Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Pochi giorni fa ho ricevuto sulla mia e-mail un invito a firmare la petizione della Fiamma Nirenstein in cui si rispondeva all'appello di JCall, definitivo un invito a Israele ad arrendersi. Stavo già per firmare anch'io, ma poi per correttezza e curiosità ho voluto cliccare sul link di JCall ed informarmi meglio. Non era affatto un appello di estremisti di sinistra o pacifisti miopi ma presentava alcuni ragionamenti che ho sentito fare anche da miei amici o parenti che abitano in Israele. Ed è così che usando non solo il cuore ma anche la testa, mi risultava esagerata la reazione della Nirenstein che per difendere acriticamente Israele lanciava un anatema su un gruppo che, come dice Ugo Volli rappresenta un'idea minoritaria tra gli ebrei della diaspora, ma che è pur sempre gran parte dell'elite intellettuale ebraica europea. Assolutamente inaccettabile è poi la risposta della Deborah Fait secondo la quale solo gli israeliani possono avere voce in capitolo. Gli ebrei della diaspora soprattutto se di sinistra dovrebbero starsene zitti perchè non capiscono cosa avviene veramente. Pazzesco. Per fare informazione corretta sarebbe stato necessario presentare in modo asettico entrambi gli appelli e aprire un sereno dibattito non fatto sulla demonizzazione delle idee altrui o su chi è più sionista ma incentrato esclusivamente sullo scenario passato presente e futuro mediorientale e sulle scelte che prima o poi Israele dovrà fare con o senza Netanyahu. Cordiali saluti Massimo Orbach Redattore di Iarchon mensile della Comunità Ebraica di Trieste
risponde Ugo Volli
Gentile signor Orbach,
il principio della rivoluzione americana era "No taxation without representation", non paghiamo le tasse se non possiamo decidere come vengono usate. Ma è vero anche l'inverso: non si può decidere se non si pagano i prezzi delle decisioni. Noi che siamo comodamente seduti nella pacifica Europa (o almeno ci illudioamo di esserlo, l'antisemitismo ritorna anche da noi alimentato dall'odio per Israele), non possiamo sdottoreggiare di qui su cosa dovrebbe fare e non fare Israele. Possiamo solo sentirci responsabili e solidali. L'appello dei Cohn Bendit e soci non è affatto responsabile, nel senso che non misura le sue conseguenza) e certamente non è solidale. Gli israeliani hanno deciso un governo, che gode ancora, a quel che dicono i messaggi, del sostegno della grande maggioranza dell'elettorato soprattutto su temi come Gerusalemme. I firmatari di J-call chiedono a Europa e America di esercitare "forti pressioni" contro israele. Le sembra una forma di solidarietà? Le sembra ragionevole che sappiano loro e non gli israeliani cosa è bene per Israele e quali sono i pericoli reali della situazione? Non continuo, la rimando al mio pezzo sul sito dell'Ucei che oggi Informazione Corretta pubblica. Comunque il problema non è quello di fare un dibattito il più possibile neutro qui nella diaspora: Israele è un paese democratico, ci sono le elezioni per decidere, non un'autonominata "élite intellettuale".