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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
15.04.2010 Finito il summit atomico di Obama, Ahmadinejad prepara il suo
Cronache e commenti di Maurizio Molinari, R. A. Segre, redazione del Foglio

Testata:Il Foglio - Il Giornale - La Stampa
Autore: La redazione del Foglio - R. A. Segre - Maurizio Molinari
Titolo: «La mossa vincente? Lasciare a casa Israele - I nostri ispettori vigileranno sui Mondiali in Sud Africa»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/04/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo "  Perché il summit antiatomico di Obama è stato un doppio flop". Dal GIORNALE, a pag. 16, l'articolo di R. A. Segre dal titolo " La mossa vincente? Lasciare a casa Israele  ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il controvertice di Ahmadinejad  " e la sua intervista a Yukiya Amano, direttore dell'AIEA, dal titolo " I nostri ispettori vigileranno sui Mondiali in Sud Africa". Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - "  Perché il summit antiatomico di Obama è stato un doppio flop"

Roma. Due conferenze internazionali sul terrorismo, una a Washington e l’altra a New York, negli stessi giorni e con risultati deludenti in entrambi i casi. Il summit antiatomico di due giorni e 47 paesi indetto dal presidente americano, Barack Obama – che tanto consenso ha raccolto tra i commentatori (soprattutto in Italia) – si muoveva su due piani. Uno era quello esplicito sul rischio che un’arma nucleare cada nelle mani di organizzazioni terroristiche. Il presidente ha usato toni drammatici, ha parlato del quantitativo di materiale nucleare “grande soltanto come una mela” sufficiente a lanciare un attacco devastante contro una città, ha dato altro vigore alla sua “primavera atomica”, la visione di un mondo che riduce il rischio legato alle armi nucleari; ma a parte il soffio vivificante di Obama pompato sull’argomento – caro ai falchi dell’Amminsitrazione Bush – non c’è altro. I paesi partecipanti si sono impegnati solennemente a non fornire armi o materiale atomico a organizzazioni terroristiche come al Qaida: ma è un impegno sottoscrivibile senza troppi pensieri, che non è vincolante dal punto di vista giuridico e ha già una scadenza incorporata di soli quattro anni. Può essere riassunto così: “Chi aderisce non dia tecnologia nucleare ad al Qaida, ma la partecipazione è volontaria”. Il secondo piano, meno esplicito ma più importante, era quello dell’intreccio diplomatico sottobanco: si trattava di raggiungere un’intesa contro l’Iran nucleare e a favore di sanzioni effettive. L’occasione era quella giusta per creare un fronte informale contro il regime, considerato l’affollamento di primi ministri: “uno speed dating nucleare”, l’ha definito Foreign Policy, come in quegli incontri per single organizzati in modo tale che tutti possano parlare con tutti. “Alla fine di questi incontri – scrive il Times di Londra – l’Amministrazione americana vanta sempre un accordo sulle sanzioni con Russia e Cina, che però impallidisce subito alla luce cruda del giorno”. E’ successo anche questa volta, con una notizia su Pechino pronta a partecipare, ieri sminuita mestamente da Obama: “Non c’è nulla di garantito”. Anzi: non soltanto l’evanescente fronte anti Iran non s’è materializzato, ma il presidente ha chiesto anche a Israele di aderire al Trattato sulla non proliferazione delle armi atomiche, rompendo una lunga tradizione di ambiguità strategica concordata fra alleati sulle reali capacità atomiche di Gerusalemme (da dove si sono levate subito proteste). Un secondo summit, delle Nazioni Unite, in molti casi con gli stessi paesi, è stato quello di New York per trovare una definizione internazionale e condivisa di “terrorismo”. Al termine, i portavoce della conferenza, Iran e Siria – sponsor del terrorismo – hanno enunciato la nuova definizione, modellata per creare una scappatoia legittima all’uccisione di civili. Il terrorismo non è un crimine se “è contro occupazioni straniere, aggressioni, colonialismo o egemonia, e ha per fine la liberazione e l’autodeterminazione”. Maglie così larghe da rendere difficile qualsiasi tentativo di condanna. Domenica a Teheran comincia una terza conferenza: “Nucleare civile per tutti, armi atomiche a nessuno”. Nel caso migliore, un esercizio di futilità. Ma gli addetti ai lavori anticipano l’intenzione del regime di trasformarlo in una grande kermesse propagandistica a favore del programma nucleare nazionale.

