Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Turchia: attacca Israele e pretende le scuse Cronache e analisi, Foglio,Carlo Panella,Bernardio Valli,Alberto Negri
Testata:Il Foglio-Libero-La Repubblica-IlSole24Ore Autore: Carlo Panella-Bernerdo Valli-Alberto Negri.La redazione del Foglio Titolo: «I tre pilastri del teorema che allontana la Turchia da Israele- Israele non si scusa con Ankara, Ci mancherebbe- I cannoni d'agosto»
Turchia in primo piano oggi, 06/07/2010, su tutti i giornali. Cronache e analisi, scegliamo quella del FOGLIO, Carlo Panella su LIBERO, Bernardo Valli, con un nostro commento su REPUBBLICA, Alberto Negri sul SOLE24ORE.
Il Foglio- " I tre pilastri del teorema che allontana la Turchia da Israele "
Ankara. La Turchia romperà i rapporti con Israele se il governo di Gerusalemme non chiederà scusa per i fatti della Mavi Marmara, la nave fermata dagli uomini dell’Idf con un raid che è costato la vita a nove persone. Lo dice il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, in un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano Hürriyet. “Gli israeliani hanno tre opzioni – sostiene Davutoglu – Possono chiedere scusa o accettare i risultati di una inchiesta indipendente. Oppure i nostri rapporti termineranno”. Sempre ieri, il governo turco ha confermato la chiusura dello spazio aereo ai caccia israeliani, annunciando che il bando potrebbe colpire anche i voli civili. Il caso della Mavi Marmara impegna le due diplomazie dalla fine di maggio, quando alcune navi partite da Antalya hanno cercato di rompere il cordone di sicurezza che circonda Gaza. A bordo c’erano aiuti umanitari e decine di fanatici che hanno attaccato i soldati dell’Idf. Otto delle nove vittime avevano il passaporto turco. Da allora, i rapporti fra Ankara e Gerusalemme sono pessimi, almeno sul piano politico. Davutoglu sta gestendo la trattativa per conto del governo turco. Il suo teorema si basa su tre pilastri: portare i responsabili del raid di fronte alla giustizia internazionale, allentare i controlli su Gaza e ottenere le simpatie del mondo arabo con il sostegno ai civili palestinesi. La scorsa settimana ha incontrato segretamente un rappresentante del governo israeliano, Benjamin Ben-Elezier, ma il vertice non ha riportato la pace. Ieri, il ministro degli Esteri di Gerusalemme, Avigdor Lieberman, ha detto che non chiederà scusa per il raid. Davutoglu è lo stratega del governo turco. Appartiene a Giustizia e sviluppo (Akp), è ministro da un anno, ma è sempre stato il miglior consigliere del premier Erdogan per gli affari esteri. La sua dottrina è scritta in un libro, “Profondità strategica”, che disegna il nuovo ruolo della Turchia. Se il paese vuole acquisire influenza, sostiene Davutoglu, occorre avere buoni rapporti con tutti i vicini di casa. E’ una regola scontata per la maggior parte dei paesi europei, ma per la Turchia si tratta di una operazione complicata e rivoluzionaria, dato che i vicini sono la Grecia, l’Armenia, la Siria, l’Iraq, la Russia, l’Iran e Israele. Negli ultimi anni Ankara ha mosso passi decisivi per la soluzione dei conflitti con Atene e Yerevan, ma ha anche allacciato relazioni pericolose con Damasco e Teheran. Questa strategia, che alcuni chiamano “neo ottomana”, ha portato il paese verso una nuova posizione nei confronti di partner storici come gli Stati Uniti e Israele. Nonostante i proclami, Ankara non può smettere di parlare con Gerusalemme come se niente fosse, perché le conseguenze sono imprevedibili. Il presidente della Repubblica, Abdullah Gül, ha detto pochi giorni fa che l’ingresso nell’Unione europea resta l’obiettivo principale del governo turco. La spinta verso quel traguardo ha già permesso all’Akp di intraprendere una serie di riforme che possono cambiare il volto della magistratura e dell’esercito, di portare lo sviluppo economico nelle città dell’Anatolia e di migliorare gli scambi commerciali con i partner del Vecchio continente. Il teorema Davutoglu può aiutare la Turchia ad avere una leadership sui paesi sunniti del medio oriente, ma quella leadership si sgonfierebbe in poco tempo senza il sostegno della comunità internazionale.
