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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-Il Foglio-L'Opinione Rassegna Stampa
08.07.2010 Ipotesi sulla guerra prossima ventura
di Bernard-Henri Lévy, Fausto Biloslavo, Dimitri Buffa

Testata:Corriere della Sera-Il Foglio-L'Opinione
Autore: Bernard-Henri Lévy, Fausto Biloslavo, Dimitri Buffa
Titolo: «Se il mondo arabo e Israele si alleano contro Ahmadinejad-Dalla violenza di Hezbollah si capisce che qualcosa sta per succedere-Unifil attaccata da Hezbollah, ma la stampa europea tace»

Hezbollah, Unifil, Libano, il pericolo Iran, argomenti di rilievo oggi, 08/07/2010. Sul CORRIERE della SERA, a pag.40, un pezzo di Bernard-Henri Lévy, dal titolo " Se il mondo arabo e Israele si alleano contro Ahmadinejad ", che più il sapore di un wishful thinking che di una realtà. Sul FOGLIO, a pag. III, con il titolo " Dalla violenza di Hezbollah si capisce che qualcosa sta per succedere ", l'analisi di Fausto Biloslavo, su L'OPINIONE, Dimitri Buffa, con il titolo " Unifil attaccata da Hezbollah, ma la stampa europea tace ".

Su questo argomento la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli, su IC di oggi.

Corriere della Sera-Bernard-Henri Lévy: " Se il mondo arabo e Israele si alleano contro Ahmadinejad "


BHL

C’è un evento che sta passando inosservato: è uno di quegli eventi, enormi, colossali, che possono ridisegnare la carta del pianeta. Si tratta della decisione, presa dagli Emirati Arabi Uniti, di controllare le navi che giungono nelle loro acque territoriali e legate, più o meno direttamente, all’Iran o al commercio con l'Iran; di chiudere 41 conti bancari appartenenti a entità iraniane e che possono servire da schermo a operazioni di contrabbando a vantaggio del programma nucleare di Teheran; di schierarsi, in altre parole, nel campo di coloro che applicano alla lettera la nuova risoluzione delle Nazioni Unite del 9 giugno, che prevede di intensificare ancora le sanzioni contro l'Iran. Tale evento si verifica pochi giorni dopo le dichiarazioni fatte ad Abu Dhabi, a conclusione dell'assemblea annuale della «Global Iniziative to Combat Nuclear Terrorism», da Hamad al-Kaabi, rappresentante permanente degli Emirati presso l'Agenzia internazionale dell'energia atomica: sono parecchie decine le navi contenenti materiali sensibili che la polizia degli Emirati avrebbe, nelle ultime settimane, già ispezionato. Tutto questo accade dopo l'articolo di Georges Malbrunot, pubblicato sul Figaro del 26 giugno, in cui viene mostrato come le circostanze rocambolesche che hanno portato all’assassinio a Dubai di Mahmud al-Mabhuh, in gennaio, da parte del Mossad, siano state forse una messinscena: gli Emirati, nel frattempo, lavoravano in stretto contatto con Israele per rendere più sicure le loro frontiere, per proteggere i pozzi di petrolio e far fronte a eventuali operazioni iraniane di destabilizzazione. E questo succede dopo un'altra informazione, pubblicata stavolta sul Times di Londra del 13 giugno e poi smentita, ma fiaccamente, da Riad: l'Arabia Saudita— non si sa nulla di più, ma non si può non pensare all'ipotesi di un attacco sorpresa dell'esercito Tsahal contro i siti nucleari di Ahmadinejad — avrebbe deciso di aprire il proprio spazio aereo ai velivoli israeliani. Si tratta quindi di un evento di rilievo per almeno tre ragioni. In primo luogo, perché ricorda, a coloro che si ostinano a non vederlo, che l'Islam non è un blocco: ma c’è un Islam di pace contro un Islam di guerra; Islam moderato contro Islam fanatico; e, in questa occasione, Islam sunnita contro quello sciita o, più esattamente, contro l'eresia dello scisma che è l'Islam apocalittico dei folli e dei gangster che, un anno fa, rubarono il voto agli iraniani. In secondo luogo, perché dimostra come il fronte del rifiuto contro il regime iraniano e i suoi progetti di guerra totale si stia allargando e stia prendendo forma e consistenza. Che non ci sia molto in comune fra democrazia israeliana e autocrazia saudita, è evidente; nulla, nessun gesto politico né geopolitico, nessun grande riavvicinamento con chiunque, può far dimenticare, per esempio, le gravi violazioni dei diritti dell'uomo, e della donna, è innegabile. Ciò non toglie che la prospettiva di veder l'Iran dotarsi di armi di distruzione di massa rappresenta una minaccia non paragonabile a una qualsiasi violazione dei diritti dell'uomo, e il fatto che un numero sempre maggiore di Paesi nella regione cominci a esserne consapevole è, in sé, una grande notizia. In terzo luogo, per tornare ai 41 conti bancari indicati dalla risoluzione delle Nazioni Unite e congelati, occorre sapere: 1) che il porto di Dubai, come confessato dallo stesso ambasciatore al-Kaabi, sta diventando il centro nevralgico dei peggiori traffici nucleari; 2) che gli Emirati, al di là del nucleare, sono la terza destinazione, dopo Cina e Iraq, delle esportazioni iraniane, che da quattro anni si sono triplicate; 3) che sui 41 conti presi di mira, circa la metà appartenevano alla Repubblica islamica stessa e al corpo dei Guardiani della Rivoluzione. Questo per dire che la decisione degli Emirati costituisce un vero colpo contro il regime. Meglio ancora: è un'operazione-verità destinata alle anime semplici che credevano all’alleanza contro natura— con il pretesto di «unione sacra» contro il «nemico sionista» — di tutti i musulmani della regione. E il fatto che un Paese arabo abbia per la prima volta osato dire di no al tentativo di hold-up iraniano, sventando così la manovra di cui Hamas e Hezbollah erano gli avamposti, ma il cui fine ultimo era l'incendio della regione, è un gesto di sopravvivenza e al tempo stesso una dimostrazione di maturità, il segno di un opportuno chiarimento. Se la decisione sarà mantenuta, nulla sarà più come prima. E per Ahmadinejad il conto alla rovescia sarà cominciato.

