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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Rainews24-Corriere della Sera-IlSole24Ore-Il Foglio-Libero Rassegna Stampa
12.06.2010 Iran: 12 giugno, anniversario della rivolta. Il regime è sempre più forte
Commenti di Valeria Pannuti, Viviana Mazza, Christian Rocca, redazione del Foglio, Carlo Panella

Testata:Rainews24-Corriere della Sera-IlSole24Ore-Il Foglio-Libero
Autore: Valeria Pannuti, Viviana Mazza, Christian Rocca, redazione del Foglio, Carlo Panella
Titolo: «Iran, la parola negata-L'ira di Ahmadinejad, dittatura dell'Onu-Washington su Teheran ha fatto le mosse giuste-La piazza resta orfana, solo Neda ossessiona il regime d'Iran-L'Iran ha ancora alleati forti e fa più paura di prima»

Iran, anniversario della rivolta.
Pubblichiamo l'analisi di Valeria Pannuti, la cronaca Onu-Ahmadinejad di Viviana Mazza, l'intervista di Christian Rocca a John Nagl, l'analisi del Foglio e quella di Carlo Panella.


Rainews24 - Valeria Pannuti: "Iran, la parola negata".

Molto accurata questa analisi, pur essendo pubblicata da Rainews24, rete diretta da Corradino Mineo, in genere allineata su posizioni molto conformiste.

Neda, uccisa il 20 giugno 2009
L'omicidio di Neda

Ad un anno dalle contestate elezioni presidenziali che scatenarono in Iran una ondata di proteste dell'opposizione, represse nel sangue, il ministero dell'Interno iraniano non vuole concedere ai movimenti riformisti l'autorizzazione a manifestare il 12 giugno.

L'ennesimo schiaffo da parte del regime degli ayatollah, ai tanti iraniani che  contestano le elezioni farsa del 12 giugno 2009, che hanno portato alla rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad.

I leader riformisti Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi hanno dunque invitato i loro sostenitori a non manifestare.
"Dopo aver ricevuto informazioni dai partiti riformisti e allo scopo di proteggere le vite e le proprieta' delle persone, annunciamo che le manifestazioni in programma non saranno organizzate", si legge nella nota firmata dai due eponenti politici.

Intanto, il regime di Teheran ha ordinato la chiusura di una fabbrica che voleva avviare la produzione di statuette raffiguranti le vittime della repressione, tra cui quella di Neda Agha Soltan, la giovane di 26 anni diventata una icona dell'opposizione, dopo che il video della sua brutale uccisione fece il giro del mondo grazie a YouTube. Lo riporta  il New York Times, che cita il sito web filo-governativo Aty news. Stabilimento finito nel mirino anche per non avere obbligato le dipendenti a lavorare indossando il velo. Le autorita' negano. 

Mentre e' di qualche giorno fa la notizia che il film documentario prodotto dall'americana HBO su Neda e' stato boicottato dalle autorità iraniane che hanno fatto ricorso ad interferenze nelle trasmissioni satellitari e a tagli dell'energia elettrica per impedire alla popolazione di Teheran di vederlo. Il film e' stato trasmesso nei giorni scorsi da Voice of America Persian tv, ma in molti nella capitale hanno denunciato problemi durante la trasmissione. Il filmato di 70 minuti e' comunque visibile su You Tube.

Prodotto da Mentorn Media per Hbo, il documentario è stato co-prodotto da Saeed Kamali Dehghan, ex corrispondente del quotidiano britannico the Guardian in Iran, che ha intervistato i familiari di Neda, ottenendo filmati sulla ragazza.
Dopo avere fatto piazza pulita degli oppositori e della  democrazia, l'Iran vuole uccidere anche i simboli e cancellare i volti di quella democrazia negata.