Libero- Carlo Panella: " Israele non si scusa con Ankara, Ci mancherebbe "
Carlo Panella
Ahmet Davutoglu, ministro degli Esteri e ideologo del “nuovo corso” del partito islamico turco Akp, ha deciso un nuovo passo nella escalation di Ankara contro Israele e ha annunciato la chiusura dello spazio aereo turco ai caccia militari di Gerusalemme. Parlando con i giornalisti a bordo dell’aereo che lo riportava in patria da una visita in Kirghizistan, Davutoglu ha anche minacciato la chiusura dello spazio aereo civile per i jet israeliani e addirittura «la rottura delle relazioni diplomatiche se Israele non porgerà le sue scuse» per il blitz militare contro la nave turca Mavi Marmara che tentava di forzare il blocco di Gaza in cui sono stati uccisi dai commandos israeliani 8 cittadini turchi. Naturalmente, Israele, per bocca del ministro degli Esteri Avigdor Libermann, si è detta assolutamente indisponibile a scusarsi per un’azione motivata dal fatto - incontestabile - che la Mavi Marmara era sotto controllo di un gruppo di falsi pacifisti, che in realtà appartenevano ad un gruppo estremista islamico turco e che tentava un’azione di forza del tutto intollerabile, dopo aver rifiutato di far transitare gli aiuti umanitari per Gaza attraverso un porto israeliano. Tensione massima, dunque tra due paesi sino a poche settimane fa strettamente alleati, che preoccupa non poco Franco Frattini che ha criticato apertamente la decisione di Davutoglu: «Piuttosto che far precipitare gli eventi parlando di rottura delle relazioni internazionali, bisogna capire cosa è successo e guardare al futuro. Non è un segreto che stiamo organizzando una missione dei ministri Ue. Dovremmo entrare a Gaza nelle prossime settimane e ci renderemo conto sul posto di come il blocco israeliano venga attenuato ed io, spero, venga completamente rimosso. Preferisco guardare al futuro piuttosto che a una situazione che può creare conseguenze gravi per l’intero equilibrio mediorientale». L’Italia, dunque, anche grazie alla stima di cui gode il governo Berlusconi sia presso il governo turco, che presso il governo israeliano, si muove con vigore per una ricucitura tra Ankara e Gerusalemme. Ma è ancora da decifrare la strategia reale del governo turco. Da una parte è infatti innegabile la sua volontà di marcare una leadership islamista e antisraeliana che faccia della Turchia il paese leader delle 53 nazioni islamiche del mondo (soprattutto di quelle centro asiatiche, ex sovietiche, ricche di petrolio), profittando dell’appanna - mento della leadership dello statico Egitto di Mubarak. Una strategia fortemente avventurista (come si è visto con la sponsorizzazione dei “falsi pacifisti” armati di scimitarre della Mavi Marmara), che l’allonta - na da quella prospettiva di ingresso nell’Ue, che pure lo stesso governo Erdogan dice di voler perseguire. Dall’altra parte, però, al di là dei gesti provocatori, lo stesso Davutoglu cerca da giorni contatti al massimo livello - ma segreti - con Israele per recuperare un’alleanza che per 30 anni è stata utilissima ai due paesi. Il ministro della Difesa di Israele Ehud Barak ha rivelato di essere stato contattato a questo fine da Davutoglu (ma di avere rifiutato), mentre il ministro dell’Industria Ben Eliezer ha avuto un incontro segreto (ma infruttuoso) in Svizzera, proprio con Davutoglu e su sua richiesta. Insomma, si rafforza il sospetto di una strategia turca bifronte, verbalmente aggressiva, ma tesa, in fondo, alla ricerca di una qualche mediazione con Israele. Una strategia che ricorda che fino al 1452 Istanbul, si chiamava Costantinopoli ed era capitale dell’impero di Bisanzio
La Repubblica-Bernardo Valli: " I cannoni d'agosto "
"Promuovendo, o assecondando, la spedizione pacifista di fine maggio, Ankara ha contribuito a creare una trappola in cui è caduta Israele, troppo sicura di sé." Così scrive Bernardo Valli, in una analisi a metà tra fiction e le solite banalità di un vecchio pregiudizialmente contro, che ha però, almeno, la qualità di saper scrivere. Quindi, se la nave turca è partita all'assalto del blocco israeliano, la colpa è di Israele che glielo ha impedito. Era la logica del defunto Igor Man, lasciata in eredità a una folta schiera, della quale Valli è tra i primi, non foss'altro che per motivi anagrafici. Il pezzo è la solita minestra.
