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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - L'Opinione - The Times - Adnkronos Rassegna Stampa
18.06.2010 Israele cede alle richieste europee su Gaza, ma per Hamas non è abbastanza
Cronache e commenti di Carlo Panella, Dimitri Buffa, Josè Maria Aznar

Testata:Libero - L'Opinione - The Times - Adnkronos
Autore: Carlo Panella - Dimitri Buffa - José María Aznar - La redazione di Adnkronos
Titolo: «Israele cede e allenta l’embargo a Gaza - Gaza, Israele allenta il blocco. Ue: bene ma aspettiamo la 'lista' dei prodotti ammessi»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 18/06/2010, a pag. 19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Israele cede e allenta l’embargo a Gaza ". Dall'OPINIONE l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo "  Israele allenta su Gaza, ma è già pronta un'altra flotilla di pacifinti ". Da THE TIMES l'articolo di José María Aznar, primo ministro spagnolo dal 1993 al 2004,  dal titolo "Support Israel: if it goes down, we all go down  ". Pubblichiamo il lancio ADNKRONOS dal titolo " Gaza, Israele allenta il blocco. Ue: bene ma aspettiamo la 'lista' dei prodotti ammessi ", preceduto dal nostro commento.

Su Gaza, leggere la cartolina di Ugo Volli in altra pagina di IC

LIBERO - Carlo Panella : " Israele cede e allenta l’embargo a Gaza "


Carlo Panella

Il governo di Gerusalemme ha deciso di allentare il blocco della Striscia di Gaza stabilito nel 2007 e di permettere il passaggio di nuovi prodotti (altri alimentari, giocattoli, cancelleria, utensili da cucina, materassi e asciugamani), di facilitare l’in - gresso di «beni a uso civile e di materiali per progetti civili» e di «ampliare in modo controllato l'ingresso di materiali (come cemento e ferro) per progetti civili che sono sotto supervisione internazionale » (il blocco del materiale edile era motivato dal fondato timore che servisse per la costruzione di postazioni militari). La decisione è stata salutata con estremo favore da Franco Frattini, con “grande interesse” da Catherine Ashton, responsabile della politica estera della Ue, mentre il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner l’ha definita «insufficiente». Ovviamente, Hamas l’ha rigettato l’apertura come “propaganda” e pretende sempre la cessazione totale del blocco. Naturalmente Israele ha reiterato la richiesta che la comunità internazionale si faccia carico ora di fare pressioni su Hamas perché liberi il caporale Gilad Shalit, rapito su suolo israeliano nel 2006 e detenuto in spregio ad ogni convenzione internazionale da un governo palestinese della Striscia di Gaza che si comporta come una banda di gangster, rifiutando persino le visite della Croce Rossa. Richiesta che difficilmente troverà orecchie attente in un’Europa che fa finta di credere che le situazione a Gaza sia “in - tollerabile” (come dice Barack Obama) o addirittura che vi siano fame e malattie non curate, come affermato falsamente da quasi tutti i media mondiali (con le poche lodevoli eccezioni in Italia). Falsità, smentite dallo stesso Bassam Naim, ministro della Sanità di Hamas,chegiorni fa, a proposito di un carico di mayonese inviato dagli Usa nella Striscia ha dichiarato: «A Gaza abbiamo numerose qualità di generi alimentari, possiamo anche esportarli negli Stati Uniti a prezzi simbolici. Non vogliamo la mayonese di Obama, non vogliamo l’elemosina». Naturalmente Israele non attenuerà il blocco navale, per impedire che oltre agli attuali 5.000 missili e razzi di cui già Hamas dispone (ne ha lanciato centinaia contro le città israeliane facendo una decina di morti e centinaia di feriti), si aggiungano altre armi. In questo senso ha avvisato che tratterà le navi di pseudo pacifisti libanesi e iraniani in rotta verso Gaza per violarne il blocco, come «atto ostile di paesi nemici». La svolta di ieri riveste un grande significato politico - al di là del dato materiale - perché indica che Netanyahu si è finalmente reso conto di non potere più reggere l’isolamento internazionale che la sua politica eccessivamente aggressiva ha provocato. Senza peraltro ricordare che, dopo la “non vittoria” nella guerra del Libano del 2006, per la prima volta Israele era stato costretto a affidare parte della sua sicurezza nazionale nel sud Libano anche ai militari francesi e italiani di Unifil. Questa svolta è stata sempre ignorata da Netanyahu, ma è ben presente al capo dello Stato Simon Peres, che da giorni esercita sempre più forti pressioni sull’esecutivo,perché prendaatto di avere superato la soglia di guardia delle critiche internazionali, anche da parte di Paesi amici. Alcuni analisti sostengono addirittura che Peres sia così preoccupato da dispiegare la sua moral suasion per fare entrare nell’esecutivo Kadima di Tipzi Livni, emarginando così l’in - fluenza del super falco Avigdor Libermann, attuale ministro degli Esteri.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Israele allenta su Gaza, ma è già pronta un'altra flotilla di pacifinti "


