martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Foglio - L'Unità Rassegna Stampa
15.06.2010 Iran: l'Onda è senza leader e Ahmadinejad è sempre più forte
Ma secondo l'Unità il regime starebbe per cadere (?!?). Commento di Carlo Panella, intervista a Rouzbeh Parsi di Gabriel Bertinetto

Testata:Il Foglio - L'Unità
Autore: Carlo Panella - Gabriel Bertinetto
Titolo: «Per capire la piazza vuota d’Iran basta entrare in un bazaar - L’Onda verde non si è spenta Ahmadinejad è debole»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/06/2010, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Per capire la piazza vuota d’Iran basta entrare in un bazaar ". Dall' UNITA', a pag. 2, l'intervista di Gabriel Bertinetto a Rouzbeh Parsi dal titolo " L’Onda verde non si è spenta Ahmadinejad è debole ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Carlo Panella : " Per capire la piazza vuota d’Iran basta entrare in un bazaar "


Carlo Panella

Roma. Il regime iraniano di Mahmoud Ahmadinejad e Ali Khamenei oggi è più stabile che mai. Il movimento di protesta dell’Onda verde invece è costretto a una immersione carsica di cui è impossibile prevedere la durata: settimane, forse mesi, forse anni. La spietata crudezza dei fatti ci obbliga a prendere atto del significato di quanto “non” è successo in Iran il 12 giugno di quest’anno, là dove la scarsa – quanto coraggiosa e eroica – presenza di proteste nelle piazze non va attribuita soltanto alla feroce repressione del regime – indubitabile – ma anche ai problemi interni al movimento di protesta, tutti politici. Le lacerazioni nel vertice del potere che parevano essersi aperte l’estate scorsa e fino a dicembre (ai funerali dell’ayatollah Montazeri) in realtà si sono tutte chiuse. Da mesi Ali Hashemi Rafsanjani, il referente del movimento con la posizione istituzionale più forte e presidente del Consiglio dei Guardiani, tace. Da mesi sono in silenzio quei pochi grandi ayatollah che avevano espresso simpatia per le richieste popolari. Da mesi non viene dall’Iran una voce al regime che non sia quella degli oppositori schierati. C’è una ragione per questo silenzio: il grande blocco sociale del bazaar, fulcro della società iraniana, che nelle prime settimane dopo il 12 giugno 2009 sembrava muoversi dentro l’Onda verde, si è ritirato. I bazaaris iraniani costituiscono un originale mix di commercianti, banchieri, speculatori finanziari, con una rete di migliaia di negozi di tappeti sparsi per il mondo, che costituiscono anche un eccellente network finanziario. Non c’è stato cambiamento nella società iraniana che non abbia avuto i bazaaris come fulcro. Lo stesso schieramento frontale di Ali Rafsanjani contro Ahmadinejad nell’estate del 2009 era sintomo di uno scollamento tra i bazaaris e il regime, perché il suo movimento politico, Kargozaran, ha in loro la sua base sociale ed elettorale di consenso. Ma già nell’autunno e inverno scorsi si è constatato che quello scollamento iniziale era rientrato, con la tragica conseguenza di un movimento dell’Onda verde che nelle piazze viveva tutto e solo sulle spalle dei giovani, degli studenti, di una parte – minoritaria – della società urbana e di una parte ultraminoritaria della gerarchia sciita martoriata dalle purghe khomeiniste. I bazaaris, dopo l’impegno iniziale, non hanno più puntato sulla crisi di regime e hanno scelto di farsi palude, condizionati dalla constatazione della grande mobilitazione dei “mostafazin”, dei diseredati, della plebe, di cui Ahmadinejad ha saputo dare prova. A fronte della capacità del regime di riscuotere consenso, il corpo centrale della società iraniana si è disimpegnato. Rafsanjani ne ha preso atto, e si è ritirato nella sua nicchia. Non così Ali Larijani, che attinge consensi elettorali nella stessa base sociale, tra i bazaaris, come nel clero di Qom con la sua Coalizione allargata degli “osulgarayan” (fondamentalisti). Dopo le prime proteste popolari, Larijani si era schierato contro Ahmadinejad e il 21 giugno 2009 aveva dichiarato: “Una maggioranza era convinta che i risultati reali delle elezioni fossero diversi da quelli ufficiali”. Ma subito dopo, il 29 giugno, ha dichiarato: “Le elezioni sono state un’esperienza seria e democratica”. In agosto, a fronte della nomina di suo fratello Sadegh Larijani come procuratore generale della Repubblica islamica, Ali Larijani è diventato un alleato di Ahmadinejad. Sadegh Larijani ha così nominato il generale dei pasdaran Baqer Zolqadr suo consigliere, a sigillo della – mai vista – subordinazione dell’ordine giudiziario alle Guardie della Rivoluzione. Ali Larijani favorisce privatizzazioni e libero mercato, la sua lingua è quella degli affari e della modernità e il suo ritratto è esposto in bella mostra in quasi tutte le botteghe del bazaar di Teheran. Ma appoggia Ahmadinejad, così come con Ahmadinejad, per il momento, si schiera il bazaar. E l’Onda verde si ritrova tanto repressa, quanto isolata. Per ora.

