Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/04/2010, a pag. 8, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Emergency, Berlusconi scrive a Karzai. Forse scarcerato uno dei tre italiani ", a pag. 14, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " Quando il governo si muove per far luce sul caso Emergency ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-34, l'articolo di Gino Strada dal titolo " Curiamo tutti, non taceremo mai di fronte agli orrori della guerra ", preceduto dal nostro commento. Pubblichiamo il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo " Bene Frattini, azione di governo delicata e complessa ". Ecco gli articoli:
Fiamma Nirenstein - " Bene Frattini, azione di governo delicata e complessa "
Fiamma Nirenstein
"L'audizione di oggi del Ministro Frattini ha fornito una visione equilibrata e realistica della vicenda dei tre operatori umanitari italiani arrestati, prendendo una posizione di totale garantismo e spiegando come si sta cercando di fornire ai nostri connazionali tutte le rassicurazioni possibili a fronte dell'azione di un governo, quello di Karzai, che non risponde né alla nostra legge né ai nostri ordini. E' quindi operazione delicata e complessa riuscire a dare l'aiuto più effettivo e ci sembra che l'Italia lo stia facendo con tutto il suo impegno, anche in una situazione in cui il contesto politico è reso più scivoloso dai recenti dissapori fra il presidente Karzai e gli Stati Uniti.
Mi unisco alla speranza che la vicenda si concluda felicemente quanto prima possibile per i tre operatori umanitari e le loro famiglie, alle quali esprimo la mia più sentita solidarietà.
Constato tuttavia che l'innalzameno dei toni, oltre ad essere sbilanciato rispetto all'azione del nostro governo, che ovviamente si muove nell'ambito del possibile rapporto fra Stati sovrani - essendo fortunatamente finiti i tempi del colonialismo -, ha portato anche a posizione estreme come quella che rimette in discussione persino la presenza delle nostre truppe in Afghanistan.
Abbassare i toni, accertare la realtà e discutere di come fare del nostro meglio per i nostri connazionali, questa mi pare la strada più sensata.
Mi sembra tuttavia utile, nell'ambito di questa discussione, notare che esiste una vasta zona grigia in cui ormai da tempo si trovano anche le maggiori organizzazioni umanitarie e di solidarietà internazionale, che spesso sono portate a confondere la sofferenza delle persone che esse soccorrono con le loro ragioni politiche. E' così, per citare alcuni casi recenti, che Amnesty International simpatizza con la Jihad, Human Rights Watch si trova criticata alle fondamenta dal suo stesso fondatore, Robert Bernstein, che ne prende le distanze, e molte Ong francesi a Gaza, secondo la distratta testimonianza del Ministro degli esteri Kouchner, risultano intime conoscitrici, almeno, della realtà dominata da Hamas.
Sempre allineandomi sulla presunzione d'innocenza dei nostri connazionali, ritengo che Emergency, proprio per le continue prese di posizione politiche del suo fondatore, è di certo una delle organizzazioni umanitarie che condivide la tendenza antiamericana e antioccidentale tipica delle associazioni sopra citate. E' questo un fenomeno rilevante di cui va tenuto conto quando si apre, come in questi giorni, una discussione sulle organizzazioni di solidarietà internazionale".
CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Emergency, Berlusconi scrive a Karzai. Forse scarcerato uno dei tre italiani "

ROMA— «Non sono soddisfatto delle risposte che finora abbiamo ricevuto dalle autorità afghane», ha detto ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini. Lo ha affermato mentre riferiva in Parlamento sui tre volontari di Emergency arrestati sabato a Lashkar Gah con l’accusa non ancora formalizzata di «detenzione consapevole» di armi da impiegare in attentati che avrebbero avuto come bersaglio ultimo il governatore dell’Helmand.
I tre italiani sono tuttora nelle mani del National directorate of security, il servizio segreto locale, «provati da questa vicenda sotto il profilo emotivo», e almeno due rischiano di trascorrere altre tre settimane dietro le sbarre soltanto per la prima fase del procedimento. Un terzo (probabilmente il logista Matteo Pagani) «potrebbe essere rimesso in libertà».
Il titolare della Farnesina non ha comunicato alle commissioni Esteri di Camera e Senato di aver rivolto a Kabul una richiesta di liberare subito gli italiani. Secondo le parole di Frattini, le linee che il governo italiano si è prefisso di perseguire su questo caso sono due: «Prima, rapido accertamento dei fatti. Seconda, garanzia assoluta dei diritti di difesa sulla base del principio di presunzione di innocenza».
Sarebbe anche il senso di una lettera mandata da Silvio Berlusconi al presidente afghano Hamid Karzai, con un messaggio del ministro, tramite l’inviato per l’Afghanistan Attilio Iannucci, partito martedì da Roma. Il problema, se ce ne fosse uno solo, è che la procedura delineata nel resoconto per senatori e deputati non è fulminea per gli arrestati dell’ospedale sgradito da anni all’Nds.
Come ha riferito Frattini, per il chirurgo Marco Garatti, l’infermiere Matteo Dell’Aira e Pagani vale il codice di procedura penale ad interim del 2004. Quello nuovo (scritto su consulenza italiana) non è ancora stato votato nel Parlamento di Kabul. Le norme prevedono che in inchieste antiterrorismo gli indagati possono stare 15 giorni nelle mani dell’Nds, poi il procuratore ne ha 15 per decidere se rinviare a giudizio. Frattini: «Tempi per il procuratore molto stretti».
All’appoggio pieno al ministro dalla maggioranza di governo sono corrisposti il dissenso dell’Italia dei valori e una richiesta di fare di più del Pd. Con toni variabili, la seconda, da quelli accesi di Furio Colombo («Purtroppo il suo difetto è la debolezza») a quelli di Federica Mogherini: «Forti preoccupazioni sulla capacità, o reale volontà politica, del governo di assumere un’iniziativa adeguata».
Frattini ha aggiunto di aver ottenuto un sì a «un team congiunto italo-afghano per l’accertamento dei fatti». Emma Bonino, Pd, ha chiesto di agire affinché non costituisca prova a carico «qualunque cosa i tre abbiano detto nei due interrogatori senza avvocati». Frattini domanderà di ripeterli. A chi ritiene che deve andare a Kabul, ha risposto di non essere disposto «a dire "questa è la nostra regola", spazzando via le leggi come se fossimo i padroni dell’Afghanistan».
CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " Quando il governo si muove per far luce sul caso Emergency "

Franco Venturini
Proprio noi, che l'avremmo voluta più tempestiva e non ne abbiamo fatto mistero, registriamo con soddisfazione la risposta che Berlusconi e Frattini hanno dato ieri all’arresto dei tre operatori italiani in Afghanistan. Al presidente Karzai è stata recapitata una richiesta ufficiale di spiegazioni «urgenti e concrete», e il ministro degli Esteri ha precisato in Parlamento di essere «insoddisfatto» delle risposte sin qui ricevute da Kabul. Ogni sforzo sarà ora fatto per arrivare alla verità, partendo, beninteso, dalla presunzione di innocenza che vige in tutto il mondo civile.
Bene, dunque, anche se tardi. Ma in attesa che Karzai ci onori con chiarimenti adeguati, la vicenda dell'ospedale di Emergency pone inevitabilmente interrogativi che dovranno anch’essi trovare risposta. L'Italia ha una presenza cruciale in Afghanistan, e forse andrebbe ricordato in questo momento che il governo di Roma è stato il più pronto e il più generoso quando si è trattato di mandare i rinforzi che Obama (d'accordo con Karzai, si presume) reclamava a gran voce. Orbene, era stata informata l'Italia dell’incursione dei servizi segreti afghani? Ne sapeva qualcosa il comando Isaf? Siamo stati tenuti subito al corrente della presenza di truppe inglesi chiamate (lo ha detto ieri Frattini) dopo il rinvenimento di armi e di un piano di attentato (scritto!) all’interno dell'ospedale? Se è così, gli 007 afghani potrebbero aver avuto tutto il tempo di piazzare loro le «prove» contro i tre italiani. Allo scopo, per esempio, di rendere inoperante l'ospedale più scomodo del mondo e di dare a Emergency una intimidatoria lezione. Roma, insomma, oltre a parlare con Kabul dovrebbe farlo anche con il generale McCrystal che comanda l'Isaf. E pretendere da entrambi, con i più elementari chiarimenti, anche un maggiore rispetto.
Un consiglio ci sentiamo di darlo anche a Gino Strada, in vista della manifestazione di sabato a Piazza Navona. Si adoperi perché non vengano esibiti simboli di partito o comunque politici. Non dia un contributo alla consolidata tendenza italica di vedere tutto attraverso la lente degli schieramenti interni. I presunti «bombaroli in camice bianco», dalla loro ignota prigione, non ne trarrebbero giovamento.
La REPUBBLICA - Gino Strada : " Curiamo tutti, non taceremo mai di fronte agli orrori della guerra "
A Gino Strada consigliamo la lettura del pezzo di Franco Venturini di oggi, il quale scrive, nel finale : " Un consiglio ci sentiamo di darlo anche a Gino Strada, in vista della manifestazione di sabato a Piazza Navona. Si adoperi perché non vengano esibiti simboli di partito o comunque politici. Non dia un contributo alla consolidata tendenza italica di vedere tutto attraverso la lente degli schieramenti interni. I presunti «bombaroli in camice bianco», dalla loro ignota prigione, non ne trarrebbero giovamento ".
Più che fare politica, sarebbe utile chiarire che cosa ci facessero delle armi per talebani in un ospedale di Emergency e quale potrebbe essere il ruolo dei medici e di Emergency stessa.
Ecco il pezzo di Gino Strada:

Gino Strada
Caro direttore, si introducono – direttamente o con la complicità di qualcuno che vi lavora – alcune armi in un ospedale, poi si dà il via all´operazione… Truppe afgane e inglesi circondano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah, poi vi entrano mitragliatori in pugno e si recano dove sanno di trovare le armi. A quanto ci risulta, nessun altro luogo viene perquisito.
Si va diritti in un magazzino, non c´è neppure bisogno di controllare le centinaia di scatole sugli scaffali, le due con dentro le armi sono già pronte – ma che sorpresa! – sul pavimento in mezzo al locale. Una telecamera e il gioco è fatto.
Si arrestano tre italiani – un chirurgo, un infermiere e un logista, gli unici internazionali presenti in quel momento in ospedale – e sei afgani e li si sbatte nelle celle dei Servizi di Sicurezza, le cui violazioni dei diritti umani sono già state ben documentate da Amnesty International e Human Rights Watch.
Anche le case di Emergency vengono circondate e perquisite. Alle cinque persone presenti – tra i quali altri quattro italiani – viene vietato di uscire dalle proprie abitazioni. L´ospedale viene militarmente occupato.
Le accuse: «Preparavano un complotto per assassinare il governatore, hanno perfino ricevuto mezzo milione di dollari per compiere l´attentato». A dirlo non è un magistrato né la polizia: è semplicemente il portavoce del governatore stesso.
Neanche un demente potrebbe credere a una simile accusa: e perché mai dovrebbero farlo? La maggior parte dei razzi e delle bombe a Lashkargah hanno come obiettivo il palazzo del governatore: chi sarebbe così cretino da pagare mezzo milione di dollari per un attentato visto che ogni giorno c´è chi cerca già di compierlo gratuitamente?
Questa montatura è destinata a crollare, nonostante la complicità di pochi mediocri – che vergogna per il nostro Paese! – che cercano di tenerla in piedi con insinuazioni e calunnie, con il tentativo di screditare Emergency, il suo lavoro e il suo personale.
Perché si aggredisce, perché si dichiara guerra a un ospedale? Emergency e il suo ospedale sono accusati di curare anche i talebani, il nemico.
Ma non hanno per anni sbraitato, i politici di ogni colore, che l´Italia è in Afghanistan per una missione di pace? Si possono avere nemici in missione di pace?
In ogni caso l´accusa è vera. Anzi, noi tutti di Emergency rendiamo piena confessione. Una confessione vera, questa, non come la "confessione choc" del personale di Emergency che è finita nei titoli del giornalismo nostrano.
Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti. Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani.