Dimitri Buffa

Da oggi Israele ha deciso di allentare un po’ la pressione su Gaza ma solo per i generi alimentari e per motivi umanitari. Di togliere il blocco navale non se ne parla, anche perché si sta preparando già una nuova flottiglia di “pacifinti” turchi e di anti semiti europei pronti all’ennesima provocazione.
La notizia dell’ammorbidimento del blocco anti Hamas lo ha dato un comunicato del gabinetto di sicurezza  del presidente del consiglio Benjamin Nethanyahu alla fine di una riunione del consiglio dei ministri. Israele liberalizzerà il sistema in base al quale i beni umanitari vengono trasferiti nella Striscia di Gaza. Secondo le nuove disposizioni fornite alla polizia a Gaza, sarà aumentato “l'afflusso dei materiali per i progetti civili che sono sotto la suprevisione internazionale”. Israele continuerà invece ad applicare i protocolli di sicurezza esistenti al fine di evitare un “afflusso di armi e di materiale bellico”, aggiunge il comunicato diramato dall'ufficio del premier Benjamin Netanyahu.
Nel testo si legge poi che Israele “si aspetta che la comunità internazionali lavori per l'immediato rilascio di Gilad Shalit”, il caporale delle Forze di Difesa israeliane catturato da Hamas nella Striscia di Gaza nel giugno del 2006. La decisione di Israele è giunta dopo la crescente convinzione a Gerusalemme che un allentamento dell'embargo su Gaza potrebbe limitare le azioni degli attivisti per romperne l'assedio. A proposito di Shalit si segnala che il 24 giugno sarà Roma a prendere un’iniziativa a suo favore e che il sindaco Gianni Alemanno ha deciso di accendere le luci del Colosseo per la sua liberazione. Intanto ieri l’Adnkronos international dava notizia della perparazione di un altro “raid pacifinto”: “l'ong turca  filopalestinese 'Ihh' invierà il prossimo mese una nuova flottiglia  composta da sei navi diretta a Gaza allo scopo di rompere  l'isolamento.”
Lo hanno riferito proprio  alcuni membri dell'organizzazione, che molti ritengono vicina ad “al Qaeda”, in un incontro  con alcuni deputati del Parlamento europeo. Secondo Ihh, la nuova flotta di imbarcazioni dovrebbe essere a  Gaza nella seconda metà di luglio. La ong ha anche fatto appello ai  media internazionali affiché ispezionino le merci che saranno  caricate sulle navi, in modo da verificare che non saranno traportate  armi a bordo.
Sempre ieri hanno destato invece un certo scalpore in Turchia le parole di un ascoltato imam. da anni esiliato negli Usa, Fethullah Gülen, che parlando con un giornalista del Washington Post, cioè Joe lauria, ha deprecato senza sé e senza ma quella che lui stesso ha chiamato “la provocazione dell’Ihh che si è recato senza il permesso del governo israeliano a portare aiuti via nave a Gaza”. Per capire perché queste parole abbiano determinato grande disorientamento nell’opinione pubblica e tra le autorità governative di Ankara, basti dire che questo imam si trova dal 1999 negli Usa, dove si era recato per un intervento chirurgico, e che da allora non era più rientrato perché nel frattempo accusato in patria, ai tempi in cui non c’era Erdogan, di volere costituire uno stato islamico in Turchia.
Insomma Fethullah Gülen era considerato un estremista islamico e adesso parla con il Washington Post dicendo che quelli dll’Ihh “volevano sfidare Israele” e “hanno cercato e ottenuto una tragedia”. L’imbarazzo anche per Erdogan deve essere stato duplice: da una parte quello che viene tuttora considerato in Turchia come un pericoloso estremista ha parole di disprezzo per Hamas e di comprensione per il comportamento dello stato ebraico nella vicenda della Flottilla per Gaza, in ciò quindi spiazzando l’attuale leadership, e dall’altra perché la sua presenza in America suona come un monito a chi ad Ankara ancor fa finta di non accorgersi che lui continua a essere esule negli Usa come estremista islamico anche adesso che gli estremisti islamici sono al potere. Come a dire: si sono dimenticati di lui. Ma che la Turchia odierna sia la patria dei paradossi e delle contraddizioni non è di certo una scoperta e in fondo tutta la tragedia della flottilla “pacifinta” per Gaza sta li per testimoniarlo.