Il GIORNALE - R. A. Segre : " La mossa vincente? Lasciare a casa Israele "


R. A. Segre

Con la conferenza di Washington sulla sicurezza nucleare il Presidente Obama, cinto di freschi allori raccolti a Praga con la firma dell'accordo con la Russia sulla riduzione delle testate nucleari, ha riportato almeno tre successi. Essi trasformano la sua immagine di esitante e ingenuo leader della politica estera americana in uomo di stato deciso e internazionalmente rispettato.
Il primo di questi successi è costituito dall'appoggio, ancora condizionato, della Cina ai suoi sforzi per ottenere l'approvazione del Consiglio di Sicurezza di sanzioni contro l'Iran. Il secondo successo è stato l'annuncio del'Ucraina di eliminare tutte le sue scorte atomiche. Il terzo meno apparente ma importante è stato l'avvio da parte del presidente americano, all'occasione della conferenza, di un processo di avvicinamento del Pakistan all'India. Esso appare garantito dalla volontà di Obama di diluire l'appoggio dato da Bush all'India nel campo delle armi nucleari.
In questi frangenti il conflitto israelo-palestinese ritorna ad occupare un posto di primo piano nella politica estera di Washington. La conferenza sulla sicurezza nucleare, appena conclusa, ne ha dato qualche segno interessante. Anzitutto per l'assenza di Natanyahu dopo che il premier israeliano aveva annunciato la sua partecipazione. Alcuni commentatori in Israele e fuori di esso, Italia inclusa, avevano giudicato questa voluta assenza come un grosso errore da parte israeliana. Tuttavia sin dal briefing dato ai giornalisti nell'aereo che riportava Obama da Praga si era avuto l'impressione che l'assenza di Nethanyahu fosse stata concordata con gli americani. Obama e Nethanyahu avevano interesse ad impedire che Egitto e Turchia tentassero di usare la conferenza per trasformarla in una occasione per denunciare il presunto armamento atomico israeliano. Questo avrebbe rischiato di deviare la conferenza dal suo scopo: quello di raggiungere un accordo internazionale sul controllo di materiale nucleare (plutonio e uranio arricchito) che da tempo i terroristi cercano di acquisire o rubare, per fabbricare una «bomba sporca» di cui tutti i governi hanno paura. Turchia e Egitto negano ora di aver voluto imbarazzare il presidente americano e hanno taciuto di fronte a una presenza israeliana significativa: quella del ministro Meridor responsabile dell'energia atomica di Israele. Altro segno interessante: non è stato firmato a Gerusalemme il progetto tecnico di costruzione del nuovo quartiere ebraico a Gerusalemme che aveva fatto naufragare il piano di «incontri ravvicinati» fra israeliani e palestinesi, patrocinato da Washington e approvato dalla Lega araba.
Intoppo burocratico o diplomatico? Non è chiaro ma è evidente che a Gerusalemme ci si rende conto che Obama non è più il presidente «debole e da educare» di tre mesi fa. É il leder forte e deciso del solo Paese alleato dello Stato ebraico col quale si può essere in disaccordo ma non imprudenti. Terzo fatto interessante accaduto alla conferenza di Washington: il lungo incontro fra Obama e il re Abd Allah di Giordania. Per quanto critico della politica di Natanyahu, il monarca hashemita sa che l'Olp e Hamas odiano la sua dinastia non meno di quanto essi odino Israele. Qualunque sia il piano che Obama sembra deciso di proporre o di imporre ai palestinesi e agli israeliani, nel prossimo futuro, nessun governo di Gerusalemme accetterà l'esistenza di uno Stato palestinese che non sia disarmato e sotto un controllo di efficace della sicurezza. In questo contesto un eventuale ruolo giordano in Cisgiordania potrebbe essere utile. Comunque sulle vere intenzioni di Obama in merito al conflitto medio orientale se ne saprà di più alla prossima riunione dell'Onu nella quale i Paesi arabi islamici si preparano a lanciare un grande offensiva contro Israele. La grande incognita è se l'America di Obama userà, come è avvenuto in passato, il suo veto per difenderlo.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il controvertice di Ahmadinejad "


