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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.06.2010 Le armate pacifiste
L'analisi di Giulio Meotti, il rapporto del Terrorism Center israeliano

Testata:Il Foglio-Informazione Corretta
Autore: Giulio Meotti-Terrorism Center
Titolo: «Le armate pacifiste-I preparativi dell'IHH allo scontro con i soldati dell'IDF a bordo della nave turca Mavi Marmara»

Dal FOGLIO di oggi, 12/06/2010, a pag. IV, l'analisi di Giulio Meotti sulle anime belle che salpano per Gaza.
Segue l'analisi riassuntiva degli avvenimenti correlati al tentativo di forzare il blocco da parte della nave Mavi Marmara, a cura dell' "Intelligence and Information Center" israeliano.
Ecco i testi:
(a destra Corrigan Maguire e Ismail Haniyeh)


Il Foglio - Giulio Meotti: "Le armate pacifiste"

Passata la stagione della guerra in Iraq, Israele e il blocco di Gaza sono diventati la causa principale dei sedicenti pacifisti in tutto il mondo. Era dalla presa di Baghdad che non si assisteva a una simile passione militante. Il blocco navale imposto da Israele al regime islamista di Hamas ha smosso attivisti di mezzo mondo. Si preparano altre navi. E con loro una strana armata di scrittori più o meno noti come il giallista svedese Henning Mankell, vescovi di ogni sorta, molti premi Nobel per la Pace, ex vicesegretari delle Nazioni Unite, parlamentari inglesi che furono sul libro paga di Saddam Hussein, modelle, studenti fuori corso, ex leader della guerriglia irlandese, sessantottini attempati alla ricerca di nuove cause, intellettuali israeliani passati dall’altra parte, medici che lavorano nelle organizzazioni umanitarie internazionali. Si dicono tutti “ispirati da chi soffre”. Come la ragazza americana che ha dato il nome all’ultima imbarcazione irlandese diretta a Gaza, Rachel Corrie, una giovane attivista politica piena di ideali venuta in Israele a lavorare per i palestinesi e che rimase uccisa da un bulldozer israeliano in manovra nella Striscia di Gaza. La “musa della flottiglia pacifista” si chiama Greta Berlin, è una donna d’affari americana di Los Angeles, settantenne pasionaria della causa filopalestinese. Ma è spesso famosa nelle cronache per i commenti della figlia Ava, nota per aver apostrofato contro i “fottuti ebrei”. Il padrino di quest’armata di cuori teneri è un altro americano, l’ex presidente Jimmy Carter, premio Nobel per la Pace e autore del libro di culto della nuova critica pacifista, “Palestine Peace, not Apartheid”, dove Carter ha lanciato nell’opinione pubblica l’analogia fra il modello razzista sudafricano e quello israeliano. Il Washington Post lo ha accusato di “flirtare con qualsiasi dittatore, quantunque odioso”. Come il tiranno Mengistu, come il maresciallo Tito (“uomo che crede nei diritti umani”, disse Carter), come il satrapo nordcoreano Kim Il Sung (“vigoroso e intelligente”). Attivista politica figlia di pacifisti inglesi, modella, attrice, columnist, presentatrice televisiva, ma soprattutto cognata dell’ex premier inglese Tony Blair. Lauren Booth è fra le principali anime del Free Gaza Movement. Già contestatrice contro la guerra in Iraq, poi diva del programma “I’m A Celebrity… Get Me Out of Here”, Lauren è il volto glamour del pacifismo internazionale. Ha veleggiato nel Mediterraneo per tentare di realizzare quello che suo cognato, da inviato del Quartetto per il medio oriente, non è riuscito a fare. Entrare nella Striscia di Gaza e portare solidarietà ad Hamas. Con la signora Booth verso Gaza c’era il vescovo che scandalizzò tanto Oriana Fallaci quando a Roma si fece fotografare accanto a pacifisti travestiti da kamikaze. Si tratta di Hilarion Capucci, 88 anni, barba bianca e volto levantino segnato dalle tante lotte pro Arafat. E’ lo stesso vescovo che nel 1974, poco dopo essere stato nominato massimo rappresentante della chiesa melchita (legata al rito latino) a Gerusalemme, venne catturato dalle truppe israeliane sul ponte di Allenby mentre stava trasportando sulla sua Mercedes armi e bombe per gli attivisti dell’Olp da usare contro i civili israeliani. Da vescovo, Capucci approfittava dell’immunità religioso-diplomatica per aiutare la lotta armata. Fu condannato a dodici anni di carcere. Tre anni dopo intervenne il Papa che