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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Fiammanirenstein.com - Libero Rassegna Stampa
22.04.2010 Iran-nucleare: Ahmadinejad si prepara alla battaglia del petrolio per contrastare le sanzioni
E Israele è pronto a difendersi. Cronache e commenti di Fiamma Nirenstein, Carlo Panella, Glauco Maggi, Alessandro Bonelli

Testata:Fiammanirenstein.com - Libero
Autore: Fiamma Nirenstein - Carlo Panella - Glauco Maggi - Alessandro Bonelli -
Titolo: «Il Governo risponde all'interrogazione sulla candidatura iraniana al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU - Affondare le petroliere per ritorsione In passato lo hanno già fatto - Il piano di Israele per colpire Teheran con o senza gli Usa»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 22/04/2010, a pag. 22, l'articolo di Alessandro Bonelli dal titolo " L’Iran si prepara alla guerra e minaccia la via del petrolio ", l'articolo di Carlo Panella dal titolo "  Affondare le petroliere per ritorsione In passato lo hanno già fatto", a pag. 23, l'articolo di Glauco Maggi dal titolo "  Il piano di Israele per colpire Teheran con o senza gli Usa". Ecco i pezzi, preceduti dal commento di Fiamma Nirenstein dal titolo " Il Governo risponde all'interrogazione sulla candidatura iraniana al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU ".

Fiamma Nirenstein - " Il Governo risponde all'interrogazione sulla candidatura iraniana al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU "


Fiamma Nirenstein

Roma, 21 apr - "Il 13 maggio verra' rinnovato il Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu con sede a Ginevra, che eleggera' 14 nuovi membri su 47 per un mandato di tre anni. L'Iran ha presentato la sua candidatura per il gruppo asiatico e, nonostante il record di violazioni dei diritti umani che caratterizza questo regime, esistono i presupposti legali e politici per una sua vittoria, che rappresenterebbe un vero oltraggio alla massima istituzione internazionale preposta al rispetto dei diritti umani nel mondo". Lo afferma Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera. Nirenstein aggiunge: "Ho quindi presentato nei giorni scorsi un'interrogazione al Ministro degli Esteri per sapere in che modo l'Italia intenda opporsi a questa eventualita'. La risposta che ho ricevuto ieri in Commissione Esteri e' stata rassicurante, anche se il percorso e' ancora in salita. Nella risposta, presentata dal Sottosegretario Scotti, si legge infatti che "il Governo italiano, condividendo le medesime preoccupazioni dell'On. Nirenstein, ha contribuito ad avviare la riflessione in corso in ambito europeo per scongiurare la possibilita' che Teheran risulti effettivamente eletta. [...] Pertanto, l'Italia ha proposto ai partner di ripetere quanto avvenuto in occasione della candidatura della Bielorussia nel 2007, quando l'UE decise l'invio, da parte della Presidenza, di una lettera a tutta la membership dell'ONU per ricordare i principi di rispetto dei diritti umani che dovrebbero ispirare la candidatura al Consiglio Diritti Umani. Gli altri Paesi, e in particolare la Germania, hanno appoggiato la nostra proposta. L'Alto Rappresentante inviera' pertanto a breve una lettera a tutta la membership dell'ONU, dai contenuti simili a quella del 2007". Mi reputo soddisfatta della risposta e dell'iniziativa italiana. Tuttavia, considerato che Ahmadinejad e' stato in passato in grado di utilizzare piu' volte, riscuotendo notevole successo, il palcoscenico dell'Onu - anche quello di Ginevra - come tribuna per propagare la sua politica di odio, la promessa della distruzione dello Stato d'Israele e la sua strenua difesa del regime teocratico che pratica la condanna a morte di dissidenti e omosessuali, temo che possa esercitare in questo ultimo periodo di "campagna elettorale" una forte pressione sui 4 candidati del gruppo asiatico affinche' una loro rinuncia ne assicuri l'entrata nel Consiglio, o che si impegni a rinnovare quella maggioranza automatica, che finora e' stata cosi' efficiente e compatta da far approvare ben 27 risoluzioni contro Israele su un totale di 33 risoluzioni passate dal Consiglio per i Diritti Umani dal 2006 al 2009. Auspico quindi che l'Italia e gli altri paesi democratici, in questi pochi giorni rimasti, mettano in campo ogni iniziativa possibile per evitare questa ennesima occasione di dequalificazione e perdita di significato delle Nazioni Unite stesse".

LIBERO - Carlo Panella : " Affondare le petroliere per ritorsione In passato lo hanno già fatto"


Carlo Panella

Strozzare la giugulare petrolifera del pianeta: la strategia iraniana dopo il 1979 punta con pervicacia a questo obbiettivo come massima deterrenza strategica, in caso di attacco militare, ad esempio contro i sempre i più minacciosi siti nucleari e le sempre più agguerrite basi missilistiche di Ahmadinejad e Khamenei. La geopolitica regala infatti all’Iran questa eccellente possibilità: in caso di attacco militare, Teheran può reagire bloccando lo stretto di Hormuz, che è largo 30 chilometri, ma che può essere navigato solo per due “vie d’ac - qua” larghe solo 3 chilometri ciascuna in cui possono passare le petroliere col loro pescaggio. Una pacchia dal punto di vista militare, perché per questi due minuscoli canali passa il 40% del greggio esportato in tutto il mondo. Da trenta anni dunque, quella parte dello sforzo bellico iraniano che non è assorbita dai missili a lungo raggio e dal nucleare, viene impiegata dal regime degli ayatollah per rafforzare la flotta con i criteri della guerra da corsa: velocissimi motoscafi (purtroppo forniti anche da una ditta italiana), siluri, missili a corto raggio, elicotteri. Non è una strategia nuova: negli anni ‘60 lo scià Reza Pahlevi occupò per anni l’Oman per garantirsi il controllo dello stretto di Hormuz ed è ancora viva la memoria degli effetti della chiusura del Canale di Suez dopo la guerra dei 6 giorni del 1967 e fino al 1975 che comportò la decisione di costruire mega petroliere sino a 150.000 tonnellate che trasportassero il petrolio dal Golfo in Occidente, circumnavigando l’Africa. Esattamente come è vivo il ricordo del 1973, quando il ricatto sul petrolio e la sospensione delle sue forniture si rivelò potente come una bomba atomica nei confronti dell’occidente (e di Israele che fu costretta a ritirare le sue truppe arrivate con i carri armati di Ariel Sharon a 80 chilometri dal Cairo). È importante comprendere però che l’Iran non punta solo sui suoi Pasdaran per poter chiudere a piacere lo stretto di Hormuz in caso di un attacco militare ai suoi impianti nucleari. Da anni Teheran lavora infatti alla costruzione di una Hezbollah del Golfo che fa leva sulle consistenti minoranze sciite in Kuwait e Arabia Saudita, che vivono proprio a ridosso dei grandi campi petroliferi nordorientali, e sulla maggioranza sciita in Baharein per costruire un movimento di massa - ovviamente armato - che sia in grado di minare dall’interno gli emirati produttori di petrolio. Subito dopo la rivoluzione del 1979 questo movimento sorse spontaneamente e diede vita a rivolte popolari sciite in Kuwait e Baharein, represse nel sangue, così come repressi e sempre tenuti sotto il tallone sono i più di 2 milioni di sciiti che abitano in Arabia Saudita. La guerra Iraq-Iran e poi la guerra del Golfo del 1991 obbligarono alla sordina queste tensioni, ma rimessosi dal disastro della guerra contro l’Iraq, a partire dal 2000, l’Iran ha ripreso i suoi tentativi di espandere la rivoluzione khomeinista nel Golfo. L’11 febbraio del 2009 Ali Akbar Nouri, ex presidente del Parlamento iraniano e consulente di Khamenei, ha “messo in chiaro” questa strategia definendo il Bahrein una “ex provincia” dell’Iran che, solo per via della debolezza dello Scià, non era stata inglobata da Teheran quando nel 1971 il territorio divenne indipendente dalla Gran Bretagna. Una chiara minaccia annessionista che ebbe effetti deflagranti non solo nei paesi arabi del Golfo e che resta sempre sottintesa nelle manovre militari dei pasdaran dei prossimi giorni. Dunque, una chiara strategia politico-militare a cui il neo presidente americano risponde con una allarmante confusione strategica, tanto che lo stesso Robert Gates, Segretario alla Difesa di Obama, dichiara che in realtà gli Usa «non hanno un piano B» nel caso fallisca - ed è indubbio che è fallita - la politica del dialogo voluta dal presidente americano.

LIBERO - Glauco Maggi : " Il piano di Israele per colpire Teheran con o senza gli Usa "


Ehud Barak, ministro della Difesa israeliano

Contro il rischio di un Iran nucleare in Israele è partito il conto alla rovescia. Nel governo falchi e colombe si confrontano sull’urgenza di portare da soli, con o senza il via libera di Obama, un attacco militare che distrugga le centrali di Ahmadinejad e ritardi i suoi sogni di potenza atomica che “vuole spazzare Israele dalla mappa”. Nell’esercito, si studiano le rotte possibili per far arrivare i jet con la stella di David sugli obiettivi di Arak, Qom, Natanz e Bushehr, sedi degli impianti per l’arricchi - mento dell’uranio e per la imminente costruzione degli ordigni. Tra i politici, al momento, non c’è però unanimità sulla strategia da seguire. La decisione ultima spetterà al premier Ben Netanyahu, la cui ostentata assenza al recente vertice nucleare di Washington diretto da Obama è stata un forte segnale al governo americano della sfiducia israeliana sulla efficacia della posizione Usa nella doppia partita Israele-Palestina e Israele-Iran. Ma l’importanza di non rompere con il più storico e fidato alleato di Israele è ben presente nel dibattito interno, come ha recentemente ricordato il ministro della difesa di Gerusalemme Ehud Barack.
LA SICUREZZA
Pur rivendicando che «solo noi abbiamo l’esclusiva responsabilità quando sono in gioco il destino e la sicurezza di Israele, e solo noi possiamo determinare le materie che riguardano il futuro di Israele e del popolo ebraico», Barack ha aggiunto che «non dobbiamo mai perdere di vista quanto importanti siano le relazioni con gli Usa, o la possibilità di agire in armonia e in unità con gli Stati Uniti». In passato, nel 1981, gli israeliani colpirono il reattore di Osirak in Iraq prendendo di sorpresa gli Usa, ma quando nel 2007 attaccarono una sospetta centrale in Siria si procurarono prima il tacito ok di Bush. Ora le relazioni tra Obama e Netanyahu sono di diffidenza reciproca, anche per l’imbarazzo che è seguito alla pubblicazione di un documento interno alla amministrazione in cui, nel gennaio scorso, il ministro Usa della difesa Robert Gates denunciava l’assen - za di una chiara strategia americana verso l’Iran: all’incertez - za sulla capacità di ottenere sanzioni serie in consiglio di sicurezza per la resistenza di Cina e Russia, Gates aggiungeva l’indecisione sul che fare per impedire ai tecnici iraniani di tagliare il traguardo della realizzazione delle testate nucleare per i loro missili. Secondo vari osservatori, a Teheran mancherebbe infatti solo un anno di lavoro per raggiungere l’obiettivo. Obama ha fatto sapere per canali riservati a Israele che Washington si oppone ad una azione unilaterale israeliana, e ha anche fatto dire pochi giorni a a Mike Mullen, il comandante supremo delle forze armate congiunte americane, che l’offensiva militare è «l’ul - tima opzione». Israele, che ufficialmente appoggia la linea delle sanzioni, lo fa con uno scetticismo che aumenta nel tempo, poichè l’Iran non nasconde neppure i "progressi" del suo impegno a costruire impianti nucleari e ad arricchire l’uranio, nascondendosi dietro la foglia di fico dell’uso "civile", a cui peraltro non crede nessuno né in America né in Europa. E quindi i vertici militari di Gerusalemme preparano il piano B, e studiano le rotte possibili, come mostra una mappa del Center for Strategic and International Studies riportata dal Wall Street Journal.
L’ATTACCO
Le opzioni sono quattro, da nord a sud, ognuna con i suoi diversi rischi politici e militari. La prima prevede una tratta sul Mediterraneo e poi l’attra - versamento dello spazio aereo turco, alleato degli Usa, e infine un corridoio iracheno controllato dagli americani. La seconda passa sul confine libanese e giordano e poi sull’Iraq, e Gerusalemme ha con la Giordania l’accordo di avvisarla prima di attraversare il suo spazio aereo. La terza, a sud, comporta la violazione dello spazio dell’Arabia Saudita con il rischio di inimicarsi il potente amico dell’America, e poi un lungo tratto sul territorio iracheno. Infine, la rotta più a sud delle quattro attraverserebbe l’intera Arabia Saudita, il minuscolo Kuwait e arriverebbe in Iran dal Golfo persico, direttamente nei pressi della centrale di Bushehr. Da un punto di vista militare, la dislocazione delle altre tre centrali a nord di Bushehr e a sud di Teheran consiglierebbe ai comandi israeliani l’utilizzo combinato di tutte le rotte. Ma saranno sicuramente soppesate pure le implicazioni politiche del coinvolgimento di Turchia, Giordania, Arabia Saudita e Iraq.

LIBERO - Alessandro Bonelli : " L’Iran si prepara alla guerra e minaccia la via del petrolio "


Ahmadinejad

Scatta l’operazione “Grande Profeta”. Teheran ha annunciato che da oggi svolgerà per tre giorni esercitazioni militari nello Stretto di Hormuz, il sottile braccio di mare che divide le coste iraniane dalla Penisola arabica. In questo momento si tratta di un segnale forte lanciato all’Occidente, poiché evoca il peggiore degli scenari possibili di un eventuale conflitto nella regione: un blocco da parte iraniana di questo “cancello” del Golfo Persico. Lo Stretto è attraversato ogni giorno da 17 milioni di barili di petrolio, ossia dal 40% del greggio che viaggia via mare. Trattandosi di un passaggio obbligato per le petroliere, gli esperti stimanochein seguito aunblocco di Hormuz il prezzo del barile potrebbe salire fino a 150 dollari, con gravi ripercussioni per l’economia mondiale, che oltretutto si sta riprendendo a fatica dalla peggiore crisi dal Dopoguerra. Di fronte alla possibilità di un raid contro le installazioni nucleari iraniane, verosimilmente sferrato da parte di Israele, gli esperti di rischio politico si interrogano da tempo sulle conseguenze per l’economia. Un eventuale attacco all’Iran, stimano, avrebbe sicuramente un impatto sul prezzo del petrolio. Il grado di rischio dipende dalla reazione di Teheran. Si va da un balzo “fisiologico” del costo del barile, seguito a breve da una provvidenziale correzione al ribasso, a un rialzo continuo e sostenuto che farebbe ricadere il mondo in recessione. Questo poiché a un’impennata dei prezzi energetici, come visto durante la “bolla” del 2008, seguono rincari generalizzati. IL BALZO DEL BARILE Gli analisti avvertono di non avere alcuna certezza. A parte una: la reazione immediata dei mercati sarebbe «il tipico balzo di 10-20 dollari nelle quotazioni del petrolio», come ha detto alla Reuters Michael Wittner, capo ricercatore nel comparto energia di Société Générale. Si tratta poi di vedere «se il conflitto sarà prolungato o quale sarà la reazione iraniana», ha spiegato Jeff Chowdry del fondo londinese Foreign and Colonial. I rischi vanno dalla semplice scossa sui mercati a un evento «sismico» paragonabile «al crac di Lehman Brothers», sostiene addirittura Anthony Skinner, analista del rischio politico al centro studi Maplecroft. Un assaggio lo si ebbe il 5 giugno 2008, quando il prezzo del petrolio compì uno storico balzo giornaliero, portandosi da 128 a 139 dollari al barile. Poche ore prima l’allora vice premier israeliano, Shaul Mofaz, aveva indicato come «inevitabile» l’opzione di un attacco militare nel caso di un fallimento della diplomazia. In quell’occasione l’allora segretario generale dell’Opec, Abdallah el-Badri, disse che sarebbe stato difficile per il cartello rimpiazzare l’output iraniano. RISERVE DI ORO NERO Teheran ha le maggiori riserve di petrolio dopo quelle dell’Arabia Saudita. È il quarto produttore mondiale e il secondo fra gli Stati membri dell’Opec. Attualmente produce 3,75 milioni di barili giornalieri, pari al 4,4% della domanda globale. Per fare un paragone, l’Iraq prima dell’inizio della guerra nel 2003 soddisfava l’1% della domanda complessiva. Nell’ipotesi di un’interruzione delle forniture, il Paese più colpito sarebbe la Cina, il principale cliente di Teheran nonché il maggiore consumatore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti. Pechino sarebbe così costretta a rivolgersi ad altri mercati, con inevitabili pressioni al rialzo del prezzo del barile. Lo scenario peggiore resta però quello di un blocco da parte iraniana dello Stretto di Hormuz. In questo caso, prevedono gli analisti, il prezzo del petrolio potrebbe arrivare a 150 dollari al barile. Inoltre il conflitto si inasprirebbe, poichè per neutralizzare il blocco sarebbe necessario l’in - tervento di una grande forza di marina, cioè quella americana. Ma basterebbe anche soltanto la minaccia di una mossa di questo tipo per scoraggiare i produttori, per almeno 2-3 settimane, a spedire i loro preziosi carichi per quell’infuocato braccio di mare.

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