Ahmadinejad

Teheran accusa la Casa Bianca di «ricatto atomico al mondo» e si prepara ad ospitare sabato un vertice «sul disarmo e la non-proliferazione» per ribattere alle conclusioni del summit sulla sicurezza nucleare appena terminato a Washington.
L’accusa a Barack Obama di «ricatto nucleare» è contenuta in una lettera del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad all’Onu nella quale condanna le «dichiarazioni infiammatorie» con cui Washington ha detto che «tutte le opzioni sono sul tavolo» per bloccare il programma nucleare iraniano.
La pubblicazione della lettera mira a fare dell’Iran la nazione leader del fronte di coloro che si sentono «minacciati» e «ricattati» dagli Usa: uno schieramento che la «Conferenza sul disarmo e la non proliferazione» vuole fare emergere con i lavori che si aprono sabato. Per assicurarsi un successo Ahmadinejad ha riunito il consiglio per la sicurezza nazionale facendo presente la necessità di creare un «contrappeso istituzionale» al summit di Washington ed affidando al ministro degli Esteri Manoucher Mottaki il compito di raccogliere il più alto numero di adesioni.
Sono oltre 60 gli Stati inviati e al momento ad aver assicurato la presenza sono i tradizionali alleati di Siria, Venezuela e Cuba più il Turkmenistan e l’Oman con la significativa aggiunta di due potenze nucleari come India e Cina anche se invieranno funzionari non di alto livello. Mottaki sta tentando di ottenere la presenza di leader arabi ma finora non sono arrivate conferme e questo ha portato il presidente del Parlamento di Teheran, Ali Larijani, a lamentare «scarsi risultati» fino al punto da «rischiare di trasformare la conferenza in un boomerang» destinato ad evidenziare l’isolamento della Repubblica islamica sul nucleare.
Ahmadinejad ha confermato la fiducia a Mottaki, affidandogli il compito di sfruttare il contro-summit come trampolino verso la conferenza che si svolgerà in maggio all’Onu sulla revisione del Trattato di non proliferazione al fine di contrastare le manovre diplomatiche degli Stati Uniti. Ad evidenziare il contenuto della controffensiva di Teheran è il vice ministro degli Esteri, Mohammad Mehdi Akhondzadeh che preannuncia: «Al summit di questo fine settimana parteciperanno i ministri degli Esteri di 14 nazioni, i vice ministri di altre 10, i rappresentanti di 8 organizzazioni internazionali e gli esperti di 70 nazioni». Come dire, non siamo isolati.
L’intenzione di Mottaki è far sottoscrivere al vertice documenti che attestino il diritto di ogni nazione all’energia nucleare, rigettino le accuse di proliferazione nei confronti dell’Iran e mettano invece sul banco degli accusati Israele per il suo presunto arsenale atomico. Non a caso da due giornali governativi di Damasco, Al’Baath e Al Thawra, è arrivato ieri un affondo contro «le oltre 200 armi nucleari di cui Israele dispone» accusando la comunità internazionale di «chiudere colpevolmente gli occhi di fronte ai pericoli portati dall’unica potenza atomica del Medio Oriente».
A New York intanto sono ripresi i colloqui fra Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania sulla redazione della risoluzione Onu con le nuove sanzioni e il sottosegretario Usa William Burns ha parlato di un «senso di urgenza collettivo» che potrebbe portare a decisioni molto rapide.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " I nostri ispettori vigileranno sui Mondiali in Sud Africa "


Yukiya Amano

Ci occuperemo della prevenzione del terrorismo nucleare dei Mondiali in Sud Africa». Yukiya Amano è il diplomatico giapponese che da dicembre guida l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) ed è stato uno dei protagonisti del summit nucleare di Washington dal quale è uscito con l’assegnazione di compiti rafforzati nella lotta globale alla proliferazione.
Quali sono i programmi che l’Aiea punta a realizzare sulla base delle indicazioni ricevute?
«Dal summit esce un’Agenzia atomica proiettata verso molteplici compiti nella lotta alla proliferazione, che si sommano a quelli già esistenti. Due si impongono sugli altri: addestrare istruttori per aiutare i singoli Paesi a prevenire il terrorismo nucleare e a mettere al sicuro le scorte atomiche; rafforzare la nostra banca dati che è stata creata nel 1995 raccoglie le informazioni sui traffici illegali che si verificano nel mondo».
Partiamo dagli istruttori, dov’è che a suo avviso urgono maggiormente?
«Stiamo lavorando con il Sud Africa per proteggere i campionati del mondo di calcio che si svolgeranno questa estate dal rischio di attacchi terroristici. Abbiamo fatto qualcosa di simile già in occasione delle Olimpiadi di Pechino e abbiamo maturato una certa esperienza nel gestire situazioni che coinvolgono aree molto popolate. Abbiamo aiutato a rafforzare la sorveglianza su materiali radioattivi anche dopo i terremoti che hanno sconvolto l’isola di Haiti e il Cile. La minaccia del terrorismo nucleare è reale e immediata. Per farvi fronte la preparazione di un grande numero di ispettori antiterrorismo nucleare si annuncia come una sfida necessaria ma ambiziosa, contiamo sui contributi degli Stati nazionali per avere le risorse economiche necessarie ad affrontarla».
Cosa intende per «rafforzamento della banca dati»?
«Al momento otteniamo ogni anno dai singoli Paesi circa 150 segnalazioni di attività sospette sul traffico di materiali radioattivi. Ma il numero delle nazioni che le forniscono è limitato e dunque speriamo possa aumentare, consentendoci di avere una visione più dettagliata dei rischi esistenti. Abbiamo bisogno di collaborazione da parte di un maggior numero di Stati al fine di aumentare la prevenzione dei traffici che attraversano i Continenti».
Sabato si apre a Teheran il summit convocato da Ahmadinejad in risposta a quello svoltosi a Washington. Lei è stato invitato, ci andrà?
«No, mi dispiace ma avevo già un precedente impegno».
Cosa si aspetta dalle conclusioni del vertice di Teheran?
«Dall’Iran mi aspetto che prenda in considerazione la proposta fatta lo scorso anno dal mio predecessore Mohammed El Baradei sul trasferimento in Russia del loro uranio per farlo arricchire in Francia ad un livello del 20 per cento e infine restituirlo a Teheran. E’ una proposta ancora sul tavolo».
Cosa pensa della disponibilità data dalla Cina a Obama di lavorare alle sanzioni Onu contro il nucleare iraniano?
«Le sanzioni sono di esclusiva competenza degli Stati che compongono il Consiglio di Sicurezza dell’Onu».
Ma a suo avviso qual è la radice del problema, perché c’è una crescente convergenza internazionale sulle sanzioni?
«Ciò che l’Aiea chiede a Teheran è di applicare in maniera piena le convenzioni firmate. Lo abbiamo fatto a più riprese».
Il programma iraniano è la sua maggiore preoccupazione?
«Vengo dall’Asia, sono giapponese, e nella mia regione la preoccupazione maggiore viene dalla Corea del Nord. E’ comunque evidente che il programma iraniano solleva grandi interrogativi nella comunità internazionale, come si è visto al summit di Washington».\
L’Iran potrebbe avere il combustibile nucleare per costruire una bomba atomica in un anno, ma avrà le conoscenze e gli strumenti necessari per completare il progetto non prima di tre, quattro o forse cinque anni. Lo ha detto il vice capo di Stato Maggiore delle forze armate americane James Cartwright (foto) nel corso di una testimonianza al Senato di Washington. Il generale del Pentagono ha spiegato che la sua «valutazione» è di carattere generale. Teheran è nel mirino della comunità internazionale per il suo programma di arricchimento dell’uranio.

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