Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Siamo con Israele, con alcuni però Le opinioni del Foglio, Maurizio Belpietro, Bernard-Henri Lévy, Amos Oz
Testata:Il Foglio-Libero-Corriere della Sera-La repubblica Autore: Maurizio Belpietro-Bernard-Henri Lévy-Amos Oz Titolo: «Barak, cosa ci combini ?-Amici d'Israele ma l'errore è stato grave- La paura di essere solo al mondo, è questo lo sbaglio del mio amico Israele- I limiti delle armi»
Pubblichiamo alcune opinioni favorevoli, con alcuni però.. L'editoriale del FOGLIO, Maurizio Belpietro e Carlo Panella su LIBERO, Amos Oz su REPUBBLICA, Bernard-Henri Lévy sul CORRIERE della SERA
Il Foglio- " Barak, cosa ci combini ? "
Ehud Barak
Una masnada di hooligan “umanitari” eccitati dal proprio antisemitismo più o meno consapevole. Qualche araldo di Bin Laden, parecchi squadristi turchi filo Hamas. Qualche pacifista con pugnale e spranga in mano, qualche crocierista delle disgrazie altrui con il frisson eroico-impegnato del turista di guerra mediorientale che non vede l’ora di tornare per raccontare agli amici. E anche un numero non marginale di utili idioti. Il campionario dei passeggeri a bordo della nave Mavi Marmara ci provoca il peggiore dei mal di mare possibili – ma anche sulla terraferma la nausea non scherza: ci sono ceffi ignobili che vanno a urlare “assassini, assassini” al Ghetto ebraico di Roma. Contro i tentativi di forzare il blocco navale attorno a Hamas, il diritto d’Israele all’autodifesa è sacrosanto. Eppure è chiaro che l’esercito che è stato di Ben Gurion e di Moshe Dayan, ma anche del ministro della Difesa attuale, Ehud Barak, un esercito che ha stupito il mondo con le operazioni militari più audaci e meglio pianificate della storia – la liberazione degli ostaggi a Entebbe, la conquista della nave “Karin A” carica di armi in soli otto minuti, il raid aereo sulla centrale nucleare di Saddam Hussein – questa volta ha tradito i propri standard d’eccellenza ed è rimasto impanicato in una tragedia con il suo corteo di conseguenze umanamente dolorose. Il blitz è stato pianificato con approssimazione ed è proseguito peggio. Ogni soldato calato sul ponte è stato circondato dai picchiatori, isolato dai propri compagni e aggredito selvaggiamente. “Non ci aspettavamo questo tipo di resistenza”, ammettono ora gli incursori di marina con il braccio al collo. Un paio di loro si sono messi in salvo saltando in acqua, gli altri, in pericolo di vita, sono stati costretti a fare fuoco. Chi ora sostiene che Israele ha fatto bene ad abbordare quella nave in quel modo e in quelle circostanze non sa o finge di non sapere che è proprio Israele a uscire danneggiata di più dalla vicenda. I pugnalatori pacifisti hanno ottenuto più pubblicità di quanta potessero mai sperare di ottenere e già annunciano nuove spedizioni. Il governo di Ankara ha finalmente la scusa per bruciare i ponti con Gerusalemme, come da tempo desiderava. E a Teheran gli ayatollah avranno accolto la notizia brindando a champagne. Israele deve evitare di cascare nelle trappole del nemico, e la maggioranza dei commentatori responsabili nel mondo ha ribadito che il diritto israeliano di difendersi è assoluto, ma un paese come quello non ha invece il diritto di commettere errori che in troppi sono pronti a ritorcergli contro
Libero-Maurizio Belpietro: " Amici d'Israele ma l'errore è stato grave "
Maurizio Belpietro
Alcuni lettori mi chiedono che ne penso di quel che è accaduto in Israele, o meglio di ciò è successo quando i corpi speciali di Gerusalemme sono intervenuti in acque internazionali per fermare una delle navi che cercava di forzare il blocco intorno a Gaza. In questi giorni ho infatti evitato di commentare la strage a bordo della Navi Marmara, lasciando che a farlo fossero Carlo Panella e Angelo Pezzana, da sempre attenti a ciò che accade in Medioriente. Se ho taciuto non l’ho fatto certamente perché non avessi opinioni precise in merito né perché mi imbarazzasse scrivere di un fatto grave che ha coinvolto uno dei Paesi più impegnati nella lotta contro il