THE TIMES - José María Aznar : " Support Israel: if it goes down, we all go down "

Segue la traduzione italiana di Danielle Sussmann.


José María Aznar ,
was Prime Minister of Spain, 1996-2004

For far too long now it has been unfashionable in Europe to speak up for Israel. In the wake of the recent incident on board a ship full of anti-Israeli activists in the Mediterranean, it is hard to think of a more unpopular cause to champion. In an ideal world, the assault by Israeli commandos on the Mavi Marmara would not have ended up with nine dead and a score wounded. In an ideal world, the soldiers would have been peacefully welcomed on to the ship. In an ideal world, no state, let alone a recent ally of Israel such as Turkey, would have sponsored and organised a flotilla whose sole purpose was to create an impossible situation for Israel: making it choose between giving up its security policy and the naval blockade, or risking the wrath of the world. In our dealings with Israel, we must blow away the red mists of anger that too often cloud our judgment. A reasonable and balanced approach should encapsulate the following realities: first, the state of Israel was created by a decision of the UN. Its legitimacy, therefore, should not be in question. Israel is a nation with deeply rooted democratic institutions. It is a dynamic and open society that has repeatedly excelled in culture, science and technology. Second, owing to its roots, history, and values, Israel is a fully fledged Western nation. Indeed, it is a normal Western nation, but one confronted by abnormal circumstances. Uniquely in the West, it is the only democracy whose very existence has been questioned since its inception. In the first instance, it was attacked by its neighbours using the conventional weapons of war. Then it faced terrorism culminating in wave after wave of suicide attacks. Now, at the behest of radical Islamists and their sympathisers, it faces a campaign of delegitimisation through international law and diplomacy. Sixty-two years after its creation, Israel is still fighting for its very survival. Punished with missiles raining from north and south, threatened with destruction by an Iran aiming to acquire nuclear weapons and pressed upon by friend and foe, Israel, it seems, is never to have a moment’s peace. For years, the focus of Western attention has understandably been on the peace process between Israelis and Palestinians. But if Israel is in danger today and the whole region is slipping towards a worryingly problematic future, it is not due to the lack of understanding between the parties on how to solve this conflict. The parameters of any prospective peace agreement are clear, however difficult it may seem for the two sides to make the final push for a settlement. The real threats to regional stability, however, are to be found in the rise of a radical Islamism which sees Israel’s destruction as the fulfilment of its religious destiny and, simultaneously in the case of Iran, as an expression of its ambitions for regional hegemony. Both phenomena are threats that affect not only Israel, but also the wider West and the world at large. The core of the problem lies in the ambiguous and often erroneous manner in which too many Western countries are now reacting to this situation. It is easy to blame Israel for all the evils in the Middle East. Some even act and talk as if a new understanding with the Muslim world could be achieved if only we were prepared to sacrifice the Jewish state on the altar. This would be folly. Israel is our first line of defence in a turbulent region that is constantly at risk of descending into chaos; a region vital to our energy security owing to our overdependence on Middle Eastern oil; a region that forms the front line in the fight against extremism. If Israel goes down, we all go down. To defend Israel’s right to exist in peace, within secure borders, requires a degree of moral and strategic clarity that too often seems to have disappeared in Europe. The United States shows worrying signs of heading in the same direction. The West is going through a period of confusion over the shape of the world’s future. To a great extent, this confusion is caused by a kind of masochistic self-doubt over our own identity; by the rule of political correctness; by a multiculturalism that forces us to our knees before others; and by a secularism which, irony of ironies, blinds us even when we are confronted by jihadis promoting the most fanatical incarnation of their faith. To abandon Israel to its fate, at this moment of all moments, would merely serve to illustrate how far we have sunk and how inexorable our decline now appears. This cannot be allowed to happen. Motivated by the need to rebuild our own Western values, expressing deep concern about the wave of aggression against Israel, and mindful that Israel’s strength is our strength and Israel’s weakness is our weakness, I have decided to promote a new Friends of Israel initiative with the help of some prominent people, including David Trimble, Andrew Roberts, John Bolton, Alejandro Toledo (the former President of Peru), Marcello Pera (philosopher and former President of the Italian Senate), Fiamma Nirenstein (the Italian author and politician), the financier Robert Agostinelli and the Catholic intellectual George Weigel. It is not our intention to defend any specific policy or any particular Israeli government. The sponsors of this initiative are certain to disagree at times with decisions taken by Jerusalem. We are democrats, and we believe in diversity. What binds us, however, is our unyielding support for Israel’s right to exist and to defend itself. For Western countries to side with those who question Israel’s legitimacy, for them to play games in international bodies with Israel’s vital security issues, for them to appease those who oppose Western values rather than robustly to stand up in defence of those values, is not only a grave moral mistake, but a strategic error of the first magnitude. Israel is a fundamental part of the West. The West is what it is thanks to its Judeo- Christian roots. If the Jewish element of those roots is upturned and Israel is lost, then we are lost too. Whether we like it or not, our fate is inextricably intertwined.