C´è chi parla di "cannoni d´agosto". E coloro che, con fervida immaginazione, li sentono già tuonare pensano ovviamente al Medio Oriente, dove i motivi di conflitti non mancano. Il meno improbabile è quello di Israele contro l´Iran. Vale a dire un attacco lampo israeliano alle centrali atomiche della Repubblica islamica. C´è chi non esclude neppure fiammate di guerra al confine libanese, dove sono saldamente accampati i non dimenticati Hezbollah, amici di Teheran. Senza contare Gaza, che vale sempre una repressione, per chi la considera un´eresia o una provocazione. Ma c´è anche l´Iraq, da dove a fine agosto dovrebbero andarsene gran parte degli americani, lasciando aperta una "possibile svolta vietnamita". Vale a dire un´intrusione (politica) del vicino Iran, nello spazio lasciato libero dagli Stati Uniti. Chi ama la fantapolitica può sbizzarrirsi fin che vuole, sfruttando i non pochi problemi reali. Ai quali se ne è aggiunto uno fino a qualche tempo fa impensabile: quello che mette a confronto due vecchi alleati: Israele e la Turchia. Quel che spinge a non essere pessimisti, e a rifiutare quella che chiamo fantapolitica ( anche se corroborata da problemi reali), è il fatto che quasi tutte le rivalità sono ambigue, perché le posizioni dei protagonisti cambiano secondo i problemi. Ad esempio la Turchia e Israele, in questo momento in aperta tensione politica, sono ancora strettamente legati sul piano militare. In preda alla collera il governo di Ankara chiude il suo spazio aereo agli apparecchi militari israeliani, ma al tempo stesso nel deserto del Negev ufficiali turchi imparano come usare gli aerei senza pilota usati dagli israeliani anche per dare la caccia ai palestinesi di Hamas, arroccati a Gaza. Né la vendita di aerei israeliani per 190 milioni di dollari è stata cancellata dopo l´uccisione dei nove turchi, avvenuta a fine maggio al largo di Gaza, durante l´incursione israeliana contro le navi pacifiste. Né sono stati disdetti i contratti per 3 miliardi di dollari riguardanti sistemi di irrigazione e tessili. E´ invece senz´altro entrata in crisi la collaborazione sul piano dell´intelligence tra Ankara e Gerusalemme. La Turchia, da quando è governata dal primo ministro Erdogan, ha ottimi rapporti con l´Iran e la Siria. E ne ha anche con Hamas. Promuovendo, o assecondando, la spedizione pacifista di fine maggio, Ankara ha contribuito a creare una trappola in cui è caduta Israele, troppo sicura di sé. Al tempo stesso la Turchia resta un pilastro della Nato. Cioè un alleata essenziale degli Stati Uniti, il cui principale avversario è l´Iran. Insomma, la Turchia è una nazione bicefala. E´ la natura di altri paesi, nella regione. Nel confronto con l´Iran sciita, l´Arabia saudita sunnita è obiettivamente al fianco di Israele, del quale è uno storico avversario. E ancora, l´attuale sistema politico iracheno disegnato dagli americani ha installato al potere gli sciiti destinati, sia pur con diffidenza, a subire l´influenza di Teheran, capitale degli ayatollah anti-americani. Si dice a Bagdad: l´America se ne va o se ne andrà un giorno. L´Iran resta. Per quanto deciso ad affrontare il Medio Oriente complicato con idee semplici, Barack Obama è adesso impigliato in un irrisolvibile rebus turco-israeliano. Ricevendo in queste ore Benjamin Netanyahu, egli tenterà di spingerlo a una riconciliazione con il governo di Ankara. Il quale chiede però quel che Israele non è disposto o non può concedere. Erdogan vuole le scuse per i nove turchi uccisi sulla nave Mavi Marmara, il 31 maggio, dai commandos israeliani. E Netanyahu non può e non vuole farle. E´ orgoglio