 
Il Foglio-Fausto Biloslavo: " Dalla violenza di Hezbollah si capisce che qualcosa sta per succedere "


Fausto Biloslavo

Beirut si prepara ad accogliere i più duri nemici di Israele, vecchi e nuovi. A luglio è atteso il presidente siriano, Bashar el Assad, ad agosto quello iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, e anche il nuovo paladino della causa palestinese, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Una parata di alleati di ferro per Hezbollah e il suo segretario generale, Hassan Nasrallah, un po’ meno felice della visita del primo ministro turco. “Hezbollah non vede di buon occhio il ruolo guida in medio oriente che la Turchia si sta ritagliando. Anche per questo ha mostrato i muscoli nel sud del Libano. Vuole ribadire che il Partito di Dio (e quindi gli iraniani) è il primo della classe contro Israele”, rivela al Foglio una fonte militare dell’Onu. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha messo in chiaro con il presidente americano, Barack Obama, i timori di Israele “sull’aumento dell’arsenale di Hezbollah”. L’intelligence israeliana è convinta che la Siria abbia fornito ai miliziani sciiti missili Scud, smontati e trasportati via nave. Beirut e Damasco smentiscono, ma la tensione nel sud del Libano dimostra il contrario. Da fine giugno Hezbollah ha fomentato una trentina di incidenti contro i Caschi blu, con blocchi stradali, ferimenti di soldati francesi e sequestro di armi. Una prova generale in vista della “tempesta perfetta” prevista per settembre, quando ci sarà il nuovo rapporto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio a Beirut, nel 2005, del primo ministro libanese Rafiq Hariri, il padre di Saad, l’attuale premier a guida di un governo di unità nazionale. Al fronte del sud del Libano, che confina con Israele, si è aggiunto quello della guerriglia sul mare. L’ultimo scontro tra il Libano e lo stato ebraico riguarda i giacimenti sottomarini di gas che Israele vorrebbe iniziare a sfruttare (contengono circa 680 milioni di metri cubi di gas). Ma Beirut sostiene che le riserve si estendono sui suoi fondali: il numero due di Hezbollah, sheikh Naim Qassem, ha annunciato che il movimento “difenderà le risorse naturali e le riserve di gas scoperte nelle acque libanesi”. Il ministro israeliano delle Infrastrutture, Uzi Landau, ha affermato che in difesa dei giacimenti lo stato ebraico “non esiterà a utilizzare la forza”. La prova di forza contro i Caschi blu nel Libano meridionale potrebbe essere soltanto all’inizio. L’obiettivo dei miliziani sciiti è mettere in riga i soldati dell’Onu (12 mila, compresi 1.900 italiani), che hanno osato muoversi con un’esercitazione di 36 ore senza l’esercito libanese. La mobilitazione “pilotata” della popolazione ha dimostrato i limiti delle regole d’ingaggio. “Se ci tirano le pietre e ci bastonano, ma non hanno armi vere e proprie, non possiamo aprire il fuoco – spiega un ufficiale dei Caschi blu – Questa missione rispetto al 2006 è cambiata. Adesso Hezbollah, anche se in Parlamento sta all’opposizione, ha ministri nel governo. Forse è il momento di ripensarla e di ridurla”. Lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, continua a diluire i suoi rapporti smentendo che negli arsenali sciiti siano giunte nuove armi come gli Scud (missili che potrebbero colpire qualsiasi città israeliana da nord del fiume Litani, fuori mandato dell’Onu). In questo momento tanto delicato è morto il grande ayatollah Mohammed Hussein Fadlallah, il marja sciita considerato un “moderato” dalla popolazione. Scomparso domenica a 74 anni, non ha mai visto di buon occhio il ruolo guida a Teheran di Ali Khamenei. Non a caso aiutò l’attuale premier iracheno Nouri al Maliki a fondare il partito Dawa. Senza Fadlallah il mondo sciita libanese è ancora più dominato dai falchi. Pronti a decidere se scoppierà la guerra con Israele, con l’appoggio dei padrini siriano e iraniano. A Beirut si sono resi conto che la situazione nel Libano meridionale rischia di sfuggire di mano. Domenica il presidente, l’ex generale Suleiman, ha riunito nel palazzo di Baabda il ministro della Difesa, Elias Murr, il comandante delle Forze armate, Jean Kahwaji e il capo dell’intelligence militare Edmond Fadel. “Il giorno dopo è venuto a trovarci per rassicurare il capo di stato maggiore dell’esercito”, spiega il generale Tota, che comanda i Caschi blu italiani e il settore ovest della missione Unifil. Il problema è che Hezbollah, con 57 parlamentari, rappresenta la componente più forte dell’opposizione, ma allo stesso tempo siede nel governo di unità nazionale. A marzo, il ministro per le Attività amministrative, Mohammad Fneich, uomo di Hezbollah, ha messo in chiaro che il disarmo della milizia “non è in agenda nella discussione” sulla nuova politica strategica della Difesa. Al Manar, la televisione sciita, tiene sotto tiro tutti i ministri considerati filoamericani o non in linea con Hezbollah. Il 10 giugno, quando il Libano si è astenuto dal voto sulle sanzioni contro l’Iran decise dal Consiglio di sicurezza, i deputati del Partito di Dio si sono ribellati: Beirut avrebbe dovuto votare contro “l’ingiusta risoluzione, come Turchia e Brasile”.