Se Israele cade, cadiamo tutti
(traduzione di Danielle Sussmann)

La rabbia provocata dai fatti di Gaza distrae dai problemi reali. Non possiamo dimenticare che Israele è il migliore alleato dell’Occidente in una regione turbolente.

di José Maria Aznar

Per troppo a lungo, fino ad oggi, in Europa è stato fuori moda parlare a favore di Israele. Con il recente incidente a bordo di una nave nel Mediterraneo piena di attivisti anti-israeliani, è difficile erigersi a campione di una causa tanto impopolare.
In un mondo ideale, l’assalto dei commandos israeliani sulla Mavi Marmara non si sarebbe concluso con nove morti e dei feriti. In un mondo ideale, i soldati sarebbero stati accolti pacificamente sulla nave. In un mondo ideale, nessun stato, come ha fatto la Turchia con il suo recente alleato Israele, avrebbe sponsorizzato ed organizzato una flottiglia il cui unico intento è stato creare una situazione intollerabile per Israele: mettendolo tra la scelta di abbandonare la sua politica di sicurezza e il blocco navale, oppure rischiando il biasimo del mondo.
Nel nostro rapportarci ad Israele, dobbiamo allontanare l’ira che ci fa vedere rosso e spesso annebbia i nostri giudizi. Un approccio ragionevole e bilanciato contempla le seguenti realtà: primo, lo stato di Israele è stato creato da una decisione delle Nazioni Unite. La sua legittimazione, perciò, non dovrebbe essere messa in questione. Israele è una nazione con profonde e radicate istituzioni democratiche. E’ una società aperta e dinamica che ha dimostrato ripetutamente di eccellere nella cultura, nella scienza e nella tecnologia.
Secondo, grazie alle sue radici, alla sua storia, ai suoi valori, Israele è una nazione di piena formazione occidentale. Di fatto, è una normale nazione occidentale, ma una nazione che si confronta con circostanze anormali.
Unico caso in Occidente, è l’unica democrazia la cui esistenza è sempre messa in discussione dalla sua fondazione. All’inizio è stata attaccata dai suoi vicini con l’impiego di armi convenzionali da  guerra. In seguito, ha dovuto affrontare il terrorismo culminato in ondate di continui attacchi suicidi. Ora, su ordine degli islamisti radicali e dei loro simpatizzanti, si trova costretta ad affrontare una campagna di delegittimazione da parte della legge internazionale e della diplomazia. 
Sessantadue anni dopo la sua creazione, Israele sta ancora combattendo per la sua sopravvivenza. Punito da missili che piovono da nord a sud, minacciato di distruzione da un Iran che ambisce a possedere armi nucleari ed oberato dalle pressioni di amici e nemici, Israele, come appare evidente, non ha un momento di pace.
Per anni, il focus dell’attenzione occidentale si è comprensibilimente orientato verso il processo di pace tra Israele e i palestinesi. Ma se Israele è in pericolo oggi e tutta la regione sta scivolando verso un futuro preoccupante e problematico, non è dovuto ad una mancanza di comprensione tra le parti sul come risolvere il conflitto. I parametri per una prospettiva di accordo di pace sono chiari, tuttavia, appare difficile per le due parti raggiungere la conclusione finale dell’accordo.
Le vere minacce alla stabilità regionale, tuttavia, devono essere cercate nel sorgere dell’islamismo radicale che vede nella distruzione di Israele il raggiungimento del suo destino religioso e, simultaneamente come è nel caso dell’Iran, alle ambizioni di quest’ultimo per raggiungere un’egemonia regionale. Entrambi i fenomeni sono minacce che non sono rivolte solo contro Israele ma più ampiamente contro l’Occidente e il mondo intero.