Curiamo i talebani come abbiamo curato e curiamo i mujaheddin, i poliziotti e i soldati afgani, gli sciiti e i sunniti, i bianchi e i neri, i maschi e le femmine. Curiamo soprattutto i civili afgani, che sono la grande maggioranza delle vittime di quella guerra.
Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato.
Crediamo che anche il più crudele dei terroristi abbia diritti umani – quelli che gli appartengono per il solo fatto di essere nato – e che questi diritti vadano rispettati. Essere curati è un diritto fondamentale, sancito nei più importanti documenti della cultura sociale, se si vuole della "Politica", dell´ultimo secolo. E noi di Emergency lo rispettiamo. Ci dichiariamo orgogliosamente "colpevoli".
Curiamo tutti. In Afghanistan lo abbiamo fatto milioni di volte. Nell´ospedale di Lashkargah lo abbiamo fatto sessantaseimila volte. Senza chiedere, di fronte a un ferito nel pronto soccorso, «Stai con Karzai o con il mullah Omar?». Tantomeno lo abbiamo chiesto ai tantissimi bambini che abbiamo visto in questi anni colpiti da mine e bombe, da razzi e pallottole. Nel 2009 il 41 percento dei feriti ricoverati nell´ospedale di Emergency a Lashkargah aveva meno di 14 anni. Bambini. Ne abbiamo raccontato le storie e mostrato i volti, le immagini vere della guerra, la sua verità.
«Emergency fa politica», è l´altra accusa che singolarmente ci rivolgono i politici. In realtà vorrebbero solo che noi stessimo zitti, che non facessimo vedere quei volti e quei corpi martoriati. «Curateli e basta, non fate politica». Chi lo sostiene ha una idea molto rozza della politica.
No, noi ci rifiutiamo di stare zitti e di nascondere quelle immagini. Da tempo la Nato sta compiendo quella che definisce «la più importante campagna militare da decenni»: la prima vittima è stata l´informazione. Sono rarissimi i giornalisti che stanno informando i cittadini del mondo su che cosa succede nella regione di Helmand. I giornalisti veri sono scomodi, come l´ospedale di Emergency, che è stato a lungo l´unico "testimone" occidentale a poter vedere "gli orrori della guerra".
Non staremo zitti.
Emergency ha una idea alta della politica, la pensa come il tentativo di trovare un modo di stare insieme, di essere comunità. Di trovare un modo per convivere, pur restando tutti diversi, evitando di ucciderci a vicenda. Emergency è dentro questo tentativo. Noi crediamo che l´uso della violenza generi di per sé altra violenza, crediamo che solo cervelli gravemente insufficienti possano amare, desiderare, inneggiare alla guerra. Non crediamo alla guerra come strumento, è orribile, e mostruosamente stupido il pensare che possa funzionare. Ricordiamo «la guerra per far finire tutte le guerre» del presidente americano Wilson? Era il 1916. E come si può pensare di far finire le guerre se si continua a farle? L´ultima guerra potrà essere, semmai, una già conclusa, non una ancora in corso.
La risposta di Emergency è semplice. Abbiamo imparato da Albert Einstein che la guerra non si può abbellire, renderla meno brutale: «La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire». Nella nostra idea di politica, e nella nostra coscienza di cittadini, non c´è spazio per la guerra. La abbiamo esclusa dal nostro orizzonte mentale. Ripudiamo la guerra e ne vorremmo la abolizione, come fu abolita la schiavitù.
Utopia? No, siamo convinti che la abolizione della guerra sia un progetto politico da realizzare, e con grande urgenza. Per questo non possiamo tacere di fronte alla guerra, a qualsiasi guerra. Di proporre quel progetto, siamo colpevoli.
Ecco, vi abbiamo fornito le risposte. E adesso? Un pistoiese definì il lavoro di Emergency «ramoscello d´ulivo in bocca e peperoncino nel culo». Adesso è ora che chi "di dovere" lavori in quel modo, e tiri fuori "i nostri ragazzi". Può farlo, bene e in fretta. Glielo ricorderemo sabato pomeriggio, dalle due e mezza, in piazza Navona a Roma.
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