Israele. E poi si offendono quando si sentono dare degli antisemiti.

 

Iinformazione Corretta-Danielle Sussmann: " Il giornalismo delle tavole imbandite "

 

 

 

Quando si tratta di Israele, sempre più l’informazione appare come uno strumento interpretativo legato alla personalità del giornalista che la diffonde. Se questi poi ha il comportamento di un godereccio quanto inamovibile lautamente pagato inviato – esempi per il tg1 da New York e da Londra – che non trascura nemmeno il chiacchiericcio, ossia il gossip, abbiamo un effetto a dir poco grottesco sulle questioni rilevanti.
La carta stampata, tramite le sue redazioni, non è da meno nel diffondere messaggi analoghi. Naturalmente, non mi riferisco a situazioni di altissima crisi come l’operazione contro Hamas del 2008/2009 oppure il caso Flottiglia, qui le posizioni sono chiare, tra omissioni e condanne, salvo che per un solo serio inviato, Claudio Pagliara e forse pochi altri altrettanto obiettivi.
Mi riferisco agli incontri tra Obama e Netanyahu. Cosa è cambiato questa volta rispetto alla volta scorsa? La cena. Si possono valutare un’alleanza, interessi strategici ed economici comuni, e le sorti di un incontro sul solo invito o no ad una cena? Ovviamente, il buon e serio giornalismo di un tempo non ha che pochissimi adepti oggi. Un tempo si raccoglievano le informazioni e le si verificavano.
Da diversi anni, con la concorrenza tra le agenzie di stampa, arrivano notizie a tambur battente spesso contraddittorie e il giornalista adegua al suo articolo quelle vicine al suo sentire. Non ha né tempo, né voglia spesso, di verificare quanto riceve.
Questo giornalismo è diventato quasi un automatismo: i palestinesi piangono più forte, fanno più presa nell’opinione pubblica ormai influenzata, al diavolo la dignità e le ragioni degli israeliani!
Perché sforzarsi a considerarle ed essere più coscienziosi? Tanto, il direttore del quotidiano affiderà editoriali ai suoi collaboratori esterni che provvederanno a riequilibrare le opinioni. Il punto è che in Italia non si legge.
Più esattamente, si leggono i soli titoli e le didascalie alle foto. Soprattutto via internet. In aggiunta, la televisione è più diretta, più comoda. Ed ecco che un Borelli può tranquillamente mantenere il punto sulla differenza dell’incontro di ieri tra Obama e Netanyahu rispetto alla volta scorsa, quando il Premier israeliano non è stato invitato alla tavola già imbandita per la sola famiglia del Presidente americano.
Sia tv che stampa aggiungono (interpretando a modo loro le diverse quanto chiare parole di Obama) che il Presidente degli Stati Uniti spinge per incontri diretti Israele e palestinesi. Ma non era ciò che sostengono gli israeliani da sempre, e solo Abbas è contrario?
 Correttamente, si sarebbe dovuto dire che Obama si è trovato d’accordo con Netanyahu sulla necessità di colloqui diretti fra governo israeliano e AP. L’incontro tanto “gelido” della volta scorsa, evidentemente ha gelato quei giornalisti che non hanno potuto riferire sul menu della cena a cui Netanyahu non sarebbe stato invitato.
Se l’informazione ha bisogno di cene per valutare un incontro significa che davvero si sta estinguendo. Se un atto formale diventa più importante di quello sostanziale, non possiamo meravigliarci che l’informazione su Israele sia tanto nefasta. L’incontro di marzo è stato importante perché c’è stato, e su questo doveva spendersi l’informazione. Magari ponendosi delle domande anziché diffondere certezze, superficiali e negative.
Davvero c’è chi è tanto ingenuo da ritenere che due personalità che trattano di questioni mondiali vitali si mettano a discutere e a litigare come due tifosi al bar dello sport?
L’informazione ha convinto diffusamente che Israele sia un vassallo degli Stati Uniti, quando invece è un alleato indispensabile. Ci si ricorda le volte in cui alcuni opinionisti esigevano che i successori di Reagan tagliassero come quel Presidente i finanziamenti ad Israele per risolvere la sua “caparbietà” nel non cedere alla strategia americana? Nessuno si è soffermato sulla tattica degli avvicendamenti dei governi israeliani.
 Eppure Israele ha sempre reagito in questo modo nei momenti d’impasse. Quando un governo aveva dato troppo, oppure quando sapeva di dover dare di più, Israele è sempre andato alle elezioni. La sostanza è sempre stata quella di tirare al mulino di Israele quanta più acqua possibile, tirando la corda il più possibile.
Camp David è servito a dimostrare la non volontà di pace e il disinteresse palestinese, e più ampiamente arabo, alla costruzione di un loro stato. Oggi, l’informazione che continua a pretendere da Israele, omette di considerare che – a meno di non distruggere Hamas – è impossibile costruire uno stato palestinese fintanto che esistono le divisioni tra Gaza e Cisgiordania. Recentemente, Saeb Erekat ha negato come vero l’assenso di Abbas ad un accordo che prevede che ad Israele vadano gli insediamenti ebraici in Cisgiordania in cambio di alcuni analoghi territori israeliani. Erekat ha di fatto contestato che siano emerse questioni affrontate in colloqui segreti.
Perché quell’accordo c’è con l’Amministrazione americana e si chiama “67 plus”. Una lettera-accordo rilasciata da G.W.Bush ad Ariel Sharon il 14 aprile del 2004, approvata dalla maggioranza del Congresso degli Stati Uniti, che la UE vuole ignorare e di conseguenza i suoi media.
La lettera-accordo fu ottenuta da Sharon in cambio del ritiro da Gaza. Perciò, figuriamoci se Israele ci rinuncia! Inoltre, con lo scambio si eviterebbe la geopardizzazione del territorio del futuro stato palestinese.
Perciò, se la volontà di pace esiste da parte palestino-araba, l’accordo si rivelerebbe utile per entrambe le parti. Se l’informazione non fosse tanto politicizzata, ma facesse il suo mestiere con più o meno brillanti penne o tastiere a disposizione, forse attirerebbe più lettori e meno odiatori. Per dirla con Sir Martin Gilbert, uno dei più grandi storici viventi oltre che biografo autorizzato di Churchill, quando i grandi della terra si incontrano in segreto, non possiamo avere certezze su quel che si dicono. Ma possiamo porci delle domande che non siano relative solo agli inviti a cena e dettagli connessi.

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