terrorismo islamico. Come la penso a proposito di Israele credo sia noto: sto dalla parte del piccolo Stato che continua a esistere nonostante da oltre sessant’anni i Paesi confinanti cerchino di cancellarlo dalla faccia della terra. La mia simpatia risale a una ventina d’anni fa, precisamente ai tempi della prima guerra del Golfo, quando Saddam Hussein, per resistere all’offensiva mondiale che lo voleva cacciare dal Kuwait, si mise a tirare missili su Tel Aviv, costringendo la popolazione della città a rintanarsi nei bunker e a dotarsi di maschere antigas nel timore di un attacco chimico. All’epoca lavoravo per l’Europeo, che mi aveva mandato in Israele al seguito di una piccola pattuglia di ebrei e politici italiani solidali con Gerusalemme. Ricordo che della comitiva, oltre ad alcuni rabbini, facevano parte anche il sindaco di Milano, Paolo Pillitteri, e un oscuro funzionario del Psi lombardo, Mario Chiesa, che di lì a un anno sarebbe diventato tristemente noto, ma non per le questioni mediorientali quanto per quelle più banali delle mazzette. Si era in piena Intifada e i colleghi di stanza per seguirla stavano quasi tutti all’American colony, quartier generale dell’Anp, al cui verbo si abbeveravano. Forse per questo non si accorsero di quel checombinava Hamas, già allora in attività. Né dei rapimenti e delle violenze che i palestinesi più radicali infliggevano ai loro fratelli. Chi non smetteva di lavorare per gli israeliani era a rischio di passare per traditore e così anche chi non si rassegnava a tirar giù la serranda della città vecchia. Perfino le donne che si prostituivano per raccattare qualche soldo e sfamare i propri figli erano in pericolo. Di fronte a tanto fanatismo, non potevo che stare dalla parte di gente che da decenni difendeva con le unghie e i denti la propria terra, contro gli attacchi degli eserciti confinanti e contro il terrorismo. Tutto ciò premesso, non posso applaudire l’operazione delle teste di cuoio di Gerusalemme. I soldati, è vero, hanno fatto il loro dovere. Ma l’errore è aver usato i militari in un’operazione che militare non era. Fermare le navi che intendevano forzare il blocco era assolutamente legittimo, ma era altrettanto legittimo immaginare che i fermati avrebbero reagito. E visto che negli anni scorsi le truppe avevano potuto agire forti dell’ef - fetto sorpresa, questa volta i commandos non avrebbero potuto far conto neppure su quello. Insomma: analizzata nei dettagli, era assai evidente che l’incursione rischiava d’es - sereunatrappola. E così è stato. In questo concordo pienamente con Carlo Panella, che su Libero è stato il primo a parlare dell’errore di valutazione. Probabilmente i cosiddetti pacifisti cercavano un incidente e l’inci - dente l’hanno avuto: e che incidente. Conta niente parlare della vicinanza al terrorismo degli attivisti che avevano promosso la missione: agli occhi del mondo Israele ha sparato su civili inermi e questo segnerà a lungo i rapporti tra il governo di Bibi Netanyahu e i suoi alleati. Ed è proprio qui il punto che voglio evidenziare. Gerusalemme ha sbagliato ed ha condotto in porto un’ope - razione disastrosa e anche se siamo amici non possiamo nascondere questa verità. Ma attenti: far venir meno la solidarietà e l’aiuto a Israele rischia di essere molto pericoloso. Il Paese ebraico è stato ed è un baluardo contro l’offensiva del terrore e ha contrastato il radicalismo dell’Iran, della Siria e di tanti altri. Siamo sicuri che condannandolo e isolandolo non rischiamo di fare un danno grave, non a Israele, ma a noi stessi? A chi giova che il guardiano dell’area mediorientale sia messo in difficoltà? Ai fondamentalisti e a chi non vuole la pace. E allora, pur non tacendo della trappola in cui sono caduti i vertici militari e quelli politici, forse sarà il caso di riflettere bene sull’indignazione che è montata e mira alla condanna del governo Netanyahu, ma soprattutto dell’intero Stato. Potrebbe essere pericoloso e causare molte vittime. Molte di più di quelle provocate da un’ope - razione militare sbagliata.
