Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2010, a pag. 2, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama: al Qaeda non avrà la bomba ", a pag. 1-41, il suo commento dal titolo " Il mondo senza steccati ", a pag. 3, l'articolo di Francesco Sisci dal titolo " L’abbraccio calcolato di Hu: sanzioni all’Iran in cambio di hi-tech ". Da REPUBBLICA, a pag. 2, l'intervista di Arturo Zampaglione a Graham Allison dal titolo " I terroristi sono pronti a colpire ", a pag. 4, l'articolo di Angelo Aquaro dal titolo "Il sogno atomico di Bin Laden ". Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il mondo senza steccati "

Maurizio Molinari
La firma dei 47 leader sull’accordo di Washington contro il terrorismo nucleare sancisce la nascita della nuova architettura internazionale promossa da Barack Obama che già aveva iniziato a prendere forma nel settembre scorso in occasione del G20 di Pittsburgh contro la minaccia della recessione globale. I due summit internazionali che Obama ha presieduto hanno in comune un format.
Questo tipo di format archivia i dogmi dell’architettura della comunità internazionale ereditata dal Novecento: non ci sono più i blocchi geopolitici di Est e Ovest o quelli economici di Nord e Sud, scompaiono gli steccati fra Paesi ricchi e poveri come fra quelli che possiedono armi nucleari o ne sono privi. A sostituire l’equilibrio fra i blocchi ci sono tavoli multilaterali dove il numero dei presenti cambia in forza dell’agenda discussa e gli invitati dicono la propria, assumendosi precise responsabilità, in una cornice di pari rispetto e dignità. Tanto il G20 che il summit sulla Sicurezza Nucleare si rifanno al modello delle Nazioni Unite che si originò dal summit di San Francisco del 1945 ma con qualche correzione, perché se da un lato si tratta di forum globali dall’altro non vi si è ammessi per diritto ma in quanto si è pronti ad assumere specifici compiti, con tanto di cifre e scadenze da rispettare. Di conseguenza l’America esercita il proprio ruolo di leadership non per i diritti acquisiti vincendo le guerre del secolo passato contro militarismo, nazifascismo e comunismo ma in forza delle maggiori responsabilità che è disposta ad assumersi. Sono infatti gli Stati Uniti a spendere di più sia per mettere al sicuro le scorte nucleari disseminate dall’ex Urss all’America Latina sia per varare stimoli fiscali che sostengano una debole crescita economica globale.
Ciò significa che anche le altri potenze, più o meno grandi e ricche, possono auspicare a ritagliarsi ruoli di primo piano nell’affrontare le emergenti sfide globali. Ma a patto che accettino di sostenere i costi, economici e politici, che ciò comporta. Nella nuova architettura che Obama sta iniziando a realizzare l’America resta la «nazione indispensabile», come dice l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, ma lascia agli altri tutto lo spazio che vogliono occupare.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: al Qaeda non avrà la bomba "

Barack Obama
Il summit di Washington sulla sicurezza nucleare si conclude con un patto fra i 47 leader su misure tese a «impedire ai gruppi terroristi di ottenere materiale nucleare», grazie a «rigidi controlli su uranio arricchito e plutonio», al fine di «garantire la sicurezza di tutti i depositi a rischio entro 4 anni», oltre a «sostenere lo sviluppo dell'atomo civile». Ai Paesi che dispongono di reattori che adoperano uranio arricchito si chiede di convertirli per adoperare uranio non arricchito. È l'accordo che Obama cercava al fine di far nascere al Convention Center di Washington una coalizione internazionale accomunata dalla volontà di scongiurare il terrorismo nucleare. «I rischi di attacchi atomici sono aumentati perché gruppi come Al Qaeda tentano di mettere le mani su questi materiali» ha detto il presidente americano. Questa minaccia «è una delle più gravi» ha aggiunto Obama, sottolineando come «il mondo è più sicuro grazie agli accordi che abbiamo raggiunto».
Il più importante di questi è la firma di Mosca e Washington sull'eliminazione a partire dal 2018 di oltre 34 tonnellate di plutonio a testa, l'equivalente di 17 mila armi nucleari. Nell'ambito di questa intesa sarà chiuso l'ultimo reattore russo al plutonio. L'Ucraina entro il 2012 trasferirà tutte le scorte nucleari nei depositi di America e Russia. Messico, Stati Uniti e Canada convertiranno l'uranio arricchito di cui dispongono in un tipo carburante meno pericoloso, ricorrendo a un reattore messicano. Italia, Giappone, India e Cina creeranno «scuole per la sicurezza nucleare» per addestrare ispettori qualificati. Per la cancelliera tedesca Angela Merkel «abbiamo compiuti passi importanti nel rispondere a minacce che ignoravamo» mentre il ministro degli Esteri britannico David Miliband sottolinea il valore di un altro impegno: «Impedire che le conoscenze scientifiche nucleari finiscano nelle mani dei terroristi», grazie all'applicazione di filtri più accurati su studiosi e studenti ammessi nei laboratori di ingegneria atomica.