La linea dura della repressione,  che e' costata la vita e la liberta' a tanti cittadini iraniani, si era pienamente manifestata durante le proteste post elettorali, mettendo il bavaglio ai mezzi di informazione, sia nazionali che internazionali, censurando internet, bloccando le reti dei cellulari.
Quel web che, nonostante i continui interventi repressivi, e' riuscito comunque a raccontare, attraverso i social network, la brutalita' del regime teocratico islamico.
Il richiamo ai diritti umani e' doveroso, nel momento in cui nascondendosi proprio dietro a scopi umanitari, l'Iran, in un provocatorio annuncio, ha fatto sapere di voler mandare navi verso Gaza. Magari scortate dai Guardiani della Rivoluzione.
Gli stessi che 'selezionano' la classe dirigente, imbavagliano l'opposizione e sotto il cui regime, il boia lavora a pieno ritmo: secondo un conto dell'agenzia AFP, sono gia' almeno 79 gli  impiccati nei primi cinque mesi del 2010.
E in Iran  la pena di morte e' prevista per reati che spaziano dal commercio di droga all'adulterio,  dal terrorismo all'omosessualita'. E basta che un oppositore politico si guadagni la patente di terrorista per essere liquidato nel regime fondamentalista dei Mullah.
Come se non bastassero gia' le navi che si spostano con le armi, denunciate in un'inchiesta del New York Times, secondo cui navi iraniane, tornerebbero 'vergini', cambiando bandiera. In barba alle sanzioni di Stati Uniti e Onu.
The Diplomat, The Amplify, System Wise, Great Method, Alias: nomi senza macchia, come del resto le bandiere di Hong Kong, Malta e Germania. Ma dietro la storia recente e candida di queste navi e delle loro compagnie, come la Starry Shine, si nasconderebbe il passato dell'Islamic Republic of Iran Shipping Lines (Irisl), la compagnia di Stato iraniana. Che per evitare controlli e sanzioni, ha creato una rete di compagnie prestanome e compiacenti per rendere inefficace la 'blacklist'. Secondo l'inchiesta del quotidiano newyorchese, solo 46 delle 123 navi della Irisl sono tuttora di proprietà della compagnia iraniana, quattro quelle affondate. Le altre 73, invece, continuano a navigare sotto altri nomi e bandiere. Invisibili.
I Guardiani della Rivoluzione vogliono scortare le navi dirette a Gaza. Gli stessi che figurano nell'elenco delle nuove sanzioni votate dall'Onu.
Il testo della risoluzione numero 1929 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la quarta approvata dai 15 per persuadere Teheran a rinunciare alla corsa all'atomica, segnala con  grave preoccupazione, il ruolo di "elementi dei Guardiani della Rivoluzione islamica (...) in attivita' di proliferazione nucleare".


Corriere della Sera - Viviana Mazza: "L'ira di Ahmadinejad, dittatura dell'Onu"

Ahmadinejad finge di adirarsi contro l'Onu, mentre sa benissimo che le nuove sanzioni non avranno nessun effetto sui suoi progetti atomici.

Alla vigilia dell’anniversario della sua contestatissima riconferma alla presidenza della Repubblica Islamica e 48 ore dopo il via libera a nuove sanzioni contro l’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Mahmoud Ahmadinejad più duro che mai attacca le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e Israele.
La quarta serie di sanzioni approvate mercoledì mira ad impedire che l’Iran sviluppi missili balistici capaci di trasportare testate nucleari, investa ulteriormente nel settore e acquisti certi tipi di armi pesanti. Ahmadinejad le ha definite un «pezzo di carta straccia», parlando ieri a margine dell’Expo di Shanghai, «strumenti di dittatura» che «non avranno alcun effetto» sul programma nucleare e l’arricchimento dell’uranio iraniano. Ha attaccato i membri permanenti del Consiglio di sicurezza ( Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia): «I cinque membri hanno il diritto di veto, le bombe atomiche e l’energia nucleare. Vogliono monopolizzare questa tecnologia». Ha usato però toni più conciliatori nei confronti di Pechino, che pure ha appoggiato le sanzioni. «Abbiamo ottimi rapporti con la Cina, non c’è ragione di indebolirli. Il problema principale sono gli Stati Uniti, che si servono del potere nel Consiglio di Sicurezza per imporre la propria egemonia sulle altre nazioni». Di Obama ha detto: «Forse è molto immaturo, non conosce bene il mondo, specialmente il nostro popolo che ha insultato molto». Di Israele: è «condannato» sebbene protetto dagli Usa.
La Cina compra milioni di barili di greggio l’anno da Teheran, e ha investito in progetti energetici e per la costruzione di infrastrutture in Iran: non verranno colpiti dalle sanzioni. La Russia ha stretti rapporti commerciali e sta costruendo il reattore nucleare di Bushehr. Entrambi i Paesi si sono opposti per mesi a nuove sanzioni e hanno annacquato le misure del Consiglio di Sicurezza. Però la pazienza nei confronti dell’Iran sta svanendo. Lo prova anche l’annuncio di Mosca sul «congelamento» della vendita a Teheran di missili S-300. Usa e Israele si sono sempre opposti perché gli S-300 sono un sofisticato sistema di difesa (possono abbattere missili e aerei a grande distanza). La Russia invece ha rivendicato il diritto alla consegna dei missili, decisa nel 2007 ma poi ritardata e usata come «carota» nella diplomazia con l’Iran e l’Occidente. Ora il Cremlino fa sapere che l’affare è congelato per via delle nuove sanzioni, che comunque non proibiscono ma invitano alla «vigilanza e al contenimento» nella vendita di simili armi all’Iran. Il presidente francese Sarkozy si è complimentato per la «decisione difficile» con il premier Putin, il quale ha detto all’agenzia Dpa che «gli iraniani sono molto scontenti e applicheranno le penali previste per l’annullamento il contratto».
E gli americani, quanto tempo sono disposti ad aspettare? Il capo del Pentagono Robert Gates risponde ai giornalisti a Bruxelles: «Si crede che gli iraniani non possano avere armi nucleari prima di un anno o due. Le stime dell’intelligence vanno da uno a 3 anni».
Ahmadinejad sarà in patria oggi nell’anniversario della rielezione. I suoi avversari, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, continuano a contestare il risultato (accusano il governo di brogli) ma non parteciperanno alle proteste previste, «allo scopo di proteggere le vite e le proprietà delle persone».


IlSole24Ore - Christian Rocca: "Washington su Teheran ha fatto le mosse giuste".

Se non andiamo errati, è la prima volta che Christian Rocca intervista John Nagl, presidente del "Center for a New American Security", un nome che dovrebbe essere una garanzia, peccato che le sue dichiarazioni sono invece allarmanti. Se il titolo riflette il vero, poiché riteniamo che Obama abbia finora fatto una politica estera disastrosa, Iran compreso, vediamo con timore quali saranno le prossime mosse. Se quelle fatte fino ad oggi Nagl le ha ritenute giuste, ci chiediamo se egli meriti la qualifica di "analista militare più ascoltato di Washington", come Rocca lo definisce.
Due parole anche sul titolo del pezzo di Vittorio Da Rold, nella stessa pagina: "Usa al fianco di chi lotta in Iran".
Dato che Obama ha tagliato pesantemente i fondi alle organizzazioni che dall'America sostenevano l'opposizione in Iran, scrivere che gli Usa sono "al fianco di chi lotta in Iran" ha il sapore di una macabra presa in giro.


John Nagl

«La questione di politica estera più importante del 2010 e del 2011 è l'Iran», specie ora che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato la risoluzione con cui impone per la quarta volta sanzioni economiche al regime di Teheran per le sue continue violazioni degli accordi sul programma nucleare. John Nagl è il presidente del principale centro studi dell'era Obama sui temi della sicurezza nazionale e della politica estera. Quindici analisti del Center for a New American Security (Cnas) sono entrati in posizioni importanti nell'Amministrazione e, secondo i rumors della capitale che Nagl non smentisce, presto potrebbe toccare anche a lui servire il presidente con un ruolo di rilievo al Pentagono. Il profilo professionale di Nagl scardina i luoghi comuni di una sinistra liberal pregiudizialmente antimilitarista. Tenente colonnello dei marine, autore assieme al generale David Petraeus del manuale di counterinsurgency dell'esercito americano che ha contribuito alla svolta in Iraq, ma anche del saggio di storia militare «Learning to Eat Soup With a Knife» (Imparare a mangiare la zuppa con un coltello), Nagl è seduto nel suo ufficio al 1301 di Pennsylvania Avenue di Washington e sorseggia caffè nero bollente da una tazza bianca che si porta dietro dal suo secondo giro di servizio in Iraq. La tazza mostra una pianta dell'Iraq con i colori della bandiera nazionale. Nella parte superiore c'è scritto «Operation Iraq Freedom ». Sotto si legge: «Quando me ne sono andato, stavamo vincendo... ».
Nagl sostiene che nell'ultimo anno Obama ha fatto tutte le mosse giuste riguardo al programma atomico degli ayatollah di Teheran: «Un Iran nucleare ci preoccupa molto. Nessun paese al mondo, Israele a parte, è più interessato di noi a fermare la corsa atomica del regime iraniano. Obama ha fatto molto bene a tentare la strada dei colloqui, dopo le molte precondizioni che aveva posto George W. Bush. Il presidente ha dimostrato al mondo intero di essere disponibile a trattare, ma l'offerta è stata malamente rifiutata da Teheran. Obama ha speso tutto il suo prestigio, ha teso la mano e in cambio ha ricevuto uno schiaffo».
I critici della strategia presidenziale sostengono che la Casa Bianca ha sprecato molto tempo prezioso. L'esito, infatti, era scontato e ora Teheran è un anno più avanti verso la costruzione della bomba rispetto a quando Obama si è insediato. Nagl spiega che il passaggio di Obama era dovuto, anzi necessario e decisivo, perché è molto più difficile per la comunità internazionale accusare gli Stati Uniti di essere in qualche modo responsabili dei comportamenti iraniani.
Il regime di Teheran, secondo Nagl, è in una situazione senza via d'uscita, nonostante le recenti aperture di Turchia e Brasile: «È riuscito nell'impresa di coalizzare tutti contro di sé. Gli israeliani sono giustamente preoccupati, ma ogni volta che Ahmadinejad fa una dichiarazione folle, il generale Petraeus riceve un'altra richiesta di missili Patriot dai paesi arabi del Golfo. Gli iraniani hanno l'intero mondo contro, era sinceramente difficile fare peggio».
Oltre a essere sotto scacco internazionale, gli iraniani sono anche riusciti a crearsi un problema interno, dopo le elezioni presidenziali di cui oggi ricorre il primo anniversario. La situazione, dice Nagl, si è notevolmente complicata con l'inizio della green revolution: «L'opposizione democratica è una grande speranza per tutti e penso che col tempo ce la farà a prevalere, perché è sempre più difficile per le autocrazie e le dittature fronteggiare un popolo informato, colto e ben istruito come quello persiano ». A causa dell'opposizione interna, però, il regime è più debole, più pericoloso, più capace di brutalità senza precedenti.
«Penso che sia nel nostro interesse aiutare l'opposizione iraniana, ma riuscirci è un'impresa molto difficile perché da una parte vogliamo che il regime fermi il programma nucleare e dall'altro desideriamo che le speranze di libertà e democrazia del movimento di piazza siano esaudite. Qualsiasi cosa gli Stati Uniti facciano pubblicamente a favore del cambiamento di regime renderà gli ayatollah meno propensi a trattare per modificare i piani nucleari».
Il ragionamento di Nagl sembra seguire il più classico dei postulati della scuola realista di politica estera, ma il presidente del Center for a New American Security non è così sicuro che la deterrenza possa funzionare con il clero islamico. Una politica di incentivi e di dissuasioni funziona se l'interlocutore è un attore razionale, viceversa è destinata al fallimento: «Il problema è proprio questo - dice Nagl - . Non siamo sicuri che Ahmadineajad agisca in modo razionale. Continua a fare dichiarazioni aggressive e a compiere atti molto stupidi». Di fronte a questa chiusura è possibile, secondo Nagl, un ulteriore inasprimento delle sanzioni internazionali: «Sono certo che Obama non voglia un Iran atomico, farà di tutto per evitarlo». Impossibile prevedere fino a che punto. «L'opzione nucleare non è stata esclusa dal presidente sottolinea Nagl - è sul tavolo ». Gli effetti collaterali di un attacco militare in Iran potrebbero essere devastanti, in particolare se lo strike sarà condotto autonomamente dagli israeliani. Possono farlo, spiega il presidente del Cnas, e Israele ha tutto il diritto di essere preoccupato dell'atteggiamento iraniano. Ma il suggerimento del centro studi obamiano è di evitare l'attacco perché i costi saranno superiori ai benefici: «La via militare per fermare il nucleare è l'ultimissima cosa che Obama vorrà fare, ma gli iraniani stanno sbagliando molto, dovranno rendersene conto, dovranno sapere che rischiano sul serio. Fossi in loro starei attento. Non dormirei sonni tranquilli. Hanno provocato Israele oltre ogni limite». L'analista militare più ascoltato di Washington dà un consiglio specifico alla leadership iraniana: «Non provi a testare l'arma nucleare, il mondo giudicherebbe il test atomico una mossa incredibilmente provocatoria».


Il Foglio - "La piazza resta orfana, solo Neda ossessiona il regime d'Iran".

Leggere questa analisi per valutare l'ottimismo del quotidiano di Confindustria.


Neda

Roma. A un anno dalle elezioni a Teheran le tracce della rivolta sono sbiadite. La rabbia evocata sui volantini resta imbottigliata nelle case. La furia dei bassiji si sfoga nei dormitori delle università. Le strade sono tranquille nessuno corre, nessuno insegue, i manganelli sono tornati a tintinnare a porte chiuse nelle prigioni e nei centri di rieducazione. La polizia presidia piazze tranquille senza poesie, inni e cartelli. Se non fosse per le esecuzioni capitali e per la televisione che ritrasmette i processi ai “terroristi” l’Iran potrebbe sembrare quello d’un tempo. Non c’è stato bisogno nemmeno di arrestarli: a Mir Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi è bastato incassare il prevedibile diniego delle autorità per rinunciare alla loro manifestazione. I cosiddetti leader della piazza l’hanno abbandonata al suo destino. Il presidente americano, Barack Obama, ha onorato il coraggio degli iraniani – “un esempio, un monito per proseguire nei nostri sforzi affinché l’arco della storia si pieghi nella direzione della giustizia” – ma, a dispetto delle parole, la solidarietà della comunità internazionale nei confronti della piazza non si è tradotta in sanzioni draconiane. Ma nonostante la calma apparente, il ritorno allo status quo ante è lontano. La partita con i “terroristi” non è ancora chiusa. Dopo aver inculcato per trent’anni il mito sciita del martirio il regime non riesce a soffocarlo. A quasi un anno dal suo assassinio, il volto di Neda Agha Soltan ispira canzoni e busti in marmo, campeggia da maschere e magliette e si staglia nitida nei cartelli di protesta davanti alle ambasciate iraniane nel mondo. Con l’approssimarsi dell’anniversario delle manifestazioni una fabbrica – prontamente sigillata dalle autorità – ha persino messo in produzione delle statuette con le fattezze sue e degli altri “martiri”. Il sorriso di Neda continua a tormentare il regime. La settimana scorsa Voice of America ha mandato in onda il documentario di Hbo “For Neda”. E’ stato fatto di tutto per disturbarne la ricezione, ma i risultati sono stati modesti, il programma è scaricabile anche da YouTube e chi ha voluto ha potuto ascoltare ancora una volta la storia di Neda raccontata dalla voce calda dell’attrice Shohreh Aghdashloo. Neda ormai è un’icona che appartiene a tutti: ricorda giorni frenetici ed esaltanti in cui pareva che esserci e camminare insieme potesse bastare a cambiare le cose e, al contempo, ore furiose in cui il mondo ha scoperto un altro Iran, ore in cui l’unica difesa contro i cecchini era puntare un telefonino sperando che quello stesso mondo non voltasse lo sguardo. Le immagini del suo viso rigato di sangue sono finite sulle scrivanie dei potenti della terra. "Heartbreaking" (spezzano il cuore), ha commentato Obama mentre i giornali internazionali si innamoravano della ragazza che amava la filosofia, il mare, “Cime Tempestose”, “Siddharta” e “Cent’anni di solitudine”. “Neda – ha raccontato la sorella Hoda – era una persona per bene, che come me voleva sentire il vento tra i capelli, leggere Forough (Farrokhzad, la celebre poetessa), essere libera, tenera la testa alta e dire: sono iraniana”. Una ragazza come milioni di altre ragazze iraniane. E’ un perfetto contrappasso per un regime che ha sempre temuto le donne sentirsi continuamente sfidato dalla memoria di una ragazza di 27 anni. Per annientarla sono scesi in campo a turno i pesi massimi del governo. Hanno detto che Neda non è mai morta che era tutta una simulazione e che era al sicuro in Grecia, poi in Turchia, hanno accusato la Cia, il dottore che l’ha soccorsa e persino il corrispondente della Bbc Jon Leyne. Alla sua famiglia è stato impedito di piangerla nella cerimonia rituale a 40 giorni dalla sua morte, la sua lapide è stata scalfita con colpi d’accetta, i fiori strappati. Eppure più cercano di estirpare la sua memoria più il mito di Neda giganteggia. “Neda vive e voi siete morti”, gridavano i manifestanti il giorno dell’Ashura.