ne ottenne la liberazione e l’estradizione a Roma, ma con la promessa che non avrebbe mai più dovuto occuparsi di medio oriente e men che meno di questione palestinese. Fu inutile. Capucci è sempre in fila assieme ai “pacifisti”. C’era anche lui sulla nave per Gaza. Non è il solo vescovo pro Hamas. Il sacerdote protestante Desmond Tutu è la dimostrazione che un premio Nobel per la Pace può arrivare ad avere molto in comune con una banda di assassini antisemiti. L’arcivescovo di Cape Town, che lottò contro l’apartheid in Sud Africa e che si ricorda per il ruolo che ebbe nella riconciliazione nazionale, oggi è una delle voci principali delle flottiglie su Gaza e delle campagne per il boicottaggio dello stato ebraico. Paragonando Israele “a Hitler e all’apartheid”, Tutu gira oggi il mondo per invitare governi e società civili a disinvestire dallo stato ebraico. Sono cristiani come padre Peter Dougherty, t-shirt, barba lunga e volto suadente, e suor Mary Ellen Gundeck, attivisti per la pace americani, che hanno protetto a Gaza la casa di Mohammed Baroud, il terrorista dei Comitati di resistenza popolare. “Siamo amici venuti a proteggere altri amici”, ha detto l’algido pastore. Nel frattempo i predicatori affiliati ad Hamas ingiungevano ai fedeli di “occupare” gli edifici sotto il tiro d’Israele: “Gli scudi umani sono la nostra migliore difesa”. Strani cristiani, equi e solidali, sordi e ciechi ai rapporti diffusi sull’islamizzazione delle terre palestinesi e l’esodo della comunità cristiana. Impossibile nominarli tutti questi “cristiani per la pace” che a Gaza si battono assieme al quarto primo ministro della Malesia, Mahathir Mohamad, ben più noto per aver detto che “gli ebrei governano il mondo per procura, fanno sì che gli altri combattano e muoiano per loro”. Fra le truppe pacifiste ci sono anche intellettuali ebrei di sinistra. Come l’86enne Edith Epstein, orfana di genitori scomparsi nell’Olocausto che da un trentennio si batte per la difesa dei diritti umani nel mondo. Come Jeff Halper, che oggi si dice “totalmente palestinese”, urbanista e antropologo presso l’Università Ben Gurion nel Negev. Come Amira Hass, una storica firma di Haaretz, il quotidiano dell’ipersinistra israeliana, che dal 1993 vive pienamente e da sola con i palestinesi, prima a Gaza, al sud, e poi a Ramallah, nel West Bank. C’era andata per lavorare con un’organizzazione israeliana che rappresenta i lavoratori dei territori occupati contro i datori di lavoro israeliani. Hass è diventata nell’opinione pubblica israeliana la maggiore avvocatessa della causa palestinese, ama Gaza forse perché le sembra un po’ come il villaggio dell’est europeo dei suoi genitori, ex religiosi sopravvissuti all’Olocausto. Si battono per la liberazione e la santificazione di Mordechai Vanunu, che si ricorda nel 1986, a Roma, mentre mostrava il palmo della mano, su cui aveva scritto in inglese: “Sono stato rapito”. Diceva al mondo che gli agenti del Mossad lo stavano portando via dalla stanza di albergo dove era finito in compagnia di una bionda che lo aveva concupito e poi tradito, perché a sua volta lui aveva tradito il suo paese e rivelato al mondo il segreto delle testate nucleari nascoste nel deserto del Negev. Quella mano fece il giro del mondo e si trasformò nel simbolo delle lotte “No nukes”, la versione anni Ottanta del pacifismo universale. Vanunu è stato persino candidato al Nobel per la Pace nel 2000. Tanti i firmatari di appelli, pacifisti di penna che si limitano a sottoscrivere manifesti pro Hamas o contro Israele, ma che non sono mai saliti su una nave per Gaza. Tra loro, il regista britannico di tante lotte neomarxiste come Ken Loach, lo scrittore inglese Tariq Ali, il famoso partigiano francese Raymond Aubrac, la mamma pacifista Cindy Sheehan, e ancora musicisti come l’irlandese Raymond Deane o l’argentino Miguel Angel Estrella, registi come Costa Gavras e Mike Leigh, e ancora il Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel, noto per le denunce contro la dittatura militare argentina. E sempre tra i premi Nobel, l’americana Jody Williams e l’irlandese Betty Williams. Fitta è la compagine irlandese e un ruolo decisivo nei convogli pacifisti lo ha svolto lo Sinn Fein, il maggior movimento indipendentista