Corriere della Sera-Bernard-Henri Lèvy: " La paura di essere solo al mondo, è questo lo sbaglio del mio amico Israele"
Bernard-Henri Lévy
«Ebrei contro Israele», titola il quotidiano francese Libération a proposito del convegno che ho aperto a Tel Aviv e che, sotto l'egida congiunta del giornale Haaretz e dell'ambasciata di Francia in Israele, intende riflettere sull’ideale democratico comune ai nostri due Paesi; quel titolo riguarda anche l'appello di J-Call, da me firmato insieme con altri, nel quale noi affermiamo come la solidarietà di principio e, nel suo principio, incondizionata, con lo Stato degli ebrei non possa esistere senza libertà di parola di fronte a eventuali errori dell'uno o l'altro dei suoi governanti.
Il titolo di Libération è assurdo, certo. Totalmente e malauguratamente assurdo. Infatti, non è «contro», ma «per» Israele che si sono mobilitati i firmatari dell'appello. Come Alain Finkielkraut, infaticabile avversario di chi biasima Israele. Come Elie Barnavi, uno dei più brillanti ambasciatori in Europa del poco sospetto Ariel Sharon; come Avi Primor, uno dei più illustri pionieri della molto sionista Agenzia ebraica. Come il sottoscritto, vostro servitore, che nell’estate del 2007, fin dal primo giorno della guerra voluta e scatenata dagli «iranosauri» di Hezbollah, tenne a condividere, sulla linea del fronte nord, la vita quotidiana dei cittadini israeliani bombardati.
I firmatari dell'appello sostengono due semplici cose. Che l’«appoggio incondizionato» senza il dialogo non è democrazia né, ancor meno, sionismo. Inoltre, che esistono situazioni in cui, per riprendere il titolo di un famoso libro di Amos Oz, occorre aiutare i popoli a divorziare: non si tratta certo di «imporre» qualcosa; tanto meno (ho passato la vita a lottare contro questo) di immaginare chissà quale boicottaggio; ma di proporre ambasciatori, agevolatori di pace, mediatori di buona volontà: gli Stati Uniti di Obama, o la Francia di un altro amico di Israele, Nicolas Sarkozy, o l'Europa. Mentre mi trovo a Tel Aviv, apprendo della calamitosa operazione di abbordaggio condotta dalle unità di Tsahal (l’esercito israeliano, ndr) contro le sei navi partite dalla Turchia che pretendevano di forzare il blocco di Gaza. Sono sicuro, presto sapremo che quella «flottiglia umanitaria» di umanitario aveva solo il nome; che tra i suoi obiettivi aveva un colpo mediatico — con i suoi segni, i suoi simboli — più che la miseria di un popolo; e che il ramo turco dei Fratelli musulmani, magari anche un partito di governo in Turchia, all’origine di questa provocazione, aveva buone ragioni di rifiutare, come gli era stato proposto, di fare scalo nel porto israeliano di Ashdod affinché fosse verificato quel che veramente contenevano le stive delle navi. Ma sono ugualmente sicuro che lo Tsahal che io conosco, lo Tsahal economo in vite umane e adepto della purezza delle armi, questo esercito non solo ultra-sofisticato ma profondamente democratico, di cui ho onorato tante volte il comportamento in tempi di guerra, aveva altri mezzi di agire piuttosto che provocare un bagno di sangue.
Se avessi avuto anche una sola esitazione sull’opportunità di una vigilanza doppia da parte nostra, che siamo amici di Israele; se mi fosse rimasto un solo dubbio sull’importanza dell'appello di J-Call e sulla duplice necessità del sostegno incondizionato a Israele e della critica, se fondata, delle cattive azioni di un cattivo governo, ebbene oggi dovrei fugarli entrambi: questo blitz, al tempo stesso sciocco, irresponsabile, criminale e, per Israele stesso, disastroso, avrebbe finito col risolvere la questione. Lutto. Tristezza. E anche collera, di fronte alla tentazione, che conosco bene in certi dirigenti israeliani, di credersi soli al mondo, comunque reietti, e di agire in conseguenza. L'autismo non è una politica. Né, ancor meno, una strategia. È necessario dirlo. E con forza.
