Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/06/2010, a pag. 13, l'articolo, accurato, di Aldo Baquis dal titolo " Netanyahu dice no all'inchiesta dell'Onu ". Da REPUBBLICA, a pag. 9, l'articolo di Pietro Del Re dal titolo " Reportage da Gaza senza cibo né medicine ", preceduto dal nostro commento.
Ecco gli articoli:
La STAMPA - Aldo Baquis : " Netanyahu dice no all'inchiesta dell'Onu "
Per il video con le dichiarazioni di Netanyahu alla Knesset cliccare sul link sottostante (traduzione a cura di Danielle Guez):
http://www.youtube.com/watch?v=TLH0fRRJ1yo

Netanyahu
L’Onu non ha voce in capitolo per investigare il blitz israeliano sulla nave Marmara, conclusosi lunedì scorso con la morte di nove passeggeri turchi: lo hanno ribadito i dirigenti di Israele, respingendo nella sostanza il progetto del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon di affidare all’ex premier neozelandese Geoffrey Palmer l’incarico di far luce sul drammatico episodio, assieme con esponenti di Israele, Turchia e Usa.
Al Consiglio di difesa del suo governo il premier Benjamin Netanyahu ha proposto un’altra formula, forse accettabile per gli Stati Uniti. Si tratta della formazione di una commissione di verifica israeliana con la partecipazione di osservatori stranieri di alto rango. In ogni caso, hanno chiarito Netanyahu ed il ministro della Difesa Ehud Barak, «non sarà permesso che i nostri militari vengano interrogati».
Contatti diplomatici serrati erano in corso ieri fra Gerusalemme e Washington per verificare se questa proposta, unita all’annuncio di un allentamento del blocco di Gaza (per quanto riguarda l’introduzione di merci destinate alla popolazione palestinese) possa essere approvata dal presidente Barack Obama.
«Noi non abbiamo niente da nascondere» ha assicurato il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, secondo il quale al contrario proprio la Turchia dovrebbe spiegare la presenza a bordo della nave Marmara di alcuni elementi che l’intelligence di Israele «collega a terroristi» di Hamas, della Jihad islamica, di Al Qaeda e dei separatisti ceceni. «Sono saliti a bordo in un porto diverso rispetto agli altri passeggeri, non sono stati ispezionati» ha rincarato Netanyahu, lasciando aperta la possibilità teorica di collusioni fra i servizi segreti di Ankara e gli organizzatori islamici della missione presentata come umanitaria. E sulla stampa ci sono indiscrezioni secondo le quali sulla Marmara c’erano apparecchi di trasmissione «degni di un servizio di intelligence di un Paese importante».
Questi toni polemici non hanno peraltro avuto alcun effetto sui dirigenti turchi che hanno continuato a martellare Israele. «Istanbul e Gerusalemme hanno il medesimo destino» ha esclamato il premier Recep Tayyp Erdogan. «Così pure Ankara e Gaza. Noi non ci fermeremo fino a quando il blocco di Gaza non sarà tolto, fino a quando non cesseranno i massacri e il terrorismo di Stato in Medio Oriente non sarà considerato come tale». Nel nome di questa nuova fratellanza la Turchia ha spalancato le porte a un dirigente di Hamas, Mohammad Nazal, mentre il vicepremier israeliano Dan Meridor è stato costretto a rinunciare ad una visita ad Istanbul perché nella metropoli sul Bosforo - gli hanno detto i servizi segreti israeliani - la sua vita sarebbe stata in pericolo.
Ieri intanto Israele ha espulso le 19 persone (otto membri dell’equipaggio di diverse nazionalità e undici passeggeri pacifisti malesi e irlandesi, tra i quali la premio Nobel per la Pace nordirlandese Mairead Maguire) della Rachel Corrie, la nave diretta a Gaza con aiuti umanitari e intercettata nella giornata di sabato. La partenza di Mairead Maguire, celebre avvocato di 66 anni, simpatizzante per la causa palestinese, e degli altriattivisti irlandesi è stata ritardata per il loro rifiuto iniziale di firmare il foglio di via sottopostogli dalle autorità israeliane, in cui affermano di rinunciare a ricorrere presso la giustizia israeliana contro l’espulsione. Gli attivisti malesi hanno già promesso che riproveranno con una nuova missione. E altre navi della «Freedom Flotilla» si stanno organizzando per rompere il blocco di Gaza.
La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " Reportage da Gaza senza cibo né medicine"
Un altro reportage ripugnante da Gaza. Questo sarebbe il giornalismo di REPUBBLICA, calunnie e menzogne su Israele e sulla sua presunta responsabilità della situazione a Gaza.
Se la gente a Gaza è povera, deve 'ringraziare' l'amministrazione corrotta di Hamas che, oltre ad aver intascato nell'indifferenza generale i 4 miliardi e mezzo di $ stanziati dalla comunità internazionale per la ricostruzione di Gaza invece di distribuirli, ora ha anche alzato le tasse.
Per impietosire il lettore, è inclusa la storia di un bambino tetraplegico, il quale non può essere curato adeguatamente a Gaza. Avrebbe bisogno di andare all'estero " «Sono due anni e mezzo che chiedo all´esercito israeliano un visto per uscire da Gaza, ma da allora ho ricevuto soltanto rifiuti», dice suo padre Ramzi,(...) L´esercito di Israele ha tuttavia rilasciato un visto alla moglie di Ramzi, che le permetterebbe di accompagnare il figlio all´estero, in una struttura sanitaria adeguata.".
Israele, contrariamente a quanto sostiene il palestinese di Gaza e stando a quanto scrive Del Re, ha concesso il visto di uscita alla madre e al bambino tetraplegico. L'unica cosa che impedisce il suo trasferimento in un ospedale è il pregiudizio antisemita del padre : " Perché non ce la mando? Perché c´è il rischio che dopo il valico di Erez mia moglie venga stuprata da una banda di ebrei. Ma potrebbe anche finire in un carcere dei servizi segreti israeliani, dove le farebbero il lavaggio del cervello ". Un'affermazione grottesca che dimostra quanta presa abbia la propaganda antisemita di Hamas. Del Re si guarda bene dal commentare. Chi tace acconsente, ne deduciamo che condivide le dichiarazioni del palestinese.
Ecco il 'reportage':

Gaza 'affamata'?
GAZA CITY - È un mare torbido e maleodorante quello da cui doveva arrivare la manna umanitaria fatta di medicinali, cemento, quaderni, giocattoli e tutti quei beni che nella Striscia scarseggiano dal 2006, da quando cioè Israele ha cominciato a soffocarla lentamente, chiudendone i valichi terrestri e isolandola con un impenetrabile blocco navale. «Nutrivamo tutti molte speranze nella nave turca, perché sapevamo che era piena di attivisti e che questi non si sarebbero arresi facilmente», dice Aziz, il quale prima dell´embargo gestiva una fabbrica tessile in cui lavoravano cinquanta persone, ma che un paio d´anni fa è stato costretto a chiudere per mancanza di materia prima. Aziz sperava che l´arrivo della Flottiglia Free Gaza avrebbe concentrato l´attenzione dei grandi network internazionali sulle sofferenze della sua gente. «Da questo punto di vista è andata benissimo: mai come in questi giorni si è parlato delle conseguenze del blocco israeliano. E questo lo dobbiamo ai martiri della "Mavi Marmara"».
Sulle case grigiastre che costeggiano la spiaggia, sventola qualche bandiera turca. L´aria è impestata dal fumo delle bancarelle dove vengono arrostiste pannocchie ancora acerbe. Dopo il cruento arrembaggio di lunedì scorso, quando due giorni fa s´è stagliata all´orizzonte la sagoma della "Raquel Corrie", gli abitanti di Gaza l´hanno appena degnata di uno sguardo. Sapevano che gli israeliani avrebbero intercettato anche il cargo irlandese. Dice Aziz: «Sarebbe stato umiliante accettare quei doni, ma siamo ridotti così male che non avremmo potuto rifiutarli».