irlandese, braccio politico dell’Ira, formazione cattolica guidato da Gerry Adams, che ha definito Gaza una “prigione a cielo aperto” e che ha spesso incontrato i capi di Hamas. Vecchia storia quella dei “feniani” antisraeliani. Il fondatore dello Sinn Fein, Arthur Griffith, lo si ricorda spesso per le intemerate antisemite, così come Sean Russell, a capo dell’Ira durante la Seconda guerra mondiale, è stato sepolto con una svastica al petto. Lo Sinn Fein è noto per aver appena chiesto al governo irlandese di espellere l’ambasciatore israeliano Zion Evrony. Sulla nave della discordia diretta a Gaza c’era anche un parlamentare irlande irlandese, Aengus Ó Snodaigh, che si ricorda per aver paragonato Israele alla Germania nazista di Goebbels. C’era anche un altro irlandese, Denis Halliday, che è stato vicesegretario generale dell’Onu nel periodo 1994-98. Fra i premi Nobel pro Hamas, chi non si perde mai una barca diretta a Gaza è un’altra icona pacifista, Corrigan Maguire, viene da una famiglia cattolica di Belfast e decise di dedicarsi alla pace nel suo paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto senza controllo alla guida della quale era un membro della resistenza dell’Esercito repubblicano irlandese colpito poco prima a morte da un soldato inglese. In seguito a quel fatto, la sorella morì suicida, lei fondò con Betty Williams il movimento “Donne per la pace” attraverso il quale si impegnò per mettere fine alle violenze nell’Irlanda del nord. Maguire è nota per aver paragonato l’arsenale atomico d’Israele a una “camera a gas”. Fra gli irlandesi un posto speciale spetta al poeta Tom Paulin, ora a Oxford ma che ha dovuto lasciare la cattedra alla Columbia University per le dichiarazioni rilasciate al settimanale egiziano Al-Ahram, nelle quali affermava a proposito degli “ebrei di Brooklyn”: “Penso che dovrebbero essere accoppati. Sono dei nazisti e dei razzisti. Non provo altro che odio per loro”. Chi si è rifatto una verginità col nuovo pacifismo è il politico britannico che fu sul libro paga di Saddam Hussein, George Galloway, che persino il governo del Cairo ha definito “persona non grata” cacciandolo alla frontiera con Gaza. Va da sé che Hamas lo consideri un “eroe”. E’ lo stesso Galloway che al rais iracheno disse “noi siamo con lei fino alla vittoria, fino a Gerusalemme” e che aveva definito “resistenti” i terroristi iracheni di al Qaida. Fra gli scrittori capofila del pacifismo antisraeliano troviamo l’autore del famoso libro “Il mondo di Sofia”, lo scrittore eroe nazionale norvegese Jostein Gaarder, tradotto in oltre quaranta lingue. Gaarder ha scritto che “nello stato ebraico c’è chi non disdegnerebbe una soluzione finale del problema palestinese”. E ancora: “Da parecchio non riconosciamo lo stato di Israele. Non crediamo all’idea del popolo eletto”. Contro di lui si è scagliata un’altra pacifista Mona Levin, ebrea norvegese laica e contraria alla politica israeliana: “Quello di Gaarder è lo scritto più osceno che abbia incontrato dal Mein Kampf”. Il giornale progressista Haaretz scrisse indignato: “Per Gaarder Israele ha perso il diritto di esistere. Ne profetizza la fine”. Irlandesi e inglesi sono le “Donne per la pace”, la celebre organizzazione pacifista che ha riempito le strade europee fin dagli anni più bui della guerra in Iraq e che adesso ha trovato nell’azienda di cosmetici israeliani Ahava il nuovo nemico ideologico. Da oltre un anno decine di queste donne in bikini, appartenenti all’associazione pacifista Code Pink, hanno manifestato dentro e davanti ai negozi di cosmetici che vendono prodotti Ahava, etichettati “Israele” e realizzati in un piccolo insediamento ebraico. Queste donne si cospargono di fango, con cui scrivono “Ahava is a dirty business” (Ahava è uno sporco affare). La vittima più famosa dell’inquisizione pacifista contro Ahava è stata propria una pacifista dal cuore tenero, l’attrice di “Sex and the City” Kristin Davis. L’organizzazione umanitaria Oxfam, per la quale da anni la Davis è “ambasciatrice globale” e che boicotta e combatte le politiche d’Israele, ha deciso di smettere di usarla come sponsor dopo che l’attrice aveva deciso di fare pubblicità alla stessa azienda israeliana dei cosmetici. Paradossi e tranelli del moralismo pacifista.