Libero - Carlo Panella: "L'Iran ha ancora alleati forti e fa più paura di prima"



Pessimi presagi a Teheran per oggi, primo anniversario delle elezioni in cui Mohammed Ahmadinejad fu confermato presidente anche grazie a massicci brogli. Ieri Moussavi e Karroubi, i leader della rivolta che ha insanguinato le strade delle città iraniane nell’ultimo anno, hanno invitato l’Onda Verde a rinunciare a manifestare dopo il secco rifiuto delle autorità di autorizzare i cortei. Su Internet, però, i blogger continuano a invitare a scendere in piazza ed è probabile che il loro appello trovi riscontro.Cosìcomeècerto che le autorità reagiranno con ancora maggiore ferocia rispetto ai mesi scorsi. Il generale Ali Jafari, capo dei pasdaran - per chiarire la logica che guida il regime - ha dichiarato che «le proteste antigovernative dell’ultimo anno hanno rappresentato per la Repubblica Islamica una minaccia maggiore del conflitto con l’Iraq tra il 1980 e il 1988». Quindi, chi manifesterà, d’ora in poi verrà trattato con più durezza e determinazione di quanto non sia stato arginato l’esercito di Saddam Hussein in una guerra che fece 500.000 vittime. Il dramma è che oltre ad un regime semprepiù feroce,chehadeciso neimesiscorsi di incriminare imanifestanti quali “Moareb”, “Nemici di Dio”, con certa condanna a morte per il solo fatto di avere manifestato, oltre ad una dirigenza ambigua da parte di Moussavi, Karroubi e Rafsanjani, tutti ampiamente compromessi per 30 anni col regime, l’Onda Verde deve confrontarsi con un altro, disastroso elemento. Tutte le divisioni e lacerazioni che all’inizio sembravano manifestarsi nei vertici religiosi o civili del regime, si sono infatti chiuse. Da gennaio,nonsi senteunavoce fuori dal coro proveniente dal Palazzo (e neanche dai vertici della gerarchia religiosa), da mesi Rafsanjani, il punto di riferimento più potente del movimento, tace, mentre è martellante la militarizzazione del paese, con decine di manifestanti sempre in carcere (molti dei quali sono già stati impiccati). Solo Sayed Hassan Khomeini, nipote di Khomeini ha avuto il coraggio di fare un discorso di opposizione in pubblico il 4 giugno scorso, ma è stato zittito dalle urla dei pasdaran che gli hanno impedito di continuare. Dunque, una repressione feroce, una leadership debole e soprattutto una tattica basata solo su manifestazioni sempre più impossibili e represse hanno messo in un angolo - per ora - il movimento di protesta iraniano. A questo esito ha concorso anche la strategia di Barack Obama, che non solo non ha aiutato l’Onda Verde, ma ha addirittura tagliato i fondi destinati alle attività dell’opposizione iraniana negli Usa e ha puntato tutto sull’esito del “dialogo”. Le trattative però - come avevamo previsto - sono fallite e ieri il responsabile della Difesa Usa Robert Gates ha ammesso che ora Teheran «può avere la bomba atomica entro 2-3 anni». Per di più, le sanzioni dell’Onu appena deliberate non serviranno a molto. Innanzitutto perché mentre George W. Bush nel 2006 era riuscito a farle votare all’unanimità, mentre Obama ha dovuto registrare il voto contrario di due stretti alleati degli Usa come Brasile e Turchia. Poi, perché sono parzialissime e non disturberanno più di tanto un Ahmadinejad che ha già detto di considerarle “spazzatura”. Basti pensare che queste sanzioni escludono la fornitura da parte della Russia dei missili SS300, anche se Vladimir Putin ha detto che «per ora» la Russia ha deciso di sospenderne la consegna all’Iran.

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