Il summit sulla sicurezza nucleare tornerà a riunirsi nel 2012 in Corea del Sud, una nazione in prima linea di fronte alla minaccia della proliferazione di Pyongyang. Il presidente Lee Myung-bak ha mandato un segnale esplicito alla Corea del Nord: «Se vorrà essere invitata dovrà rinunciare all'arsenale nucleare».
Gli altri messaggi del Convention Center hanno avuto per destinario l'Iran. Obama nella conferenza stampa finale ha sottolineato la convergenza con la Cina sulle sanzioni Onu: «Una loro delegazione sta trattando a New York per la redazione del testo della risoluzione». Pechino solleva ancora obiezioni per difendere i propri rapporti commerciali con Teheran ma Obama è ottimista: «Avremo sanzioni robuste all'Onu entro qualche settimana». Reduce dalla firma del trattato Start a Praga e soddisfatto per l'accordo raggiunto a Washington, Obama guarda già al prossimo passo sul fronte del disarmo e auspica che due Paesi alleati, Israele e Pakistan, «scelgano di aderire al Trattato contro la proliferazione nucleare». Per Gerusalemme e Islamabad si apre un nuovo fronte di possibili tensioni con l'Amministrazione.
La STAMPA - Francesco Sisci : " L’abbraccio calcolato di Hu: sanzioni all’Iran in cambio di hi-tech"

Hu Jintao
A Washington la Cina, con il presidente Hu Jintao, ha messo in moto tutta la migliore tradizione di diplomazia: ha sorriso, ha chinato la testa, ha ascoltato pazientemente, ma certo non per questo ha rinunciato ai suoi principi e ai suoi interessi. Cioè ha obbedito alla vecchia massima che qui prescrive: morbido fuori, duro dentro.
Il punto per la Cina è che l’Iran e il suo disarmo nucleare sono solo un paio di tessere di un complesso mosaico da costruire. Hu ha infatti presentato al collega americano Barack Obama un programma di cooperazione in cinque punti. Qui Hu ha aperto la porta su tutti i campi delicati, Nord Corea, Iran e ogni altro. Ma ha anche avanzato richieste precise sulla vendita di tecnologie dall’America alla Cina.
Questo, secondo Pechino, è il vero bandolo della complicata matassa. La Cina si lamenta di essere sottoposta ancora a un regime di sanzioni che preclude la vendita di tecnologie avanzate dal possibile uso duale, civile e militare. È vero, dicono alcuni militari cinesi, che Obama ha fatto alcune concessioni riguardo ai reattori nucleari, per esempio. Ma non sono i terreni in cui la tecnologia cinese è più arretrata. Pechino è più interessata ai super computer o ai satelliti. Ne ha bisogno l’industria civile per le previsioni del tempo e per i servizi di telecomunicazione.
La vendita di queste tecnologie, di cui la Cina ha bisogno in gran quantità, potrebbe riequilibrare la bilancia commerciale con gli Usa e magari spostarla in favore dell’America almeno per alcuni anni. Ma i super computer o la tecnologia satellitare possono avere anche un uso militare, per esempio per lanciare meglio e con maggiore precisione i missili balistici.
La questione coinvolge anche la sicurezza e il futuro di Taiwan, l’alleanza americana con il Giappone, la stessa sicurezza delle decine di migliaia di soldati Usa di stanza tra Sud Corea e arcipelago nipponico. È molto difficile per l’America vendere a Pechino tecnologie che di fatto mettono a rischio alleati tradizionali. La Cina lo sa, ma teme di essere usata come un taxi. L’America chiede l’aiuto cinese per risolvere delle questioni urgenti e scottanti come la Corea del Nord o l’Iran, ma dopo avere ottenuto queste soluzioni le volta le spalle.
Pechino vuole e cerca una partnership forte, solida con Washington, per ridisegnare il futuro dell’Asia, ristabilire gli equilibri portanti nel Pacifico e oltre. È in questo quadro che va vista la questione del disarmo iraniano. Per Pechino si tratta di aiutare a costruire un percorso strategico con l’America, non ostacolare lo sviluppo del rapporto, non rompere il fidanzamento, ma neanche affrettarsi a cedere la propria virtù prima di essere stati portati all’altare. Né la Cina può imporre sanzioni all’Iran, che di fatto vanno a colpire le sue forniture strategiche di energia (Pechino importa da Teheran l’11% del suo fabbisogno energetico, tra gas e petrolio), o far saltare contratti di aziende cinesi in Iran per il valore di miliardi.
Si tratta allora di mandare avanti il dialogo con Teheran, sperando che l’Iran ceda sul nucleare senza bisogno di sanzioni. E se si arriverà al punto estremo, cioé a sanzioni molto dure, la Cina non resterà con il cerino in mano, ma cercherà di tutelare i suoi interessi energetici. Del resto questa tutela non è solo cinese. Se la Cina domani dovesse smettere di comprare energia iraniana, e il nuovo fabbisogno cinese si riversasse sul resto del mercato mondiale, il prezzo del petrolio schizzerebbe subito oltre i 200 dollari al barile, ammazzando sul nascere quel poco di ripresa economica che appare oggi all’orizzonte dopo la crisi.