L'Opinione-Dimitri Buffa: " Unifil attaccata da Hezbollah, ma la stampa europea tace "


Dimitri Buffa

Gli hezbollah hanno dichiarato guerra ai soldati di Unifil 2 ma la notizia nei media italiani ed europei stenta a uscire. . I fatti più gravi sono accaduti nei villaggi di Khirbet Silim e, soprattutto, nel villaggio di Qabrikha, dove sono rimasti feriti alcuni militari di UNIFIL. Secondo il Generale Alberto Cuevas Asarta, comandante di UNIFIL, la situazione sta rapidamente degenerando ed è chiaro il tentativo di Hezbollah di allontanare i militari di UNIFIL dal sud del Libano e dalle zone di confine con la Siria da dove arrivano le armi destinate al gruppo terrorista. Secondo alcune fonti, non ancora confermate, a dare manforte ai terroristi durante gli attacchi ci sarebbero stati anche elementi dell’esercito libanese. A riportare questa notizia la solita ong anti conformista “secondoprotocollo.org” di Franco Londei che recentemente ha compiuto un viaggio in Medio Oriente per monitorare anche la situazione a Gaza. Scrive il corrispondente dal Libano della Ong che la storia “secondo cui soldati dell’esercito libanese avrebbero partecipato agli attacchi a UNIFIL è stata smentita dal Primo Ministro libanese, Saad Hariri, durante un incontro avvenuto a Parigi con il Presidente egiziano, Hosni Mubarak.” I due leader, per la cronaca, erano a Parigi per incontri separati con politici, alti ufficiali e militari francese che, a seguito dei fatti avvenuti nel Sud del Libano, hanno anche convocato una riunione d’emergenza con i comandanti dei contingenti francese, italiano e spagnolo di UNIFIL. Allo studio ci sarebbe un perfezionamento del meccanismo di contrasto da parte di UNIFIL sul continuo via vai di armi che negli ultimi anni ha portato il gruppo terrorista di Hezbollah a essere più armato dello stesso esercito libanese. In pratica ormai è sotto gli occhi di tutti che le regole di ingaggio della missione UNIFIL non hanno impedito ad Hezbollah di armarsi e adesso le si vorrebbero cambiare. Il solito luogo comune del chiudere la stalla dopo che i buoi sono fuggiti. “L’impressione generale – si legge nel report della ong - è che in questo particolare momento la presenza di UNIFIL nel settore est del Libano meridionale non sia affatto gradita. Siria, Iran ed Hezbollah vogliono quella zona libera da occhi indiscreti e non hanno digerito la decisione dei vertici di UNIFIL di aumentare i controlli. Da qui gli attacchi alle pattuglie della missione di pace.” In pratica, UNIFIL va bene, anzi benissimo, quando si tratta di interdire i controlli israeliani, ma quando bisogna mettere i bastoni tra le ruote al colossale traffico di armi tra Siria, Iran ed Hezbollah, allora piovono i razzi contro i soldati italiani e francesi.

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