L' arrivo tranquillo a Ashdod della nave irlandese è raccontato su tutti i giornali, lo diamo per conosciuto, anche perchè è andato come si prevedeva. L'esempio della "Marmara" ha fatto ragionare quelli della "Rachel Corrie".
Preferiamo dare spazio ad alcune brevi, indicative del doppio standard che i nostri giornali adottano. Notizie che se arrivassero da Gerusalemme avrebbero spazi enormi, se si riferiscono, per esempio, all'Egitto, meritano poche righe (vedi sotto dalla STAMPA a pag.14). Oppure la ripugnante dichiarazione della decana dei giornalisti di Washington sul CORRIERE della SERA, a pag.13, non ha suscitato nemmento un commento, poche righe,notizia di agenzia. Sul fatto poi che le autopsie dei terroristi uccisi sulla nave turca abbiano rivelato colpi sparati a bruciapelo, ci chiediamo che notizia sia mai questa, essendo state le distanze minime tra aggressori e aggrediti, è più che logico quanto è avvenuto. Su questo fatto riprendiamo la breve della STAMPA a pag. 14, insieme al diffuso pezzo di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA a pag.13.
Ecco i pezzi:
La Stampa- " Il Guardian, nuova ricostruzione dell'autopsia, gli attivisti della Marmara uccisi con colpi a bruciapelo"

Quasi tutte le nove vittime del blitz israeliano sulla nave turca Mavi Marmara sono state raggiunte da più proiettili, il più ravvicinato da venti centimetri. Lo hanno rivelato le autopsie condotte a Istanbul dai medici legali turchi, come riferisce il quotidiano britannico «Guardian», che smentirebbero la versione israeliana dei fatti. Le vittime sono state raggiunte complessivamente da 30 colpi di arma da fuoco. Solo una è stata raggiunta da un solo colpo, sulla fronte. Le altre sono state ferite da più proiettili: una da cinque, altre due da quattro. Cinque delle vittime sono state colpite sia di fronte che di schiena o solo di schiena. «Il colpo più ravvicinato è stato da 20 centimetri», ha detto il presidente del Consiglio turco della medicina forense, Haluk Ince. Fulkan Dogan, 19 anni, doppia cittadinanza turca e statunitense, «è stato raggiunto da cinque colpi sparati da meno di 45 centimetri: uno al lato destro del naso, dietro la testa, alla schiena e alla gamba sinistra». Sempre secondo il medico legale turco, una sola vittima riportava soltanto una ferita, sparata a distanza contro la fronte. Tutti gli altri riportavano più di una ferita e le pallottole erano intatte, il che dimostrerebbe che hanno colpito le vittime direttamente e non di rimbalzo. Tutti i proiettili, salvo uno, sono da 9 millimetri.
Corriere della Sera-Davide Frattini: " L'autopsia sui pacifisti uccisi ' colpito da spari a bruciapelo' "
Il più giovane, Furkan Dogan, 19 anni, è stato colpito cinque volte: in faccia alla destra del naso, alla nuca, alla schiena, alla gamba sinistra, alla caviglia sinistra. Il più anziano, Ibrahim Bilgen, 60 anni, è stato colpito quattro volte: al petto, alla schiena, all’anca destra, alla tempia destra. Le autopsie sui corpi dei nove attivisti uccisi sulla Mavi Marmara — racconta il quotidiano britannico Guardian — rivelano l’intensità della forza usata dai soldati israeliani e quanto gli scontri siano stati ravvicinati. «I proiettili 9 mm sono stati sparati da molto vicino — spiega Haluk Ince, presidente del consiglio turco di medicina forense —, fino a venti centimetri. In due casi (Cegdet Kiliclar, 38 anni, e Cengiz Songur, 47 ndr) abbiamo riscontrato una solo ferita (nel mezzo della fronte, un colpo sparato da lontano e l’altro al collo), tutti gli altri avevano numerosi fori d’ingresso».
Scontro Un momento del tragico scontro sulla Mavi Marmara
Cetin Topcuoglu, 54 anni, ex campione di taekwondo che lavorava come allenatore per la nazionale turca, è stato colpito tre volte: alla nuca, all’anca e allo stomaco. Cengiz Alquyz, 42 anni, quattro volte: alla nuca, al volto, alla schiena, alla gamba sinistra. Anche Sahri Yaldiz, quattro colpi: al petto, alla gamba sinistra, due volte alla gamba destra. Aliheyder Bengi, 39 anni: al petto, allo stomaco, al braccio destro, alla gamba destra, due volte alla mano sinistra. Necdet Yildirim, 32 anni: spalla destra e schiena.
Il dottor Ince dice di aver estratto una pallottola che non aveva mai visto: «Era come un contenitore di diversi tipi di proiettili. Tutti i colpi erano intatti, questo vuol dire che non hanno toccato un altro punto prima di entrare nel corpo, non sono arrivati di rimbalzo, altrimenti sarebbero stati deformati». Michael Oren, ambasciatore israeliano a Washington, ha scritto in un editoriale pubblicato dal New York Times, che sulla nave sono stati recuperati caricatori di un calibro non utilizzato dalla Shayetet 13, l’unità speciale israeliana. Gli attivisti hanno sempre sostenuto di essere partiti disarmati. Il sergente S. è stato il quindicesimo e ultimo commando a scendere, lungo la fune attaccata all’elicottero Black Hawk, sul ponte della Mavi Marmara. «Non mi aspettavo di ritrovarmi su un campo di battaglia — racconta al Jerusalem Post, quotidiano israeliano - circondato da mercenari assassini». Vede tre dei suoi ufficiali feriti a terra e decide di spingerli contro il muro per organizzare un cordone di protezione. «Ci sparavano con due pistole sottratte ai nostri compagni— continua —. Le nostre vite erano in pericolo, ho estratto la Glock e ne ho uccisi sei. Non avevo altra scelta».
Adesso l’esercito israeliano spiega che il ponte superiore era controllato da un gruppo addestrato di estremisti («trovati senza documenti e con le tasche piene di dollari»), divisi in squadre da venti. «Indossavano maschere antigas e giubbotti antiproiettile, erano armati di bastoni, barre di metallo, coltelli, granate assordanti». Eppure nel pianificare l’arrembaggio, l’intelligence aveva preventivato solo la resistenza passiva. «Ci aspettavamo gente seduta per terra, incatenata con le braccia», ha detto una fonte militare al New York Times. Dalle 5.08 di lunedì, quando imilitari sono riusciti a prendere il controllo della nave dopo un’ora, il ponte insanguinato della Mavi Marmara racconta un’altra storia.
Corriere della Sera- "Gaffe della reporter Usa, gli ebrei tornino a casa "

Helen Thomas
Da 60 anni segue gli eventi della Casa Bianca e tutti la conoscono per le domande franche, se non brutali. Ma stavolta, un suo commento ha sollevato forti polemiche. «Gli ebrei dovrebbero andarsene dalla Palestina» e «tornare a casa loro in Germania, in Polonia, in America», ha detto la giornalista Helen Thomas, 89 anni (90 ad agosto), in un’intervista televisiva rilasciata durante la celebrazione alla Casa Bianca della Giornata della Eredità Ebraica il 27 maggio. «Ricordate, questa gente è sotto occupazione ed è la loro terra», ha aggiunto la giornalista nel video, circolato su YouTube. L’ha scoperto il rabbino David Nesenoff, e l’ha rilanciato sul suo sito web RabbiLive.com scatenando repliche indignate. «Helen Thomas dovrebbe vergognarsi— ha commentato Elan Steinberg, direttore del World Jewish Congress —. È certo vecchia abbastanza per ricordare l'Olocausto e la Seconda Guerra Mondiale. Deve scusarsi con tutte le vittime dei nazisti». La Thomas, nata in America da genitori libanesi, si è detta rammaricata sul suo sito web, spiegando che quel commento «non riflette la mia convinzione che la pace arriverà in Medio Oriente solo quando tutte le parti riconosceranno la necessità della tolleranza e del rispetto reciproco». Ma le sue scuse ad alcuni non bastano. L’ex portavoce di George W. Bush chiede che la Hearst Corporation, per cui la giornalista lavora, la licenzi. Il giorno dopo il blitz israeliano contro la «Flottiglia della libertà», la Thomas aveva chiesto al portavoce di Obama Robert Gibbs come possa l’amministrazione americana stare a guardare mentre Gaza resta sotto embargo.
La Stampa- " Sentenza in Egitto: via la nazionalità a chi e sposato a un israeliano"

L’Alta Corte egiziana ha confermato la sentenza che priva della nazionalità quegli egiziani che risultassero sposati con delle israeliane, così come gli eventuali figli nati dal matrimonio. Sia il Ministero egiziano degli Interni che quello degli Esteri avevano presentato appello contro la sentenza di primo grado, osservando come una decisione in merito dovesse piuttosto spettare al Parlamento.
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