Nel porticciolo dove dovevano attraccare le imbarcazioni dei pacifisti molti capannoni sono chiusi. Padre di dieci figli, Soher Bakir ci spiega che da quando c´è il blocco navale, ai pescatori non è consentito allontanarsi più di due miglia dalla costa, perciò oltre la metà della flotta di pescherecci è ormai in disarmo. «Il nostro mare non è più pescoso come una volta, quindi, per sfamare la mia famiglia, la notte sono costretto ad avventurarmi oltre il consentito, rischiando ogni volta la vita. Quando superi di poche decine di metri il limite stabilito, la marina israeliana ti spara addosso», dice Bakir che, suo malgrado, ha cominciato ad acquistare salmone surgelato importato a Gaza dai grossisti di Tel Aviv.
Ex combattente delle milizie Azzadine el Qassam, il braccio armato di Hamas, Hamed Hassan è oggi uno dei leader dell´organizzazione estremista islamica. «Inizialmente i vertici di Hamas erano contrari all´arrivo della flotta umanitaria, perché sostenevano che sarebbe stato come chiedere l´elemosina. Poi, una volta capito il risvolto politico della faccenda, hanno cambiato parere. Ma attenzione: ricevere gli aiuti è anche un´ammissione della nostra incapacità a gestire l´embargo di Israele». Quando gli chiediamo se è per questo motivo che Hamas non lascia entrare a Gaza il carico della "Mavi Marmara" che gli israeliani vorrebbero adesso consegnare ai loro destinatari originari, così risponde Hassan: «Non vogliamo prestarci al gioco di Israele che con una mano accarezza i nostri figli mentre con l´altra cerca di sgozzarti. Netanyahu e i suoi ministri vorrebbero farsi passare per benefattori. Ma si sbagliano se credono di farci la carità».
Emblematica è la storia del piccolo e sorridente Taisir al Burai, cinque anni, da quattro tetraplegico per via di un farmaco sbagliato. Secondo i medici palestinesi e stranieri che l´hanno visitato, la sola opportunità per farlo guarire, o quanto meno migliorare, consiste nel portarlo in Israele o in Germania o addirittura in Giordania, comunque lontano dai decrepiti ospedali di Gaza. «Sono due anni e mezzo che chiedo all´esercito israeliano un visto per uscire da Gaza, ma da allora ho ricevuto soltanto rifiuti», dice suo padre Ramzi, secondo il quale lo Stato ebraico discrimina i più poveri, in particolare se musulmani, come appunto gli abitanti della Striscia. L´esercito di Israele ha tuttavia rilasciato un visto alla moglie di Ramzi, che le permetterebbe di accompagnare il figlio all´estero, in una struttura sanitaria adeguata. «Perché non ce la mando? Perché c´è il rischio che dopo il valico di Erez mia moglie venga stuprata da una banda di ebrei. Ma potrebbe anche finire in un carcere dei servizi segreti israeliani, dove le farebbero il lavaggio del cervello».
Taisir necessita di farmaci che a Gaza difettano. In mancanza di meglio, il bimbo assume una molecola a cui ormai è assuefatto. Ma è proprio vero che nella Striscia scarseggiano le medicine? «Sì, mancano soprattutto quelli per le malattie croniche, che si tratti di anti-diabetici o di anti-ipertensivi. Abbiamo solo quelli che arrivano dall´Egitto attraverso i tunnel», spiega la farmacista Ranya al Daouk. «E´ perciò vitale che i farmaci portati dalle imbarcazioni umanitarie arrivino al più presto, anche se come ho letto da qualche parte sono in parte scaduti e anche se una volta giunti nei nostri ospedali vengono distribuiti non in base al bisogno del paziente ma piuttosto all´identità del malato».
Come i farmaci, anche l´80 per cento dei beni di consumo, dalla farina alle motociclette, entra a Gaza dai tunnel, che seconda una stima della polizia egiziana sarebbero circa 1.600. Secondo Mohammed Hassouna, proprietario dell´omonimo supermercato, questo significa che otto commercianti su dieci sono dediti al contrabbando. «Quanto agli altri sono morti di fame che vivono, o meglio sopravvivono, sia con le tessere alimentari dell´Onu sia di debiti», dice Mohammed. Il quale, per avvalorare la sua tesi, tira fuori da un cassetto un quaderno spesso come un elenco telefonico su cui da quattro anni segna i nomi di tutti i suoi debitori.
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