Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Armeni: per Obama massacro, ma non genocidio Analisi di Antonio Ferrari e cronaca de il Giornale
Testata:Corriere della Sera-il Giornale Autore: Antonio Ferrari-redazione del Giornale Titolo: «Armeni, si apre una piccola crepa nel muro del negazionismo turco-Obama: i massacri armeni un'atrocità. Ma non parla di genocidio»
Sul genocidio armeno, di cui abbiamo dato notizia su IC di ieri, due aggiornamenti oggi, 25/04/2010, su CORRIERE della SERA e IL GIORNALE. La notizia più evidente è il mancato riconoscimento da parte di Barack Obama della parola genocidio. Con questa esclusione accontenta la Turchia, mentre delude gli armeni e gran parte della comunità internazionale. Un ennesimo esempio della sua politica estera, volta a deludere gli amici mentre accarezza gli avversari, perché tale è la Turchia di oggi. Ecco i due articoli:
Corriere della Sera - Antonio Ferrari: "Armeni, si apre una piccola crepa nel muro del negazionismo turco".
Erdogan, l'alleato preferito
Sono passati 95 anni dal primo genocidio del secolo scorso, e ieri le comunità armene di tutto il mondo hanno celebrato la loro giornata della memoria, per ricordare il sistematico annientamento di un milione e mezzo di correligionari tra il 1915 e il 1917: anni che videro la definitiva decomposizione dell’impero ottomano. Ma quella parola — genocidio, appunto — continua a fare paura. Come se parlare di massacro di massa, formulazione invece tollerata in Turchia, fosse un diminutivo assai più accettabile.
Ad Ankara non piace che la Commissione dei diritti umani dell’Onu (1973), papa Giovanni Paolo II (2000), il parlamento francese, e più recentemente la Commissione esteri del Congresso Usa e l’Assemblea svedese abbiano deciso di riconoscere che fu proprio «genocidio». Il fastidio di dover accettare le colpe del proprio passato sembra ancora inaccettabile per la maggioranza del popolo turco. Tuttavia ieri, tra le tante notizie sull’anniversario, ne è giunta una che rompe un tabù quasi secolare: un centinaio di intellettuali turchi hanno organizzato un sit-in nella stazione ferroviaria di Haydarpasha, ad Istanbul, da dove il 24 aprile 1915 partì il primo treno con 220 deportati armeni.
E’ uno spiraglio, una piccola ma significativa crepa nel muro del negazionismo più ostinato. Il fatto che gli intellettuali, che gridavano slogan come «Mai più», siano stati protetti dalla polizia, che teneva a debita distanza un drappello di esagitati ultranazionalisti, è il segnale che il clima sta lentamente cambiando. Prima erano pochi a sfidare la legge, come Orhan Pamuk ed Elif Shafak. Oggi il fronte della ragionevolezza e del coraggio sì è allargato. Certo, il momento è difficile, anche perché la polemica sul genocidio è riesplosa dopo i passi di pace e normalizzazione tra Ankara ed Erevan. Il rischio di altri ostacoli è elevato. Tanto che monsignor Hovsep Kelekian, rettore del Pontificio collegio armeno di Roma, ha detto che è «la Comunità di Sant’Egidio a poter salvare i negoziati con la Turchia». Un altro prezioso riconoscimento per quella che ormai conosciamo come l’Onu di Trastevere.
Il Giornale - "Obama: i massacri armeni un'atrocità. Ma non parla di genocidio".
In Armenia, come pure in tutte le città del mondo dove esistono comunità armene, ieri si è commemorato il 95° anniversario dei massacri degli armeni, ma le celebrazioni cadono quest’anno in un clima di appena rinnovate tensioni tra Erevan ed Ankara e preoccupanti minacce di guerra tra Armenia e Azerbaigian. Proprio giovedì, infatti, il governo di Erevan ha annunciato il congelamento del processo di ratifica dei due protocolli per la normalizzazione delle relazioni con la Turchia firmati a Zurigo il 10 ottobre dai ministri degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ed armeno Edward Nalbandian. I documenti prevedono l’avvio di relazioni diplomatiche e la riapertura della frontiera comune, ma per essere messi in atto occorre la previa approvazione dei rispettivi Parlamenti e capi di Stato. Dal presidente americano Barack Obama, gli armeni, soprattutto quelli della diaspora, si aspettavano che pronunciasse ieri a fatidica parola «genocidio», ovvero ciò che Erevan sostiene sia stato compiuto tra il 1915 e il 1917 dall’Impero ottomano contro un milione e mezzo di armeni. Definizione da sempre respinta da Ankara secondo cui i morti armeni in quel periodo furono al massimo tra i 300mila e i 500mila e, comunque, causati da una guerra civile che fece anche migliaia di vittime turche. Obama, invece, non si è sbilanciato e, come fece l’anno scorso, ha definito i massacri «una delle peggiori atrocità» del Ventesimo secolo, in linea con l’espressione armena «Meds Yeghern», la «grande catastrofe». La decisione di Erevan - che era nell’aria da tempo - non ha sorpreso più di tanto il premier turco, Recep Tayyip Erdogan il quale, dopo aver ribadito che Ankara resta impegnata nel processo di pace, ha detto chiaramente di ritenere che Obama non sia stato «influenzato» dalla scelta dell’Armenia. La Turchia, in altre parole, ha percepito la mossa di Erevan come a uso e consumo interno e come tentativo di pressione sugli Stati Uniti per il riconoscimento del genocidio.
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