Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Coop: boicottaggio fallito La cronaca di Francesco Battistini, l'analisi di Pierluigi Battista
Testata:Corriere della Sera-La Stampa Autore: Francesco Battistini, Pierluigi Battista Titolo: «Fine di un boicottaggio mascherato-Il made in Israel resta sui banconi della Coop-Sit in alla Coop per i prodotti di Israele»
Fine dell'affare Coop, dello sporco affare Coop? A leggere il CORRIERE della SERA di oggi, 29/05/2010, a pag. 21, gli articoli di Francesco Battistini e Pierluigi Battista, si direbbe di sì. Battistini intervista il presidente della Coop Italia Vincezo Tassinari, il quale, pur arrampicandosi sui vetri, ammette il boicottaggio. Battista lo spiega con chiarezza di linguaggio, senza la difesa d'ufficio che Battistini fa nel suo articolo. Li riportiamo entrambi con una breve cronaca dalla STAMPA sulla manifestazione davanti all'Ipercoop di via Livorno a Torino.
Corriere della Sera - Pierluigi Battista: "Fine di un boicottaggio mascherato". Sottotitolo: "Dietro la 'tracciabilità' una campagna mirata contro uno Stato".
Nell’Italia che gioca e minimizza con le parole, un boicottaggio prende le forme di un’aggrovigliata questione di «tracciabilità», e una campagna mirata all’ostracismo politico ed economico di uno Stato diventa un banale problema di etichetta, un diverbio a distanza sui prodotti a denominazione di origine controllata. E invece la guerra Coop (e Nordiconad) contro i prodotti israeliani dell'Agrexco si è rivelata nel giro di poche ore per quello che era: un caso politico, una disputa che al boicottaggio ha sommato un'ideta minaccia di contro-boicottaggio. Altro che "tracciabilità". Ora, stipulato l'accordo (o la tregua), i prodotto ortofrutticoli tornano sui banconi della Coop. La quale Coop ha trovato stavolta in Internet, nei blog, nei social network, un ostacolo insormontabile per la sua strategia di minimizzazione. Dicevano che non era "boicottaggio", che era solo una questione di precisione e di lealtà di mercato, che i clienti dovevano sapere che dietro il "made in Israel" c'erano anche i prodotti raccolti e lavorati dal gigante agro-alimentare Agrexco nei territori occupati che, come è noto, non sono ancora uno stato palestinese, ma sicuramente non sono stato di Israele. Però l'Agrexco ha ribattuto che quei prodotti coprivano solo lo 0,4% del totale e che se c'era da adeguare l'etichetta ai canoni fissati dalle norme Ue, allora non avrebbero opposto alcun impedimento. E allora, c'era bisogno che la Coop stilasse un annuncio tanto impegnativo, niente meno che la liberazione dei propri scaffali dai prodotti israeliani, alcuni di incerta origine? Non potevano rivolgersi direttamente all'Agrexco, come poi è stato fatto, ma solo dopo l'improvvido, e catastrofico, annuncio del boicottaggio? E poi, sicuri che non era proprio "boicottaggio"? I responsabili della Coop dicono di no, che non è mai stato boicottaggio. Ma poi si scopre che sul sito dell'ong "Stop Agrexco" ci si compiaceva nei giorni scorsi per "l'importante risultato della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni" (tutto con le maiuscole) "contro l'apartheid israeliano". Solo una "questione di etichetta" o quell'accenno all'"aparthedi israeliano" non denuncia forse un'intezione politica un po' meno, per così dire, tecnicistica? "Boicottaggio", ecco comparire, ripetutatamente e ossessivamente dai suoi promotori, la parola proibita. Così come compare, sullo stesso sito, la sequenza di azioni dimostrative che in un paio di mesi hanno vigorosamente convinto la Coop ad adottare improvvisamente ora rientrata: manifestazioni ai supermercati Coop di Largo Agosta e di Via Laurentina a Roma; manifestazioni davanti alla Coop di Pisa, Coop Italia di Casalecchio di Reno, davanti alle Coop di Pesaro e Jesi tramite l’organizzazione «Campagna Palestina Solidarietà Marche», e così via. Molto spesso comparivano volantini in cui si deplorava «il governo israeliano che si è ripetutamente macchiato di crimini contro la guerra e l’umanità». Sempre compariva la parola proibita, «boicottaggio»: quella che la Coop ha sempre negato, quella che basta dare un’occhiata a un po’ di filmati presenti sull’ubiqua e onnipresente YouTube per scoprirne il marchio «Boycott!», con i militanti che indossano la stessa maglietta inneggiante alla «Palestina libera», le stesse scene degli scaffali con i prodotti israeliani presi di mira, lo stesso linguaggio molto aggressivo.
La strategia della minimizzazione, lo sradicamento della parola «boicottaggio» dal lessico della Coop, non hanno retto stavolta alle reazioni che hanno avuto soprattutto sui blog il loro canale di informazione: in modo «trasversale», sia sulla destra che sulla sinistra. Una sinistra che, in un'accorata lettera aperta firmata tra gli altri da Furio Colombo, Emanuele Fiano e Gianni Vernetti, si è interrogata stupefatta sulle ragioni che hanno indotto un’organizzazione «progressista» come la Coop ad assecondare la campagna anti-israeliana, sottovalutando l’impatto emotivo, e il risveglio di memorie orribili, dell’estromissione dei prodotti «ebraici» dagli scaffali di un negozio. Una destra che ha visto Fiamma Nirenstein tra i principali artefici del contro-boicottaggio e che tramite il ministro degli Esteri Frattini si è espressa con un aggettivo, «razzista», dal sapore inequivocabile. Su Facebook sono nati gruppi denominati «Coop boicotta i prodotti di Israele? Noi boicottiamo la Coop» e «Io non compro né alla Coop né alla Conad» che hanno raccolto miglia di adesioni. È comparsa addirittura la tragica foto della sorridente italiana del 1938 che spensieratamente esibisce il cartello «Questo negozio è ariano» sulla vetrina della sua bottega. Si sono scritte lettere aperte a Luciana Littizzetto, testimonial della Coop. La reazione comunicativa della Coop non ha funzionato, a cominciare dalla rassicurante pagina di pubblicità acquistata sui giornali per allontanare dal marchio Coop il fantasma del «boicottaggio». Oggi si sigla, obtorto collo, un accordo con l’Agrexco. E lo schieramento anti-boicottaggio si ritrova, bipartisan, per un’ultima manifestazione di protesta davanti a un supermercato Coop. Un clamoroso autogoal, nel migliore dei casi. Una ferita aperta con una parte dell’opinione pubblica che non si riconosce nella martellante campagna anti-israeliana.
Corriere della Sera - Francesco Battistini: "Il made in Israel resta sui banconi della Coop"
GERUSALEMME — Ma se qualcuno le avesse detto che scoppiava tutto questo caos? «Mah, certo, avremmo dovuto rifletterci un po’ di più...». La riflessione c’è stata, il chiarimento anche. Una lunga chiacchierata con Israele, un breve comunicato per spiegare che Agrexco, il gigante dell’export di pompelmi e arachidi, ha promesso d’indicare anche sulle etichette al dettaglio se un prodotto arriva dalle colonie nei Territori palestinesi. E per dire che Coop non ne sospenderà la vendita. Dice Vincenzo Tassinari, presidente Coop Italia: «Con l’israeliano ci siamo abbracciati via telefono». E «presto organizzeremo qualcosa per dimostrare a tutti che non abbiamo nessun problema con Israele » . Avesse immaginato, però... «A fin di bene, abbiamo preso un’iniziativa che doveva essere solo commerciale. Invece, ci siamo trovati in mezzo a una questione politica. Ammetto che ne abbiamo sottovalutato gli effetti. Ma, va detto, c’è stata una grossa strumentalizzazione di altri». Gli altri non li chiama per cognome. «Qualche parlamentare poteva risparmiarsi tante parole, questo è sicuro». Ce l’ha un po’ col centrodestra di Fiamma Nirenstein e un bel po’ col centrosinistra di Vernetti e Colombo, che ancora ieri manifestava a Torino davanti a un supermercato: «Non mi stupisco, eh? Ma prima di fare i solerti difensori d’interessi legittimi, questi signori avrebbero potuto scavare un po’ di più». Boicottaggio è una parola che Coop (e Conad) rifiutano. Però è proprio al boicottaggio che l’Autorità palestinese sta ricorrendo, nuova forma di «resistenza popolare» contro gl’insediamenti: il premier Salam Fayyad, l’altro giorno, ha distribuito di persona i volantini contro chi acquista prodotti delle colonie, citando 500 prodotti sulla black list. Si stima che la vendita di questi beni frutti ai settler mezzo miliardo di dollari l’anno. Dunque: ci si vergogna di chiamare le cose per quel che sono? «Capisco bene le questioni— dice Tassinari —, ma il punto è che noi non usiamo due pesi. Abbiamo 7 milioni e mezzo di consumatori e molti ci chiedono garanzie di trasparenza. Noi le diamo anche sugli ogm. Perché non dovremmo darle su questo? E’ vietato? L’antisemitismo, il boicottaggio non c’entrano niente. Noi diamo le informazioni, il consumatore poi sceglie. Fossimo contro tutti i prodotti israeliani, appiccicheremmo il nostro marchio sulle arachidi, sui datteri, su cinque milioni d'euro di importazioni? Non accetto nemmeno che ci vengano a chiedere perché Israele no e la Cina, Cuba o l'Iran sì? Noi abbiamo preso dei premi internazionali, ad esempio, per aver garantito che nei nostri prodotti non c'era sfruttamento minorile!..." Dopo l'accordo il made in Israel sarà tutto insieme sui banconi, compreso quelle delle colonie, che altri Paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Svezia) vietano. "Il paradosso, glielo dico io, è che adesso ne venderemo anche di più".
La Stampa - "Sit in alla Coop per i prodotti di Israele"
Manifestazione davanti all'Ipercoop di via Livorno a Torino
Torino - Sit in davanti alla Coop di via Livorno con esponenti delle associazioni Italia-Israele e Bene-Berith, e parlamentari per protestare contro «il boicottaggio dei prodotti di Israele». Peraltro, nell’ipermercato i prodotti erano ben esposti tra la frutta e l’Ipercoop ha diffuso un comunicato annunciando di aver raggiunto un accordo con il principale esportatore. L’appello è firmato da Vernetti (Api) dai parlamentari del Pd (Fiano, Colombo, Corsini, Della Seta) e del Pdl (Pianetta, Zacchera, Raisi, Nirenstein). Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera e La Stampa, cliccare sulla e-mail sottostante.