Intelligence and Terrorism Information Center -
Passo dopo passo, dal 31 maggio al 10 giugno, tutta la storia:
"I preparativi dell'IHH allo scontro con i soldati dell'IDF a bordo della nave turca Mavi Marmara"
(Si consiglia di stampare il testo come documentazione da conservare)



1. Una prima analisi delle dichiarazioni rese dai passeggeri della nave turca Mavi Marmara all’arrivo sotto traino al porto di Ashdod mostrano che i militanti dell’organizzazione radicale islamica turca IHH1 hanno guidato condotto il confronto violento con l'IDF.
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2. Le dichiarazioni hanno confermato che le violenze contro i soldati israeliani non furono spontanee, ma frutto di una operazione premeditata e organizzata da un nucleo di 40 miliziani IHH (tra i 500 passeggeri). I miliziani, che mostravano chiaramente una gerarchia interna, erano saliti a bordo a Istambul senza subire nessun controllo di sicurezza, a differenza degli altri passeggeri che si erano imbarcati ad Antalya, dopo controlli di sicurezza esaustivi.
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3. La preparazione da parte dei miliziani incluse la distribuzione di ricetrasmittenti appena saliti a bordo, la presa di controllo del ponte superiore, l’organizzazione di una sala operativa per comunicare, e una riunione d’istruzione due ore prima dell’attacco con Bülent Yildirim, capo dello IHH, che era a bordo in posizione di comando. I miliziani IHH indossavano giubbotti di ceramica e maschere antigas, e avevano molte armi improprie preparate con apparecchiature di bordo (coltelli, asce, cavi metallici, tubi di metallo usati come mazze, chiavi inglesi). Vennero anche dotati di taglierini già accatastati sul ponte superiore.
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4. I passeggeri, compresi i miliziani IHH, hanno dichiarato che c’erano stati stretti rapporti tra l'organizzazione e il Primo Ministro turco Tayyip Erdogan e che il governo turco era stato coinvolto nei preparativi per la spedizione. Le dichiarazioni rafforzano la valutazione iniziale che l'obiettivo della spedizione non fosse soltanto portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, ma mirasse alla provocazione e allo scontro violento con Israele.
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5. Secondo le dichiarazioni dei passeggeri, il primo ministro turco Tayyip Erdogan ha stretti contatti con IHH. La flotta partì sapendo che Erdogan era a conoscenza dell’impresa e d’accordo con l’impresa, e intendeva sfruttarla per promuovere la propria immagine in Turchia e mondo arabo-musulmano. I passeggeri hanno dichiarato che prima della partenza il Primo Ministro Erdogan aveva ideato una situazione di potenziale sfida a Israele, da usare per i propri scopi. Le dichiarazioni sono confermate da testi rinvenuti sui computer portatili dei passeggeri.
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6. Questo è stato confermato dalla dichiarazione di un giornalista che era in collegamento con i capi del governo turco e con Bülent Yildirim, capo dello IHH. Di seguito sono riportate le dichiarazioni del giornalista, che era un passeggero del Marmara Mavi:A. La base del potere del primo ministro Erdogan è fatta di attivisti dello IHH. Senza il loro aiuto non sarebbe stato eletto primo ministro. B. Il governo turco era il mandante della spedizione alla Striscia di Gaza e il suo obiettivo era mettere Israele in difficoltà: "I Turchi hanno teso la trappola e ci siete caduti."C. La spedizione è stata organizzata con il sostegno del governo turco e su istruzione del primo ministro Erdogan. Benchè tutti sapessero che non avrebbe mai raggiunto Gaza. D. La vicenda della spedizione ha rafforzato l’immagine di Erdogan in Turchia e ne ha fatto il leader del mondo islamico.E. Ci saranno altre tre spedizioni su Israele che ripeteranno lo stesso schema di azione.F. Il giornalista ha dichiarato di aver visitato la Striscia di Gaza come membro di una delegazione umanitaria e di averne riportato l’impressione era che non c'era né scarsità né mancanza [di beni] nella Striscia di Gaza. Ha aggiunto che " è tutta propaganda."
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7. Negli archivi dei computer confiscati ai passeggeri della Mavi Marmara ci sono molte altre conferme del collegamento tra lo IHH e il governo turco:

A. E’ stata trovata una lettera scritta in turco dal capo dello IHH Bülent Yildirim al presidente turco Abdullah Gul, con la richiesta di ottenere il rilascio dell’attivista IHH Izzat Shahin dalle prigioni israeliane.
[Shahin è un attivista IHH inviato come rappresentante della organizzazione in Giudea e la Samaria. La sua attività principale era il trasferimento di fondi alle ‘iniziative di carità’ di Hamas. Fermato per essere interrogato nell’aprile 2010, fu poi espulso su richiesta dei funzionari turchi.]
B. Secondo un documento, IHH acquistò la Mavi Marmara dalla società turca IDO (File: IHH Basin Agiflamasi Gemi.com) [Nota: La IDO, Istanbul Deniz Otobusleri fu fondata nel 1987 dala città di Istanbul per fornire servizi di trasporto ai residenti di Istanbul. L'azienda, la più grande del suo tipo al mondo, si unì alla City Line Ferry Services nel 1995 ed è oggi il principale fornitore di trasporto su acqua a Istanbul e nel Mar di Marmara.] I PASSEGGERI DEL MAVI MARMARA
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8. I passeggeri della Marmara Mavi hanno detto di erano stati reclutati per la spedizione tramite stampa, televisione e siti internet, che portavano i numeri di telefono e indirizzo e-mail dello IHH. In questo modo sono stati reclutati 500 passeggeri, in massima parte volontari.
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9. Oltre ai normali passeggeri. sul Mavi Marmara c’erano 40 attivisti turchi dello IHH. turco. Questo era uno zoccolo duro di Turchi reclutati appositamente per la missione. Avevano una gerarchia definita dalla zona di provenienza e dagli obbiettivi (ogni zona di provenienza aveva capi e reclutatori diversi). A bordo i passeggeri erano separati dal nocciolo duro degli attivisti dello IHH.
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10. Il nucleo degli attivisti salì a bordo a Istanbul senza controlli di sicurezza, a differenza degli altri passeggeri, imbarcati ad Antalya dopo un esame accurato (Vedi sotto). A bordo ricevettero ricetrasmittenti per comunicare. Alcuni avevano adesivi con la scritta "Servizio di sicurezza [khares amni]. "
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11. I passeggeri volontari erano arrivati ad Antalya il 26 e 27 maggio con mezzi propri. Prima che la nave salpasse ci fu un incontro a Antalya per l’istruzione finale. Molti avevano grandi somme di denaro in tasca (decine di migliaia di euro), apparentemente ricevuti dopo che la nave venne fermata in mare. Si trattava probabilmente di fondi destinati ad Hamas (i passeggeri hanno dichiarato che il denaro era per uso personale).

