Libero-Angelo Pezzana: " Netanyahu in trasferta alla Casa Bianca, speriamo vada meglio "

Angelo Pezzana
Non sarà privo di difficoltà l’incontro tra Bibi e Obama oggi alla Casa Bianca. Entrambi devono fare i conti con la rispettiva politica interna. Il primo, a guida di un governo di centro destra, deve guardarsi dall’accettare quei ‘consigli’ che potrebbero provocare una crisi, più che prevedibile se a prevalere fossero le concessioni a senso unico, sul genere di quelle che Obama ha mostrato finora di prediligere. Il secondo, dopo aver sentito il polso del suo partito, sa che rischia grosso alle prossime elezioni di mid term, se continua a chiedere sacrifici a Israele senza avere nulla in cambio dalla Autorità palestinese. Sarà anche bene che Obama capisca che avrà di fronte il leader di un governo che viene definito di centro destra, ma che sarebbe più esatto chiamare di coalizione, dato che il partito laburista è al governo, con un esponenete come Ehud Barak al ministero della difesa.
Ed è proprio Barak ad aver parlato chiaramente prima della partenza di Bibi, sui temi che verranno trattati. Innanzi tutto la mediazione americana non ha prodotto nessun risultato, è soltanto servita agli interessi palestinesi, che non sono mai stati messi in discussione, all’ombra com’erano degli interventi dell’inviato di Obama, il quale non ha fatto altro fino ad oggi che presentare richieste, sempre e solo a Israele. Questo deve finire, ha sottolineato Barak, le trattattive devono essere fra israeliani e palestinesi, la presenza Usa è stata finora solo di impedimento. Deve poi essere altrettanto chiara la priorità dell’argomento confini, che dovranno includere nella parte israeliana tutte quelle città che si trovano oggi sulle linea provvisoria che divide i due territori e che sono abitate esclusivamente da ebrei. Lo stesso, in senso opposto, sarà per quelle a maggioranza palestinese, che andranno al futuro stato dell’Anp,indipendente e smilitarizzato. In questi termini va posta, a detta del ministro laburista, la proposta di pace da discutere con Obama. Una proposta che garantirà il futuro democratico ed ebraico di Israele, accanto ad uno Stato palestinese. Il quale dovrà, se vorrà costituirsi, riconoscere Israele, condizione sine qua non per sedersi intorno a un tavolo e discutere. Sarà anche bene che Obama ricordi che l’opposizione, in Israele, è rappresenatata dal partito Kadima, che di sinistra proprio non è, e che se non è al governo ciò è dovuto unicamente alla richiesta di Tzipi Livni di poter essere lei alla guida del governo e non Bibi. Quindi nessun motivo ideologico. E’ più a sinistra Bibi, che la scorsa settimana sembrava quasi Obama quando ha commesso una gaffe squisitamente obamiana, mandando il ministro dell’industria Ben Eliezer ad incontrare segretamente a Zurigo il ministro degli esteri turco. Con l’unico risultato di infastidire Avigdor Lieberman, il suo ministro degli esteri, che giustamente si è sentito scavalcato, mentre dal versante turco è arrivata, inaspettata, una richiesta di scuse per quanto è avvenuto sulla nave “Mavi Marmara”, indispensabile per non arrivare alla rottura completa delle relazioni. “L’avesse chiesto a me, avrei rifiutato di andarci”, ha dichiarato Barak, il ministro di sinistra più falco del governo. Sono queste le posizioni che Obama si troverà oggi sul tavolo, comunque Bibi gliele presenti. Il tono sarà distensivo, lo spettro del nucleare iraniano sarà un trait d’union fra i due, ma la linea americana deve cambiare, soprattutto Obama deve capire che tocca a israeliani e palestinesi decidere del loro futuro, se vuole portare a casa un qualche risultato.
Il Foglio- " Accogliendo Bibi, Obama prova a ravvivare i sogni antinucleari "

Il luogo dell'incontro
Washington. L’incontro fra il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, e Barack Obama ha lo scopo di ristabilire un clima di concordia anche pubblica fra alleati che negli ultimi mesi hanno parlato poco e male. Ma la sceneggiatura dell’incontro di oggi fra Obama e Netanyahu alla Casa Bianca non poteva non contenere uno screzio preventivo, quasi un segnale perché le parti tenessero la guardia alta ancora per un po’, e il tema è uno dei più sensibili per entrambi: la proliferazione nucleare. Domenica il New York Times ha pubblicato un articolo basato su documenti diplomatici che spiegano la distanza fra il sogno obamiano dell’azzeramento nucleare e l’estrema riservatezza degli israeliani che, mentre chiedono che il mondo impedisca all’Iran di costruire la bomba, si rifiutano di rendere pubblico il programma atomico ufficioso. “In un incontro di revisione del Trattato di non proliferazione a maggio – scrive il New York Times – gli Stati Uniti hanno ceduto alle richieste dei paesi arabi che vogliono che la versione finale del testo sia firmata da Israele, un modo per portare alla luce il suo arsenale mai dichiarato”. Dall’inizio del suo mandato Obama ha insistito sulla non-proliferazione nucleare, concetto che s’accordava bene con i propositi di pacificazione universale del presidente. Il tema obamiano non insisteva soltanto sull’ostacolare le ambizioni nucleari dell’Iran, piuttosto voleva convincere tutti i paesi a fare un passo verso la trasparenza e di conseguenza la riduzione degli arsenali. Con questo spirito Obama ha organizzato il Nuclear Summit di aprile, a cui Netanyahu non ha partecipato proprio per non essere costretto a rivelare ciò che Israele ha interesse a tenere segreto. Originariamente la Casa Bianca aveva concepito il summit come un evento più riservato rispetto alla grande fanfara che si è vista a Washington; l’idea di Obama era quella di un faccia a faccia senza delegazioni ulteriori, e anche Israele sarebbe stato invitato, come i paesi della Lega araba chiedono a scadenze regolari. Non è andata esattamente così, il summit ha prodotto molti fronzoli e fumo diplomatico, e il rifiuto di Netanyahu è passato relativamente inosservato. Ma Obama mira sotterraneamente a un obiettivo che nelle relazioni fra Washington e Gerusalemme è stato semprescavalcato da altre priorità, dagli insediamenti a Gerusalemme est agli schiaffi diplomatici fra il vicepresidente Joe Biden e Netanyahu. E l’ultima complicazione in ordine cronologico è l’incidente della flottiglia diretta a Gaza. Oggi il presidente rimetterà al centro il tema della proliferazione nucleare, e l’Amministrazione ha giocato d’anticipo facendo trapelare il punto della questione sulle colonne di un giornale amico. La direttrice del progetto per il controllo degli arsenali all’Università di Tel Aviv, Emily Landau, dice al Foglio che “l’idea che Israele possa firmare il trattato di non proliferazione è come dire che la Francia lo firmi e il giorno dopo si sia completamente disarmata. Con la differenza che la Francia non ha le stesse minacce strategiche di Israele. Sarebbe un suicidio strategico”. Nell’incontro di oggi alla Casa Bianca si parlerà del trattato ma, dice Landau, “non in termini di pressioni. I funzionari dell’Amministrazione sono stati molto chiari su questo: attualmente non ci sono pressioni nei confronti di Israele”, anche perché “la deterrenza è l’ultima risorsa di Israele”. I rapporti fra Obama e Netanyahu, in questo momento particolarmente difficili, pur nel contesto di un’alleanza resa solida da ragioni profonde, potrebbero mettersi sulla strada della normalizzazione dall’incontro di oggi a Washington. L’ultima volta che Netanyahu è stato lì, gli uomini di Obama l’hanno fatto aspettare per un’ora in corridoio prima che il presidente lo ricevesse. Ora le traiettorie possono tornare a convergere, ma per riaffermare la sintonia, Obama vuole qualcosa in cambio. Una promessa sul tema della non proliferazione riesumerebbe il sogno obamiano seppellito dalla realtà.
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