contro orgoglio, ma è anche un groviglio politico. Spinto dagli americani e con il permesso di Netanyahu, il ministro laburista dell´industria, il saggio Benjamin ben Eliezer, ha incontrato in segreto il ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu. Dal colloquio non è uscito nulla di nuovo. Il turco ha ribadito le sue condizioni: pubbliche scuse, o accettazione di una vera commissione di inchiesta internazionale sui fatti di fine maggio, o rottura dei rapporti diplomatici. In Israele è successo il pandemonio perché il ministro degli Esteri, il falco Avigdor Lieberman, tenuto all´oscuro dell´incontro, se l´è presa con Netanyahu, e ha ribadito che di scuse non se parla neanche. Alla Knesset il governo dipende dai voti del partito di Lieberman. L´accesa discordia con la Turchia è un ulteriore handicap politico per Israele. Ankara può appoggiare la richiesta araba, già presa in considerazione da Washington, riguardante il Trattato di non proliferazione nucleare. Molti paesi della regione chiedono che Israele lo sottoscriva. Ed è imbarazzante per il governo di Gerusalemme che non ha mai dichiarato ufficialmente di possedere armi atomiche. La posizione turca è destinata a pesare. Inoltre Ankara è diventata una capitale paladina dei palestinesi, e in settembre scade il congelamento provvisorio delle colonie israeliane di Cisgiordania in cui si è impegnato Netanyahu. Barack Obama gli chiederà di prolungarlo, di rinnovarlo. Sarebbe anche un gesto propiziatorio nei confronti di Ankara. Non è tuttavia scontato che Netanyahu possa o voglia compierlo. Aldilà di queste brucianti questioni politiche, restano "i cannoni d´agosto" citati all´inizio. Se i cultori della fantapolitica avessero ragione per quel che riguarda l´eventuale incursione lampo israeliana sulle centrali nucleari iraniane, che posizione assumerebbe la Turchia, pilastro della Nato e amica dell´Iran? Amica al punto da votare contro l´appesantimento delle sanzioni al Consiglio di Sicurezza? L´interrogativo se lo porrà anche Barack Obama ricevendo Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca.
Il Sole24Ore- Alberto Negri: " Ankara pronta a rompere con Israele "
ISTANBUL. Dal nostro inviato Anche la diplomazia segreta, che qualche giorno fa aveva fatto versare fiumi d'inchiostro e sollevato ipotesi fantasiose, ha fallito l'obiettivo di ricucire lo strappo tra Ankara e Tel Aviv: la Turchia chiude lo spazio aereo ai voli militari israeliani e per la prima volta minaccia esplicitamente di rompere le relazioni con lo stato ebraico, liquidando un'alleanza determinante per gli equilibri strategici del Medio Oriente ma anche per la proiezione della Nato nel fianco sud del Mediterraneo. Le due potenze hanno scelto la linea dura, aprendo scenari preoccupanti per la ricomposizione dei conflitti regionali, dalla Palestina alla Siria, dal Libano all'Iraq, alla crisi nucleare iraniana. L'annuncio di chiudere lo spazio aereo- una mossa già anticipata ma non del tutto chiarita - è stato dato dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu con un'intervista al quotidiano Hurriyet sull'aereo che lo riportava ad Ankara dal Kirghizistan. «Il bando ai voli militari è totale e potrebbe essere allargato a quelli civili. Israele - ha aggiunto il ministro - ha tre possibilità: scusarsi, accettare i risultati di una commissione d'inchiesta internazionale o rassegnarsi alla rottura con la Turchia». Ankara aveva già ritirato l'ambasciatore e lo stesso Davutoglu aveva fatto pressioni qualche giorno fa nel suo incontro segreto di Bruxelles con il ministro israeliano Benjamin Ben- Eliezer. Secca la risposta