IL VIAGGIO IN MARE
12. La nave salpò da Istanbul con 29 membri dell'equipaggio e i 40 miliziani dello IHH . Le attrezzature caricate non subirono nessun controllo di sicurezza. La nave salpò per Antalya, dove gli altri passeggeri vennero passato ai raggi X prima dell'imbarco. I passeggeri salirono a bordo in base ad una lista preparata dallo IHH e dalle dogane turche, responsabili dei controlli di sicurezza
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13. Durante il viaggio di un gruppo di attivisti dello IHH sorvegliava la nave. Controllavano i passaggi e non permettevano ai passeggeri di salire sul ponte superiore. Limitavano anche i movimenti dell’equipaggio, che doveva avere il permesso dello IHH per spostarsi. Inoltre fu istituita una sorta di sala operativa per le comunicazioni dello IHH.

I PREPARATVI PER LA RESISTENZA VIOLENTA A IDF
14. Secondo le dichiarazioni dei passeggeri, l'obiettivo principale degli organizzatori della spedizione era " mostrare il vero volto di Israele al mondo" e non portare aiuti alla Striscia di Gaza. Era ovvio per loro che si sarebbero scontrati con Israele prima di raggiungere la Striscia.
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15. Prima del confronto con l'IDF i passeggeri di prepararono alla resistenza violenta sotto la guida del nocciolo duro degli attivisti dello IHH.
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16. I preparativi per il confronto con l'IDF inclusero:
A. Un raduno del nocciolo duro prima di affrontare lo IDF (istruzioni date da Bülent Yildirim).
B. La separazione dei passeggeri volontari dal nocciolo duro e il loro invio ai ponti inferiori (i passeggeri che non partecipavano alla resistenza allo IDF vennero mandati sul ponte inferiore con l’istruzione di rimanerci).
C. Indossare giubbotti antiproiettile e maschere antigas.
D. Armarsi con armi improprie raccolte e fabbricate a bordo. Tra questi coltelli, asce, attrezzi, cavi metallici, mazze metalliche segate dai parapetti della nave con seghe circolari appositamente portate a bordo). Dadi metallici vennero sparsi sul ponte ostacolare il passo.
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17. Gli attvisti IHH vennero istruiti a non permettere che i soldati dell'IDF salissero sulla nave e gettar a mare quelli che ci fossero riusciti. Giunti al momento dell'arrembaggio dello IDF, il capo dello IHH Bülent Yildirim diede ordine agli attivisti del nocciolo duro di formare una catena umana e di utilizzare sedie e mazze per respingere i soldati e gettarli a mare.
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18. Quando le barche della marina israeliana contattarono la nave e gettarono i rampini per salire a bordo, gli attivisti li sganciarono gettandoli giù.

ARMI TROVATE SULLA NAVE
19. Queste le armi che, secondo le dichiarazioni rese, erano state preparate in anticipo:
A. Un centinaio di giubbotti di ceramica con la bandiera turca. Vennero indossati dagli attivisti dello IHH, dai medici e dai corrispondenti (come preparazione ad eventuali atti violenti).
B. Duecento maschere antigas.
C. Un gran numero di fionde
D. Otto asce tolte alle postazioni antincendio della nave.
E. Decine di coltelli, per lo più presi dalla cucina e dalle sei caffetterie a bordo. C’era anche un coltello a serramanico.
F. Cavi d’ acciaio e barre di metallo segate dai parapetti della nave.
G. Mazze di legno.
H. Martelli e altri utensili.
I. Dadi metallici sparsi sul ponte superiore per ostacolare i movimenti dei soldati.
J. Rulli per verniciare cui erano state tolte le spugne, per usarle come mazze.

CHI ERANO I MORTI
20. Otto dei nove morti furono identificati - durante l'interrogatorio dei passeggeri - come attivisti e volontari dello IHH. Uno di loro era un fotografo dello IHH (la nona persona non è stata identificata).

APPENDICE - LA DICHIARAZIONE DI UN UFFICIALE A BORDO DELLA MAVI MARMARA
1. I punti principali della dichiarazione di un ufficiale della Mavi Marmara:
A. Il carico caricato a Istanbul consisteva di medicine e di prodotti di prima necessità (secondo le scritte sugli imballaggi).
B. La nave salpò con 29 membri dell'equipaggio e 40 attvisti dello IHH. Il capo del gruppo era Bülent Yildirim. Un certo Rajip era responsabile per la logistica. C'era un attivista di nome Tonj
C. Gli altri passeggeri si imbarcarono ad Antalya in base all’elenco nelle mani dello IHH e delle dogane turche. Da Antalya salparono verso Cipro, dove si aggiunsero le altre navi.
D. Prima che i passeggeri salissero a bordo, il capitano chiese all’equipaggio di assicurarsi che non ci fossero armi o qualche cosa che potesse essere considerata un'arma.
E. Quando gli attivisti dello IHH salirono a bordo ricevettero delle ricetrasmittenti per poter assumere il controllo della nave. Guardie vennero poste nei corridoi per impedire ai passeggeri di raggiungere il ponte superiore. I movimenti dell'equipaggio vennero limitati e richiesto un permesso dello IHH per spostarsi.
F. Le istruzioni venivano impartite ai passeggeri dagli attivisti dello IHH tramite la TV a circuito chiuso della nave. In aggiunta era stata preparata una sorta di sala operativa e di comunicazione per i corrispondenti dello IHH.
G. Gli attivisti dello IHH hanno usato seghe circolari per segare il parapetto della nave in barre metalliche. Avevano anche barre di acciaio tolte alle scialuppe di salvataggio. Sentendo il rumore delle seghe, il capitano inviò due marinai a scoprirne l’origine. Costoro videro che gli attivisti dello IHH avevano portato seghe sul ponte contro gli ordini del capitano, e le utilizzavano per tagliare i parapetti della nave in sbarre metalliche. Trovarono tre seghe e le confiscarono.
H. In retrospettiva è ovvio che l'incidente era stato organizzato in anticipo. L'ufficiale affermò di non aver capito che cosa stava succedendo durante il viaggio perché si teneva a distanza dai passeggeri.

1. Per ulteriori informazioni vedere il bollettino del 27 maggio 2010, "IHH, che svolge un ruolo centrale nell'organizzare la spedizione alla Striscia di Gaza, è una organizzazione turca di aiuti umanitari di orientamento radicale islamico anti-occidentale. Oltre a legittime attività filantropiche sostiene reti islamiche radicali, compreso Hamas, e - almeno in passato - anche parti del jihad globale".

(Traduzione a cura di Laura Camis de Fonseca)

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