L'UNITA' - Gabriel Bertinetto : "  L’Onda verde non si è spenta Ahmadinejad è debole"

Non è ben chiaro da dove derivi l'ottimismo di Parsi per quanto riguarda la presunta imminente caduta del regime iraniano. Lo vada a dire alle decine di persone che vengono impiccate ogni mese in Iran, o ai prigionieri di Evin.
Ecco l'intervista:


Rouzbeh Parsi

Al telefono da Parigi lo svedese Rouzbeh Parsi, esperto di Iran, ricercatore presso l’Istituto dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza (Euiss). L’opposizione senza guida oggi appare debole, dice, ma i vertici del potere sono divisi da lotte di fazione. Unannofa il movimento d’opposizione era in piena fioritura. Ora le cose sembranoesserenotevolmentecambiate. Cosastaaccadendoin Iran, dottor Parsi? «È vero, per qualche tempo dopo le elezioni dello scorso giugno la protesta popolare e la denuncia dei brogli nelle piazze era sotto gli occhi del mondo.Maallora si produsse anche unfenomenomenovisibile esteriormente, e cioè l’approfondimento di una lotta interna all’élite del Paese. Apoco a poco lo scontro politico-sociale in Iran si è trasformato nello sforzo di logorare gli avversari da parte del potere, ma anche in una sorta di guerra di posizione che coinvolgeva varie fazioni inmodoconfuso e non sistematico. In generale potremmo dire che gli eventi succedutisi nell’ultimo anno hanno scosso le fondamenta della Repubblica islamica, ed il processo non ha ancora trovato un suo assestamento». La forza d’urto della cosiddetta onda verde si è smorzata? Per quali ragioni? «La questione è complessa. In linea di massima potremmo dire che nella realtà iraniana attuale l’energia diunsoggetto si manifesta in maniera direttamente proporzionale alla debolezza dell’altro. La disorganizzazione dello Stato ha favorito l’emersione di forze antagoniste. In una prima fase la repressione non ha fatto altro che riattizzare il fuoco della contestazione, anche perché il movimento antigovernativo non avevaunasua centralità organizzativa. Il potere non sapeva dove colpire. Ma alla lunga la dispersione e lo scarso coordinamento delle iniziative, che aveva avvantaggiato inizialmente gli oppositori, si sono ritorti a loro danno. Se non c’è una struttura direttiva, la mobilitazione prima o poi si spegne». La pluralità un po’ anarchica delle azioni di lotta è frutto di una scelta, è dipesa dal caso, oppure ancora da uno stato di necessità? «Non è stata certamente una cosa voluta. Cercavano di organizzarsi, ma non ci riuscivano». Vuoldirechei vari leader,daMoussavi a Khatami a Karroubi non sono all’altezza? «Bisogna sottrarsi alla tentazione di romanticizzare la figura del leader, soprattutto nel particolare contesto odierno della crisi iraniana. Non dico che le performance dell’opposizione non migliorino anche grazie alla bravura dei dirigenti, ma non è questo il fattore principale. Il cuore del problema risiede nel fatto che l’onda verde non scorre nel vuoto, ma si muove in uno stretto intreccio con il cosiddetto establishment. L’opposizione attraversa lo stesso schieramento conservatore. Il Parlamento ed il suo presidente Larijani in particolare sono ostili ad Ahmadinejad pur appartenendo alla medesima area politica in senso globale». Alcuni analisti notano una profonda frattura in particolare all’interno del clero. È così? «Sì. Ed aggiungerei che il presunto carattere teocratico della Repubblica islamica non impedisce che la condivisione dei suoi valori fondamentali sia limitata ad una ristretta minoranza di persone, anche fra i religiosi. Sono sicuro che perfino a Qom, la città santa, i fautori della sottomissione dello Stato al clero rimarrebbero sconfitti se si potesse liberamente scegliere con voto segreto in un referendum. Non solo dallo scorso giugno, ma già da dieci o quindici anni, molti protagonisti della rivoluzione khomeinista hanno cambiato radicalmente opinione. Oggi i leader religiosi per lo più tacciono o subiscono passivamente. Solouna sparuta minoranza si pronuncia apertamente a favore di Ahmadinejad e Khamenei. E degli ayatollah politicizzati la maggioranza è contro sia l’uno che l’altro. Persino i Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione, non sono monoliticamente uniti. Le divisioni della società si riflettono anche nei corpi di sicurezza». Seilregimeècosìlaceratoaognilivello e in ogni settore, viene spontaneo chiedersi: com’è che resta in piedi? «Per l’assenza di un’alternativa. E poi perché il concetto di opposizione in Iran oggi sfugge alla logica del sistema binario. Esiste piuttosto un continuum che nella società e nelle istituzioni si articola attraverso diversi gradi di disaffezione verso il potere statale. Ci sono persone deluse per il cattivo andamento economico, indignate per la frode elettorale, turbate per la repressione, etc. Non costituiscono però un blocco compatto». L’opposizione più che un movimento è allora uno stato d’animo? «In parte. Esiste comunque un trend che può sfociare nel rovesciamento del regime. Benché le autorità si sforzino di convincere che il Paese è tornato alla normalità, le cose stanno diversamente. Non sono state affatto intelligenti nel gestire la crisi. L’eccesso di repressione può nuocere a loro stesse. Un potere tirannico può reggere anche avendo un consenso limitato al10%della nazione, solo se agisce in maniera tale che il 50 o 60% rimanga in uno stato di neutralità o indifferenza. Il ché non si concilia con l’arroganza di cui danno prova in questa fase, che rischia di risvegliare sezioni del Paese potenzialmente disposte a tollerare senza ribellarsi». LaRepubblicaislamicaèormaidiventata un regime militare, sostengono alcuni osservatori. È d’accordo? «In parte è così, ma bisogna avere presente che i corpi militari in Iran non si occupano solo di armi e sicurezza. Sono inseriti nel mondo degli affari e del commercio. Gestiscono fondi pensionistici. Posseggono imprese di costruzione. Sono un establishment in divisa economicamente molto attivo. Le istituzioni militari si sono per così dire sciolte nella vita e nelle attività sociali».

Per inviare la propria opinione a FoglioUnità, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@ilfoglio.it
lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT