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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.05.2010 Dietro il fallito attentato di NY ci sono i talebani pakistani
Cronache di Maurizio Molinari, redazione del Foglio, Guido Olimpio

Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - La redazione del Foglio - Guido Olimpio
Titolo: «Bomba contro raid in Pakistan - Il lupo non è solitario - Errori da Fbi e linee aeree. La sicurezza Usa sotto accusa»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/05/2010, a pag. 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Bomba contro raid in Pakistan  ", dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Il lupo non è solitario ", dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Errori da Fbi e linee aeree. La sicurezza Usa sotto accusa ". Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Bomba contro raid in Pakistan "


Maurizio Molinari

Il terrorista di Times Square collabora con l’Fbi, aiutando a ricostruire un complotto contro l’America che porta in Waziristan, la roccaforte dei taleban pakistani ai confini con l’Afghanistan. Faisal Shahzad, detenuto in un carcere di New York, ha rinunciato al diritto di «comparire al più presto» davanti al giudice lasciando intendere di aver scelto di aiutare le indagini. Fra le ammissioni fatte vi sarebbe, secondo indiscrezioni, quella di aver voluto colpire l’America per «vendicare la morte dei pakistani colpiti dai droni della Cia»: una dichiarazione che coincide con le notizie sul suo recente viaggio nel Waziristan, la regione del Pakistan occidentale più presidiata dai taleban e martellata dagli attacchi dei droni dell’Intelligence. «Se il coinvolgimento dei taleban pakistani fosse confermato, si tratterebbe del loro primo attacco avvenuto lontano da Afghanistan e Pakistan» fanno presente fonti dell’Amministrazione Usa, mentre il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs si limita a osservare che i gruppi jihadisti «fanno attentati meno spettacolari», lasciando intendere che sono stati molto indeboliti proprio dall’offensiva della Cia.
In attesa di conoscere la confessione di Shahzad, l’Amministrazione Obama deve difendersi da tre fronti di polemica sul fallito attentato di Times Square. Il più rovente è quello aperto dal sindaco Michael Bloomberg, furioso con l’Intelligence per il fatto che il pakistano-americano era riuscito a salire lunedì notte a bordo del volo degli «Emirates» in partenza dall’aeroporto Kennedy alla volta di Dubai sebbene il suo nome fosse già da alcune ore sulla «no fly list». La falla nella sicurezza dello scalo aereo più importante di New York porta il sindaco a chiedere ai servizi di sicurezza federali di «rivedere le procedure vigenti», visto che Faisal non ha avuto difficoltà a evaderle.
Dal Congresso invece l’opposizione repubblicana contesta al ministro della Giustizia Eric Holder la decisione di aver fatto leggere al terrorista arrestato i «diritti di Miranda» - che consentono fra l’altro di tacere per non autoincriminarsi - come fosse un criminale comune. Holder difende la scelta perché si lega a un approccio giuridico al pericolo dei terroristi che fa prevalere le leggi penali, senza ricorrere ai codici di guerra come avveniva durante gli anni dell’Amministrazione Bush.
Il terzo fronte di polemica deriva invece dalle rivelazioni sul fatto che il trentenne pakistano naturalizzato americano - sposò una giovane donna musulmana del Colorado - non ha avuto difficoltà ad acquistare un revolver in Connecticut. La richiesta di un gruppo di deputati, democratici e repubblicani, è dunque di modificare le leggi federali sull’acquisto di armi da fuoco per impedirne la vendita a «sospetti terroristi»: si tratta di una questione politicamente molto scivolosa perché spinge l’Amministrazione Obama a confrontarsi con la revisione delle norme sulla compravendita di armi, rischiando di andare a urtare interessi e valori di milioni di cittadini.

Il FOGLIO - " Il lupo non è solitario "


Faisal Shahzad

Washington. Il lupo solitario che ha cercato di far saltare un Nissan Pathfinder a Times Square non è un lupo solitario. L’operazione potenzialmente pericolosa ma attuata in modo maldestro – la macchina parcheggiata con le quattro frecce accese, un piano di fuga raffazzonato, un biglietto aereo per il Pakistan pagato in sospetti contanti – sembrava indicare il piccolo cabotaggio di un emulatore, un jihadista online invaghito dalla propaganda islamista come se ne sono visti altri, soprattutto fra gli “home-grown”, gli aspiranti martiri cresciuti in occidente. I dettagli che stanno emergendo sulla vita di Faisal Shahzad, pachistano con passaporto americano, raccontano un’altra storia. Le dichiarazioni raccolte dall’Fbi, che in queste ore sta procedendo con gli interrogatori, dicono che Shahzad è stato addestrato per cinque mesi nella regione pachistana del Waziristan, al confine con l’Afghanistan. Secondo alcune fonti dell’intelligence pachistana, si tratta della parte nord del Waziristan, roccaforte talebana e crocevia di milizie nazionaliste, un groviglio disperante di attori contemporaneamente in combutta e in conflitto fra loro. “Il nord Waziristan è la base di così tanti gruppi terroristici e di così tante trame e piani che né la Cia né l’Isi sembrano avere molti indizi su cosa succede veramente nella zona”, ha scritto da Lahore l’analista pachistano Ahmed Rashid sul Washington Post. Fonti citate dall’Express Tribune dicono che l’attentatore potrebbe essere stato addestrato in un campo talebano presso la città di Kohat, settanta chilometri a sud di Peshawar. E’ in quelle zone che si è nascosto per mesi Hakimullah Mehsud, leader dei talebani dato per morto decine di volte e tornato alla luce con un video girato agli inizi di aprile e spedito, con grande senso del marketing, alla redazione del Long War Journal, proprio in concomitanza del fallito attentato. Il Waziristan del nord è una pentola in cui tutti gli ingredienti sono mischiati. La morte del vecchio capo, Baitullah Mehsud, ha lasciato la zona nell’anarchia: “Gruppi, schegge e schegge di schegge operano nel Waziristan del nord senza che nessuno li controlli, nemmeno Jalaluddin Haqqani”, dice Rashid in riferimento al potente clan talebano degli Haqqani. Il portavoce dell’esercito di Islamabad, Athar Abbas, ha detto con circospezione che nonostante gli indizi esistano, il legame fra Shahzad e il Waziristan deve “ancora essere stabilito”. Se si avranno altre conferme della sua presenza nel settore nord della regione, la situazione nella zona non renderebbe verosimile la versione del lupo solitario. Non basta uno scambio di mail su un sito jihadista per organizzare un campo di addestramento laggiù: servono contatti, organizzazione, un piano sensato. Il piano di Shahzad era credibile, anche se l’esecuzione materiale ha lasciato intravvedere ampi stralci di dilettantismo. Più dell’ordigno parlano la dozzina di arresti fatti dall’esercito pachistano nella zona di Peshawar e il tempismo perfetto con cui si è mossa la macchina della propaganda del clan Mehsud. L’addestratore dei martiri in Pakistan, Qari Mehsud, ha rivendicato l’attentato a poche ore di distanza con un video su YouTube. La registrazione è stata pubblicata sul canale del gruppo Tehreeke- Taliban, creato esattamente il giorno prima dell’attentato. Sedici ore dopo la diffusione del primo video, una email spedita dallo stesso account che aveva creato il canale è arrivata al Long War Journal: conteneva due video di Hakimullah Mehsud girati circa un mese prima dal capo dei talebani. Gli era naturalmente impossibile citare l’attentato di Times Square, ma in un colpo solo Hakimullah ha dimostrato di essere vivo e di aver giocato con tempismo per mandare un messaggio all’America: siamo nelle vostre strade. Una strategia che fa retrocedere l’ipotesi dell’azione balorda e solitaria. Per queste connessioni con la fluida gerarchia del terrore, a una parte dell’America non va giù che quel passaporto americano ottenuto un anno fa gli valga i privilegi di un processo civile.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Errori da Fbi e linee aeree. La sicurezza Usa sotto accusa "

WASHINGTON — La caccia a Faisal Shahzad, l’attentatore di Times Square, si è conclusa poco prima che riuscisse a partire sul volo New York-Dubai. Un arresto che è diventato oggetto di polemiche. In molti si chiedono come il ricercato sia riuscito a salire sull’aereo. Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, è «furioso». E i repubblicani rilanciano le accuse sull’incapacità dell’amministrazione nel fronteggiare il terrorismo.

Rivediamo la catena di eventi. Lunedì mattina: l’Fbi scopre l’identità di Faisal Shahzad, è il Ricercato.

12.30: il suo nome è inserito nella no-fly list, se si presenta all’imbarco deve essere respinto e controllato.

Pomeriggio: gli agenti che seguono il sospettato lo perdono, non è chiaro perché.

16.45: il numero di passaporto di Faisal è inserito nella lista no-fly.

18.30: il militante, mentre si dirige in auto verso l’aeroporto Jfk, prenota al telefono un posto sul volo Emirates 202 in partenza alle 23.

19.35: l’uomo acquista, in contanti, il biglietto.

20.40: la sicurezza riceve la lista di imbarco del volo 202 e trova il nome di Faisal.

23.02: si chiudono le porte del jet.

23.45: l’aereo viene fatto tornare al gate, il terrorista è arrestato. Agli agenti dice: «Vi stavo aspettando. Siete dell’Fbi o della polizia di New York?».

In base alla ricostruzione l’Emirates, finita sotto inchiesta, è accusata di non aver aggiornato le verifiche sui passeggeri. La compagnia replica di aver seguito la procedura. Che però non ha funzionato. Così è stato deciso di cambiarla. Fino a ieri le aviolinee avevano 24 ore di tempo per le verifiche dopo l’aggiunta di un nuovo nome. Ora il controllo dovrà essere fatto ogni due ore. L’impressione, però, è che il sistema sia carente.

L’indagine sulle falle procede in parallelo a quella sui possibili complici di Shahzad che starebbe fornendo «informazioni importanti». Il focus è sempre sul Pakistan dove, malgrado le smentite, vi sono stati degli arresti. Tra questi un uomo che in luglio ha accompagnato Faisal nel Nord Waziristan per incontrare alti dirigenti talebani. Circostanza però negata da un portavoce del movimento.

I sospetti dell’intelligence vanno dal redivivo Hakimullah Mehsud all’addestratore dei kamikaze, Qari Hussain Mehsud che avrebbe assicurato il training in uno dei tanti «campi mobili». Senza dimenticare i gruppi kashmiri: l’amico di Faisal è un membro di spicco di « Jaish E Mohammed», fazione coinvolta in molti attacchi. Quanto al movente dell’attentato, potrebbe essere una risposta ai raid dei droni Usa in Pakistan. Sempre che Faisal stia raccontando tutta la verità. I dubbi non mancano.

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