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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Il Sole24Ore Rassegna Stampa
03.07.2010 Le buone intenzioni di Bibi, tra Usa e Turchia
Ma la realtà sarà altrettanto buona ?

Testata:Il Foglio-Il Sole24Ore
Autore: Le Redazioni
Titolo: «Al bivio per Israele-Netanyahu: stop a liti con Ankara»

Usa e Turchia, due relazioni dense di problemi per il governo Netanyahu. Li analizzano due articoli, oggi, 03/07/2010, sul FOGLIO e il SOLE24ORE.
Eccoli:

Il Foglio- " Al bivio per Israele "
Netanyahu parte per Washington schiacciato tra le richieste di Obama e quelle della sua coalizione.

Gerusalemme. Dopo mesi di freddezza e tensioni tra Washington e Gerusalemme, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si prepara a partire per l’atteso incontro con il presidente americano, Barack Obama. L’appuntamento, previsto per martedì prossimo, rimandato di un mese dopo il blitz israeliano a bordo della flottiglia che ha cercato di violare il blocco di Gaza, è un’occasione per riallacciare i rapporti con l’Ammistrazione Obama e fare il punto sui fragili tentativi di pace con i palestinesi. Ma il vertice è anche un rischio per Netanyahu, che potrebbe trovarsi costretto a scegliere tra una nuova crisi con la Casa Bianca e una crisi di governo. Netanyahu può aspettarsi da Obama la richiesta di prolungare il congelamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il rinnovo della moratoria, che scade a settembre, è considerato una condizione fondamentale dai palestinesi e dagli Stati Uniti per la prosecuzione dei “proximity talks”, le trattative mediate dall’inviato americano in medio oriente, George Mitchell. Un “no” a Obama riaprirebbe le tensioni che ritardarono la missione di Mitchell quando, in primavera, Israele e Stati Uniti si trovarono in disaccordo sull’inclusione di Gerusalemme est nella moratoria per le colonie. L’atteggiamento della vigilia pare in realtà più disteso delle altre volte: ci saranno foto e una conferenza stampa congiunta e ad ascoltare le parole del premier saranno soprattutto i suoi alleati politici in Israele, pronti a scatenare una crisi interna qualora Netanyahu dovesse cedere alle richieste di Obama. L’organizzazione che rappresenta i settlers ha lanciato una campagna con annunci sui giornali e manifestazioni per ricordare al governo che “una promessa è una promessa” e che nei settlement si ricomincerà a costruire il 26 settembre, alla scadenza della moratoria. Pressioni ancora più forti provengono dai partiti di destra nella coalizione guidata da Netanyahu. La leadership del Likud, nonostante l’assenza polemica del premier, ha approvato una risoluzione a favore della fine del congelamento. “Netanyahu dovrà prendere decisioni difficili, dovrà scegliere tra attori nazionali e internazionali che hanno due agende completamente diverse – scrive il Jerusalem Post in un editoriale – Il momento decisivo potrebbe arrivare la settimana prossima, quando si siederà a parlare con Obama”.La fragilità di un governo in cui la destra convive con la sinistra è riemersa questa settimana quando Netanyahu ha promosso un incontro tra il laburista Binyamin Ben-Eliezer, ministro dell’Industria, e il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, per cercare di riallacciare i rapporti con Ankara compromessi dai fatti della flottiglia. L’incontro a Zurigo, che doveva restare segreto, è infine trapelato dopo la conferma da parte dei turchi, e ha scatenato l’ira dell’ignaro ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Il leader del partito Yisrael Beiteinu, terza forza politica del paese, spesso considerato troppo falco per le sue posizioni ultranazionaliste, ha detto di sentirsi insultato per essere stato tenuto all’oscuro della faccenda, e ha così costretto il premier Netanyahu ad ammettere di aver commesso “un errore”. Nel frattempo, il capo del governo è anche stretto tra le migliaia di persone che in questi giorni sono scese nelle strade per chiedere la liberazione del caporale Gilad Shalit, da quattro anni ostaggio di Hamas a Gaza, e gli esponenti del governo che si oppongono a un possibile scambio – prospettato ancora due giorni fa da Netanyahu – con centinaia di militanti e terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Tra le tensioni interne, i margini di manovra per il primo ministro sono molto ridotti. Per questo Netanyahu andrà a Washington a caccia dell’unico risultato che gli darebbe la possibilità di far accettare una nuova moratoria sugli insediamenti: negoziati diretti con i palestinesi invece delle trattative indirette che da mesi si protraggono senza apparenti progressi. Il premier ha per questo inviato due dei suoi più stretti consiglieri al Cairo, cercando così di utilizzare la mediazione egiziana per spingere il presidente palestinese, Abu Mazen, ad accettare un faccia a faccia. “L’incontro con Obama potrebbe portare alle trattative dirette e a una qualche formula di compromesso sugli insediamenti, per esempio una sospensione invece di un congelamento”, dice Itamar Rabinovich, ex ambasciatore israeliano a Washington e ora docente di relazioni internazionali presso l’Università di Tel Aviv. Obama eviterà comunque di fare troppe pressioni su Netanyahu perché l’Amministrazione non può permettersi una crisi prima delle elezioni di mid-term a novembre, sostiene Rabinovich. Ma se anche questa volta dovesse sfuggire alla resa dei conti, “prima o poi arriverà il momento della verità e Netanyahu dovrà scegliere tra il suo rapporto con Obama e la tenuta della sua coalizione”.

Il Sole24Ore-  " Netanyahu: stop a liti con Ankara "


Erdogan e Bibi in due caricature

Ammorbidire i toni con la Turchia, ma non troppo. Complici le pressioni degli Stati Uniti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembra volenteroso a fare un passo in avanti con Ankara. «Non abbiamo ancora raggiunto un accordo (sui recenti punti di frizione), ma è bene cercare di fermare il deterioramento delle relazioni», ha detto ieri. Il premier, a pochi giorni da un delicato vertice con il presidente Usa, Barack Obama, ha inoltre lasciato intendere che il suo governo risponderà favorevolmente all'ampliamento di poteri richiesto dalla commissione di inchiesta israeliana, incaricata di indagare sul sanguinoso arrembaggio della marina militare alla Mavi Marmara, una nave turca di attivisti filopalestinesi avvenuto lo scorso 31 maggio.
Nonostante i negoziati segreti per ricucire lo strappo con Ankara, avvenuti in settimana tra il ministro del Commercio israeliano Benjamin Ben-Eliezer e quello degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, Netanyahu ha però avvertito la Turchia che non risponderà alla sua richiesta di scuse ufficiali. «Non chiederemo scusa perché i nostri soldati hanno dovuto difendersi per evitare di essere linciati dall'equipaggio », ha precisato. E proprio sui misteriosi tentativi di dialogo il premier ha cercato di ricucire un altro strappo, interno al suo governo, quello con il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che ha definito «un insulto» la decisione di non metterlo al corrente delle trattative segrete. Netanyahu ha risposto di aver« commesso un errore».
Sempre in merito alle trattative con la delegazione della Turchia, un ministro israeliano che faceva parte della delegazione ha smentito la notizia diffusa da alcuni media turchi, secondo cui avrebbe offerto una compensazione per le nove vittime del raid sulla Mavi Marmara.
Se con la Turchia i problemi da risolvere sono ancora molti, la strada del processo di pace con la controparte palestinese è tutta in salita. «Non c'è possibilità» che uno stato palestinese venga istituito entro il 2012, ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri, Lieberman. Frasi che rendono meno raggiungibile l'ambizioso obiettivo fissato dai mediatori internazionali, che vogliono un accordo sullo stato palestinese entro quella data.

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