Il nocciolo del problema risiede nei comportamenti ambigui e spesso errati con cui molti paesi occidentali stanno oggi reagendo alla situazione. E’ facile condannare Israele addossandogli tutti i mali del Medio Oriente. Addirittura c’è chi agisce e parla come se una nuova comprensione con il mondo islamico possa essere possibile se solo fossimo pronti a sacrificare lo stato ebraico sull’altare. Sarebbe folle.  Israele è la nostra prima linea di difesa in una regione turbolenta che corre costantemente il rischio di cadere nel caos; una regione vitale per la nostra sicurezza energetica a causa della nostra forte dipendenza dal petrolio mediorientale; una regione che è in prima linea nella battaglia contro l’estremismo. Se Israele cade, cadiamo tutti. Per difendere il diritto di Israele ad esistere in pace, in confini sicuri, è necessario un livello di chiarezza morale e strategica che troppo spesso sembra essere scomparso in Europa. Gli Stati Uniti mostrano preoccupanti segnali che vanno nella stessa direzione
L’Occidente sta attraversando un periodo di confusione nel costruire il futuro del mondo. A grandi linee, questa confusione è causata da una specie di masochistica incertezza autoinculcata sulla nostra identità; dalle regole di una correttezza politica; da un multiculturalismo che ci obbliga ad inginocchiarci ad altri; e da un secolarismo che, ironia delle ironie, ci acceca pure quando siamo attaccati da jihadisti che promuovono la più fanatica incarnazione della loro fede. Abbandonare Israele al suo destino, in questo momento più che in altri, servirebbe solo ad illustrare quanto siamo sprofondati e come appaia inesorabile il nostro declino.
Non si deve permettere che questo accada. Motivato dalla necessità di ricostruire i nostri valori occidentali, esprimendo profonda preoccupazione per l’ondata di aggressione contro Israele, e cosciente che la forza di israele sia la nostra forza e che la debolezza di Israele sia la nostra debolezza, ho deciso di promuovere una nuova iniziativa di amici di Israele con l’aiuto di alcune persone prominenti come David Trimble, Andrew Roberts, John Bolton, Alejandro Toledo (ex Presidente del Perù), Marcello Pera (filosofo ed ex Presidente del Senato Italiano), Fiamma Nirenstein (la scrittrice e politica italiana), il finanziere Robert Agostinelli e l’intellettuale cattolico George Weigel.
Non è nostra intenzione difendere una specifica politica o un qualsiasi governo di Israele. Gli sponsors di questa iniziativa sono certi di non condividere sempre le decisioni prese da Gerusalemme. Siamo democratici e crediamo nella diversità.
Ciò che ci lega, tuttavia, è il nostro incondinzionato sostegno al diritto di Israele ad esistere e a difendersi. Quei paesi occidentali che affiancano coloro che mettono in discussione la legittimità di Israele, coloro che giocano nelle istituzioni internazionali con le questioni che riguardano la sicurezza vitale di Israele, coloro che cercano intese con chi si oppone all’Occidente anziché erigersi vigorosamente a difesa dei nostri valori, non compiono solo un grave errore morale, ma anche un errore strategico di prima grandezza.
Israele è una parte fondamentale dell’Occidente. L’Occidente è quello che è grazie alle sue radici giudaico-cristiane. Se l'elemento ebraico di quelle radici venisse rovesciato ed Israele perso, allora pure noi saremmo persi. Che ci piaccia o no, il nostro destino è inestricabilmente interdipendente.

 José María Aznar è stato Primo Ministro in Spagna dal 1996 al 2004

ADNKRONOS - " Gaza, Israele allenta il blocco. Ue: bene ma aspettiamo la 'lista' dei prodotti ammessi "

 

Nel lancio dell'agenzia, i passeggeri della flotilla vengono definiti pacifisti. Nemmeno un accenno alle reali intenzioni dei terroristi a bordo della Marmara. E' evidente che, ormai, ADNKRONOS non tollera più l'egemonia di ANSA in fatto di antisionismo e, per questo, è entrata in gara.
Ecco il lancio:

Gerusalemme - (Adnkrobnos/Ign) - Dopo la tensione internazionale per il fuoco sui pacifisti della Flotilla, la decisione del consiglio di sicurezza israeliano: più libero l'afflusso di beni umanitari ma resta il controllo su armi e materiale bellico. Apprezzamento del ministro Frattini: ''Hanno capito che la strategia di assedio è controproducente''. Ma per Hamas ''non basta'': ''Abbiamo bisogno di cemento e ferro per ricostruire la città''

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