La Repubblica-Amos Oz: " I limiti delle armi "
Amos Oz
PER 2.000 anni gli ebrei hanno conosciuto la forza della forza solo sotto forma di frustate ricevute sulla schiena. Da vari decenni abbiamo noi il potere di usare la forza. Ma è un potere che a lungo andare ci ha inebriato. A lungo andare immaginiamo di poter risolvere qualunque problema cui andiamo incontro usando la forza. A chi ha in mano un martello, dice il proverbio, ogni problema sembra un chiodo. Prima che venisse fondato lo stato di Israele vasta parte della popolazione ebrea in Palestina non capiva che la forza ha dei limiti e pensava di poterla usare per realizzare qualunque obiettivo. Fortunatamente nei primi anni di Israele leader come David Ben-Gurion e Levi Eshkol compresero molto bene i limiti della forza e furono attenti a non superarli. Ma dalla guerra dei sei giorni del 1967 la forza militare è diventata una fissazione per Israele, un mantra: dove non si riesce con la forza si riesce con più forza. L´assedio israeliano alla striscia di Gaza è una delle conseguenze negative di questo modo di pensare. Nasce dal falso presupposto che Hamas possa essere sconfitta con la forza delle armi, o in senso più lato, che la questione palestinese possa essere stroncata invece di risolverla. Ma Hamas non è solo un´organizzazione terroristica. Hamas è un´idea. Un´idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione di molti palestinesi. Nessuna idea è mai stata sconfitta con la forza - né con l´assedio, i bombardamenti, i commando della marina. Nessuna idea si spiana con i cingoli dei carrarmati. Per sconfiggere un´idea bisogna proporre un´idea migliore, più accattivante, più accettabile. L´unico modo che Israele ha per vincere su Hamas è stringere rapidamente un accordo con i palestinesi sull´istituzione di uno stato indipendente in Cisgiordania e nella striscia di Gaza in base ai confini stabiliti nel 1967, con capitale a Gerusalemme est. Israele deve firmare un accordo di pace con Mahmoud Abbas e il suo governo e ridurre così il conflitto israelo-palestinese ad un conflitto tra Israele e la striscia di Gaza. Quest´ultimo conflitto può essere risolto, infine, solo negoziando con Hamas o, cosa più ragionevole, tramite l´integrazione del movimento di Abbas, Fatah, con Hamas. Israele può sequestrare altre cento navi dirette a Gaza, inviare altre cento volte truppe di occupazione nella striscia, dispiegare a oltranza le sue forze militari, di polizia e i servizi segreti , ma non riuscirà a risolvere il problema. Il problema è che noi israeliani non siamo soli in questa terra e che i palestinesi non sono soli in questa terra. Noi israeliani non siamo soli a Gerusalemme e i palestinesi non sono soli a Gerusalemme. Fino a quando noi, israeliani e palestinesi, non accetteremo le conseguenze logiche di questo semplice dato di fatto, vivremo in perenne stato d´assedio-Gaza sotto l´assedio di Israele e Israele sotto l´assedio internazionale e arabo. Non sottovaluto l´importanza della forza. La forza militare è vitale per Israele. Senza non potremmo sopravvivere un solo giorno. Guai al paese che sottovaluti l´efficacia della forza. Ma non possiamo permetterci di dimenticare neppure per un momento che la forza serve solo come misura di prevenzione - per impedire che Israele venga distrutto e conquistato, per proteggere le nostre vite e la nostra libertà. Qualunque iniziativa che preveda un uso della forza non come mezzo di prevenzione, di autodifesa, ma per stroncare i problemi e soffocare le idee, condurrà a nuovi disastri, come quello che ci siamo cercati in acque internazionali, in alto mare, di fronte alle rive di Gaza.
Per inviare la propria opinione al Foglio, Libero, Corriere della Sera,Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti.