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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
20.04.2010 Iran: costruito un nuovo sito nucleare
Obama, che cosa stai aspettando?

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: La redazione del Corriere della Sera - La redazione del Foglio
Titolo: «Nuovo sito per l’arricchimento dell’uranio - Ecco il piano febbrile di Teheran per rendere inutili le sanzioni»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2010, a pag. 15, l'articolo dal titolo " Nuovo sito per l’arricchimento dell’uranio ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ecco il piano febbrile di Teheran per rendere inutili le sanzioni ".

Invitiamo a guardare il filmato in Home Page, un'intervista a Bibi Netanyahu sul nucleare iraniano e i pericoli che ne derivano.

Ecco i due articoli:

CORRIERE della SERA - " Nuovo sito per l’arricchimento dell’uranio "

TEHERAN— Il presidente Mahmoud Ahmadinejad avrebbe scelto la località dove sarà costruito un nuovo sito per l’arricchimento dell’uranio. «La costruzione comincerà quando lui darà l'ordine», ha detto Mojtaba Samareh Hashemi, stretto consigliere di Ahmadinejad. La Repubblica islamica dispone al momento di un solo sito per l’arricchimento, quello di Natanz. Nel settembre dell’anno scorso si era appreso che un altro sito, quello di Fordo, era in corso di costruzione nei pressi della città santa di Qom. Reagendo ad una risoluzione di censura approvata per questo motivo dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Ahmadinejad aveva annunciato in novembre l’intenzione di costruire dieci nuovi siti nei prossimi anni. La prima reazione della Casa Bianca è stata però di scetticismo: il portavoce Robert Gibbs ha sottolineato ieri che la retorica di Teheran non sempre corrisponde alla realtà. Il ministro degli Esteri iraniano, Manuchehr Mottaki, aveva detto domenica che il suo Paese è ancora disposto a discutere un accordo, ma con l’intero Consiglio di Sicurezza dell’Onu e non solo con il gruppo 5+1, cioè Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania. La Francia ha respinto ieri la nuova ipotesi mentre il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, è tornata a insistere sulla necessità di nuove sanzioni perché il programma della Repubblica islamica porterebbe ad «una corsa agli armamenti nei Paesi vicini» che potrebbe «addirittura scatenare un conflitto». Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a parlare della necessità di «sanzioni paralizzanti» nei confronti di Teheran, soprattutto in campo energetico, il capo di Stato maggiore Usa, ammiraglio Mike Mullen, visti i deludenti risultati della politica «distensiva» perseguita finora dal presidente Barack Obama, ha ricordato che, nonostante resti «l’ultima opzione», l’ipotesi di un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane resta sul tavolo.

Il FOGLIO - " Ecco il piano febbrile di Teheran per rendere inutili le sanzioni "


La Cina continua a vendere benzina all'iran

Roma. Le speranze di costringere il governo di Mahmoud Ahmadinejad in un angolo, attardandosi nella costruzione di un compatto fronte anti iraniano, si affievoliscono ogni giorno che passa. L’ipotesi di un attacco militare – già remota presso l’Amministrazione Obama – è sempre più impraticabile, perché Teheran sta disseminando i siti nucleari più avanzati in tutto il paese. Ma anche l’ipotesi delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale si sta rivelando più complicata del previsto: gli Stati Uniti procedono a lunghe tessiture diplomatiche – come se le sanzioni non imponessero scadenze a breve termine – e l’Iran lavora per rendere inoffensiva ogni misura restrittiva. Dopo aver elaborato un sistema di sanzioni che facesse leva sul principale punto debole dell’economia iraniana – la mancanza di impianti per raffinare il greggio locale –, ora Washington si ritrova a poter imporre provvedimenti molto più blandi. Mentre Obama ospitava il summit per il disarmo nucleare, una settimana fa, la compagnia statale cinese Chinaoil vendeva circa 600 mila barili di petrolio all’Iran e un cargo della connazionale Sinopec si preparava a salpare da Singapore. Il premier malese si premurava di sottolineare che la sospensione delle forniture all’Iran da parte di Petronas era momentanea e dovuta esclusivamente a ragioni di mercato. Col passare del tempo la prospettiva dell’autosufficienza energetica iraniana si fa sempre più concreta, peraltro anche grazie ad attori europei. Attratta da un contratto da 512 milioni di dollari, la tedesca ABB Lummus sta affiancando un consorzio di compagnie locali per lo sviluppo della raffineria di Bandar Abbas, che al momento produce 4,8 milioni di litri di carburante e in pochi anni arriverà a 13 milioni. L’Iran ha anche altri dieci impianti in cantiere che permetteranno agli ayatollah di raddoppiare la quantità di greggio raffinato entro il 2013. La lista degli stati che stanno facendo affari d’oro con il regime iraniano è ben nutrita e va dalla Svizzera – che ha un contratto da 13 milioni di dollari per la fornitura di gas per i prossimi 25 anni – al Giappone. Secondo il sito Iran Oil and Gas, nello scorso anno Teheran ha scambiato 450 mila tonnellate di prodotti petroliferi con le vicine ex Repubbliche sovietiche e con l’Iraq. Questi dati dimostrano che, di fatto, l’Iran è in grado di raffinare il proprio greggio nonostante le sanzioni ad hoc di tipo finanziario. Il ritardo di misure efficaci, combattute dal governo iraniano con una strategia chiara e lineare, ha lasciato che prendesse forma uno scenario simile all’Iraq di Saddam Hussein, quando Giordania e Turchia raffinavano petrolio iracheno nonostante l’embargo. Una prospettiva che l’America scongiura, ma che è favorita anche da nuovi ostacoli: il Consiglio di sicurezza dell’Onu vede la presenza della Turchia – che non ha mai nascosto la sua riluttanza per la linea dura – e del Brasile, forte dell’intesa contro le sanzioni raggiunta la scorsa settimana dagli stati Bric. A maggio il seggio brasiliano passerà al Libano, riducendo ulteriormente la possibilità di “sanzioni che mordano”, come aveva detto il segretario di stato, Hillary Clinton. Anche il fronte interno potrebbe rivelarsi insidioso per l’Amministrazione americana: il New York Times ha pubblicato domenica un documento riservato che il segretario della Difesa, Robert Gates, aveva fatto circolare a gennaio tra gli alti ufficiali della Casa Bianca, denunciando la mancanza di una politica lungimirante nei confronti dell’Iran. Gates si è premurato di smorzare i toni, affermando che il dossier, reinserito nel suo contesto originario, si spiega come un contributo all’interno del processo decisionale. Ma sono molte le perplessità sulla tempistica dubbia della pubblicazione del documento. Eredità dell’Amministrazione Bush, Gates è dato in uscita entro la fine dell’anno, ma qualcuno potrebbe voler accelerare i tempi.

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