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Il Manifesto Rassegna Stampa
27.06.2010 Ingigantiscono e ci inzuppano il pane
Il quotidiano comunista sguazza negli scontri con gli haredim a Gerusalemme

Testata: Il Manifesto
Data: 27 giugno 2010
Pagina: 2
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «L'ora degli haredim»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 27/06/2010, a pag. 2, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " L'ora degli haredim ".

Il Manifesto dedica all'argomento haredim/Israele una paginata intera, come se fosse l'argomento del giorno e come se il fenomeno (ultraortodossi che protestano contro lo Stato) fosse gigantesco. In realtà gli ultraortodossi sono circa il 10% della popolazione di Israele. Una minoranza.
L'articolo di Michele Giorgio è preceduto da un breve riassunto nel quale si legge : "
Dalle colonie fino a Gerusalemme: si moltiplicano le proteste degli ebrei ultraortodossi decisi ad affermare che la legge di dio viene prima di quella dello Stato. I laici lanciano l’allarme: a rischio la democrazia. Ma il governo ha bisogno dei «trepidanti»". La democrazia non è a rischio. Le proteste e le manifestazioni sono un sinonimo di democrazia. Solo nelle dittature non c'è spazio per le minoranze. Il fatto che il governo israeliano non stia soffocando nel sangue le proteste non significa che le approvi nè che gli facciano comodo. Semplicemente Israele è una democrazia e in democrazia la libertà di pensiero è garantita a tutti, anche agli ultraortodossi. 
Ecco l'articolo:


Michele Giorgio

 Ègià piena estate a Gerusalemme e le temperature superano abbondantemente i 30 gradi. Il caldo opprimente però non sembra turbare gli abitanti del quartiere di Har Nof, popolato inmaggioranza da haredim, gli ebrei ultraortodossi. Chiusi nei tradizionali, pesanti abiti neri e con l’immancabile cappello, in qualche caso di pelliccia, i maschi camminano a passo veloce. Nonmeno coperte ma altrettanto incuranti dell’afa le donne. Gli unici a mostrare segni d’insofferenza sono i bambini. Costruito negli anni ’80 a ridosso di Gerusalemme, in parte sulle rovine del villaggio palestinese di Deir Yassin, Har Nof è un quartiere di case nuove, ma dove la maggior parte dei residenti vive secondo regole rigidissime e tradizioni antiche. Le giornate sono scandite dai ritmi imposti dai doveri religiosi e lo stesso accade in tutti gli altri rioni dei Gerusalemme, a cominciare dal centrale Mea Sharim, dove abitano gli haredim, i «timorati». Da questi quartieri e dal sobborgo di Bnei Brak (Tel Aviv) è uscito lo sciame di 120mila haredim che la scorsa settimana ha invasoGerusalemme e altre località per una delle più grandi manifestazioni di protesta contro lo Stato mai viste in Israele. Ispiratori della mobilitazione sono stati i coloni hassidici dell’insediamento di Immanuel, nella Cisgiordania palestinese sotto occupazionemilitare, dove le famiglie askenazite delle ragazze della scuola femminile di Beit Yaakov non vogliono classi con scolare sefardite e hanno ritirato le loro figlie dall’istituto. Basta segregazione E quando la Corte Suprema si è pronunciata contro la segregazione, gli ultraortodossi sono scesi in strada per affermare che la legge di dio viene prima di quello dello Stato. Unpunto sul quale i «timorati» ritrovano affinità con i religiosi nazionalisti, specie quelli più estremisti nelle colonie, che, Torah alla mano, affermano l’incedibilità, anche solo di qualche porzione, di Eretz Israel, la «terra di Israele», anche in cambio della pace con i palestinesi e il mondo arabo. Tutto scorre tranquillamente ad HarNof. Yakov, un artigiano che si proclama «molto religioso» ma non ortodosso, con un negozio a poche decine di metri dal college femminile di Neve Yerushalaim, accetta di farci da guida. Non è facile intervistare un haredi. Gli ultraortodossi rifiutano contatti con i media locali figuriamoci con quelli stranieri.MaYitzhak, grazie alla mediazione di Yakov, accetta di rispondere a qualche domanda, perché lavoriamo per un giornale e non per la tanto temuta televisione. Ha 20 anni, è sposato e ha due bambini. «Noi ebrei askenaziti (discendenti da ebrei dell’Europa centrale e orientale, ndr) consideriamo gli ebrei sefarditi (originari dell’area del Mediterraneo, ndr) lontani dall’ortodossia. Perciò hanno ragione quelle famiglie che non vogliono che le figlie vadano a scuola con una ragazza che in casa ha il televisore o internet». Sulla fronte, sotto il pesante cappello comincia a scorrere una gocciolina di sudore ma Yitzhak non fa una piega per il caldo insopportabile e aggiunge che «non si tratta di razzismo ma di differenze» e ricorda che lo stesso rabbino Ovadia Yosef, (ebreo di origine irachena), il leader spirituale degli ultraortodossi sefarditi, non si è pronunciato contro le classi separate. Gli facciamo notare che la maggioranza degli abitanti di Har Nof è sefardita e che nel quartiere vive proprio il rabbino Yosef,maYitzhak non si scompone. «Ognuno sta al suo posto, ognuno osserva regole e comportamenti e la convivenza è possibile». Riusciamo a far scivolare il discorso sul punto centrale: il valore delle leggi dello Stato di Israele e le sentenze della Corte suprema. «Se non sono contro la legge di dio, allora non c’è alcun problema, ma siamo ebrei e per noi conta solo il volere di dio», ci spiega Yitzhak prima di allontanarsi. Intervistare una donna è quasi impossibile, Yaakov ci invita a lasciar perdere. Più all’interno del quartiere però un ultraortodosso «Bostoner» accetta di rispondere alle nostre domande. «Come ebreo il mio obbligo è solo quello di rispettare quanto ha stabilito dio, il resto conta poco e comunque un giorno non avrà più alcun valore», ci dice senza alcuna esitazione. Parole che, un’ora dopo, ci ripete Nissim Teitel, un abitante della mega colonia di Beitar Illit, popolata da ultraortodossi che se da un lato, per motivi religiosi, non sono sionisti, dall’altro non esitano ad approfittare delle «opportunità» che lo Stato offre per insediarsi nei territori palestinesi occupati. Il netto spostamento a destra degli ultraortodossi, specie di quelli legati al partito sefardita Shah del ministro Eli Yishai, non è una novità e negli ultimi anni sono stati decisivi per la formazione di maggioranze «nazionaliste». Laici contro religiosi Gli ebrei laici, dalla loro roccaforte Tel Aviv, lanciano l’allarme sulla sfida che i religiosi haredim portano alle leggi dello Stato. «Gli ultraortodossi hanno sempre abbattuto i nostri alberi», ha scritto l’ex leader del Meretz (sinistra sionista) Yossi Sarid «ora li stanno addirittura sradicando. Distruggeranno i nostri valori fondamentali, senza i quali uno Stato democratico non può esistere. Loro sono sordi, ma noi siamo stati ciechi, perché non abbiamo voluto vedere la realtà». Sarid però dimentica che proprio il sionismo laburista del «padre della patria» Ben Gurion fece del richiamo della «biblica terra di Israele» uno degli strumenti principali per attirare l’immigrazione ebraica in Palestina. Oggi gli ultraortodossi fanno la voce grossa pur rappresentando ufficialmente solo il 10-12% della popolazione. «Possiamo criticare la comunità haredim per la sua arroganza», ha scritto un analista israeliano nei giorni scorsi, «ma la colpa è dei governi che per 62 anni hanno finanziato e lasciato campo libero in ognimodo gli ultraortodossi ». Specie in questi ultimi anni, i leader haredim sono stati in grado di organizzare proteste clamorose, coinvolgendo spesso anche i cosiddetti «ortodossi moderni». Il terreno preferito è sempre Gerusalemme. Già prima della grande manifestazione contro la Corte Suprema del 1999 (unmilione di persone), gli ultraortodossi erano stati in grado d’imporre, a colpi di violenti scontri con la polizia, la chiusura nel giorno di shabat di via Bar Ilan, un'importante arteria stradale. Tutti in piazza Poi, dopo una pausa durata qualche anno, sono tornati all’offensiva. Nel 2009 hanno contestato con violenza la decisione del Comune di aprire anche al sabato il parcheggio municipale, vicino alla Città Vecchia e hanno imposto la chiusura, sempre il sabato, di uno stabilimento dell’azienda di microprocessori Intel. Sempre lo scorso anno sono riusciti a far riattivare la linea di autobus speciali, con rigida separazione di posti per sesso: gli uomini di qua, le donne di là . Quest’anno hanno duramente protestato ad Ashqelon contro il trasferimento di antiche tombe da un terreno vicino all’ospedale Barzilai e altrettanto hanno fatto nei giorni scorsi a Giaffa contro la costruzione di nuovi edifici. Infine gli oltre 100mila scesi in piazza la scorsa settimana. Un crescendo che gli ultimi premier israeliani hanno assecondato. Gli ebrei laici denunciano la «presa del potere » progressiva da parte dei religiosi. «E dobbiamo anche mantenerli», protesta Liat Krieger, una insegnante «pensate solo il 44% degli ultraortodossi lavora, è assurdo». Non per le autorità che quattro anni fa hanno anche confermato l’esonero dal servizio militare di leva per i cittadini haredim.

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