israeliana alla richiesta di scuse per l'uccisione dei nove attivisti turchi nel raid del 31 maggio contro la nave Mavi Marmara, in rotta in acque internazionali verso Gaza: «Non abbiamo alcuna intenzione di presentare delle scuse, anzi riteniamo che sia la Turchia a doverlo fare: non è certo minacciandoci che si possono ottenere dei risultati », ha replicato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, uno dei falchi del Governo Netanhyau, già inviperito essere stato tenuto all'oscuro dell'incontro segreto di Bruxelles. Anche il ministro della Difesa Ehud Barak, certamente più moderato di Lieberman, ha imboccato la linea dura, rivelando che due settimane fa a Washington gli era stato proposto un meeting riservato con Davutoglu: «I turchi miravano a rivendicazioni come compensazioni finanziarie o un'inchiesta internazionale, così ho rifiutato, come pure avevo consigliato Ben-Eliezer a rinunciare all'incontro di Bruxelles». La "diplomazia segreta" tra Turchia e Israele, di cui stanno affiorando i dettagli con un'inconsueta loquacità dei protagonisti, si è dipanata in questi mesi, ancora prima del caso della Freedom Flottilla, in una situazione per certi versi paradossale. Un esempio è quello dei droni israeliani che la Turchia sta facendo volare in Kurdistan a caccia della guerriglia del Pkk. Nel 2005 la Turchia aveva ordinato dieci aerei senza pilota, una commessa che però aveva visto la consegna soltanto di sei veivoli. Lo stesso Barak era volato in Turchia per calmare i turchi assicurando che il contratto sarebbe stato rispettato. Non solo, venti giorni dopo il raid contro la Mavi Marmara, al culmine della crisi, una delegazione turca è atterrata a Tel Aviv per l'addestramento alla guerra elettronica. La rottura delle relazioni significa affondare gli accordi militari del '96,fondamentali nel rinnovamento tecnologico degli arsenali turchi e nei conflitti regionali come quello ai confini tra Iraq e Turchia, senza contare che lo scambio di informazioni tra le parti ha giocato un ruolo decisivo nella crisi degli anni 90 tra Turchia e Siria e nell'individuazione dei santuari del Pkk. Ma adesso in Turchia si vive, insieme a un cambio strategico, una nuova sindrome: Israele, sui media ma anche nelle dichiarazioni dei politici, è diventato un nemico che proprio per le conoscenze approfondite degli apparati di difesa può mettere in pericolo la sicurezza della nazione. E la sindrome corre anche sul web: il Turkish Daily annuncia che alcuni siti come quello della associazione islamica Ihh, organizzatrice della Freedom Flottilla, sono stati bloccati direttamente da Tel Aviv. Il giornale sostiene che Israele è in grado di entrare direttamente nei programmi delle forze armate. Soltanto tre anni fa Shimon Peres teneva ad Ankara un applaudito discorso all'Assemblea nazionale, il primo rivolto da un presidente israeliano al Parlamento di un Paese musulmano. La Turchia aveva riconosciuto lo stato ebraico nel 1949 ed era entrata nella Nato nel 1952, schierandosi nel campo occidentale. Nei primi anni 60 faceva la sua prima richiesta di adesione alla Comunità europea: «Stiamo aspettando da più di 40 anni, nessun'altro ha mai dovuto attendere tanto tempo», mi faceva notare in questi giorni Egemen Bagis, ministro per gli Affari europei e capo negoziatore con Bruxelles. Ma anche l'Europa nel paese di Erdogan e dell'Akp, il partito musulmano al potere, sta perdendo il suo fascino, almeno nei sondaggi di Bagis: il 60% è favorevole all'adesione ma soltanto il 40% pensa che un giorno l'Unione accetterà la Turchia.
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