In questo è sempre più chiaro che, come dalla vita dell’America dipende oggi il mondo, così anche le sfortune della Cina oggi possono essere le sfortune del mondo. In questo tenue, esilissimo equilibrio, Hu ha teso «la sua» mano a Obama.
La REPUBBLICA - Arturo Zampaglione : " I terroristi sono pronti a colpire "

Graham Allison
NEW YORK - «Sembra quasi impossibile che i terroristi facciano esplodere una bomba nucleare nel cuore di Mosca, Mumbai o New York», osserva Graham Allison, professore di Harvard e direttore del Belfer Center per la scienza e gli affari internazionali. «Ma dal punto di vista analitico - aggiunge - la sola differenza fra i tremila morti dell´attacco di Al Qaeda dell´11 settembre e i trecentomila di una detonazione nucleare a New York è nella capacità dei terroristi di procurarsi un ordigno».
Allison non ha dubbi: il terrorismo nucleare è il pericolo maggiore per la nostra civiltà, anche perché Al Qaeda, i separatisti ceceni e altri gruppi eversivi non hanno mai nascosto la speranza di dotarsi di questi sistemi d´arma. Un obiettivo difficile, ma non impossibile: per costruire un ordigno bastano 25 chili di uranio arricchito, di cui ne esistono nel mondo già 1600 tonnellate. I terroristi potrebbero anche comprare l´uranio o rubare gli ordigni, come hanno già tentato di fare più volte.
Se finora la comunità internazionale si è mossa con ritardo, il Summit di Washington va però nella direzione giusta: a condizione che - insiste Allison, che ha dedicato all´argomento articoli, convegni e il suo ultimo libro (Nuclear terrorism. The ultimate preventable catastrophe) - le promesse dei 47 capi di Stato e di governo si traducano in fatti concreti e verificabili.
Professor Allison, nel sito del Belfer Center lei ha riassunto l´importanza del vertice. Ma c´è anche un po´ di confusione attorno all´incontro. Come mai?
«Perché è la prima volta che il mondo affronta in modo specifico la questione. La parola "nucleare" è piena di simbolismi e si riferisce a tante cose: alle armi, alla loro proliferazione, alle manovre dell´Iran, ai trattati Start, alla produzione di energia. Ma nessuno di questi aspetti è stato toccato dal summit di Washington, che si è invece concentrato sui modi per prevenire il terrorismo nucleare».
Quale è la risposta?
«L´unico modo è impedire che i terroristi mettano le mani sulle armi nucleari e i materiali usati per costruirli. Se ad esempio mettessimo l´intero arsenale nucleare in un luogo come Fort Knox, dove sono conservate le riserve di oro degli Stati Uniti, o nella sala dell´Armeria del Cremlino, il rischio sarebbe ridotto quasi a zero».
Ma siamo ancora lontani da soluzioni del genere.
«E´ vero. Mentre già dal 1998 Osama Bin Laden aveva parlato della "bomba nucleare dell´Islam" per "terrorizzare i nemici di Dio", si è finora fatto poco per prevenire una catastrofe. E il tempo stringe. A chi mi chiede quando i terroristi potrebbero lanciare il primo attacco nucleare, rispondo: anche oggi. Se riuscissero a procurarsi l´uranio arricchito, avrebbero bisogno di appena un anno per costruire un ordigno rudimentale ma ugualmente distruttivo».
Sembrano considerazioni molto pessimiste.
«Ragione di più per rallegrarsi dello sforzo avviato a Washington da Barack Obama. Il quale su questo tema ha un opinione identica al suo predecessore George W. Bush: per entrambi il terrorismo nucleare rappresenta la maggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti».
La REPUBBLICA - Angelo Aquaro : " Il sogno atomico di Bin Laden "
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NEW YORK - Gli analisti lo chiamano "worst case scenario", lo scenario peggiore, ma non è che gli altri siano più tranquillizzanti. Lo scenario peggiore, dunque, è anche il più semplice da immaginare: Al Qaeda mette le mani sull´atomica nella maniera più facile, afferrando la valigetta nucleare pachistana. Rolf Mowatt-Larssen, un ex detective della Cia, dice che la possibilità che i Taliban travolgano il governo del Pakistan è, appunto, l´ipotesi più drammatica. Ma così non la vede certamente Sayeed Al-Masri, il numero tre di Al Qaeda: «Se Dio vorrà» ha tuonato qualche mese fa «le armi nucleari dei pachistani finiranno nelle mani dei mujaheddin. Che le useranno contro gli americani».
C´è tanto da avere paura: la situazione sarebbe anche più grave a dare retta a certe ricostruzioni. Come quella che giura che «Al Qaeda avrebbe ottenuto almeno 40 armi nucleari dall´ex Unione Sovietica». Serviranno ad attuare il piano battezzato in codice con poca ma macabra fantasia "American Hiroshima". Le armi entrerebbero negli Usa dal confine colabrodo del Messico. Da lì, boom: almeno 4 milioni di americani morti, l´obiettivo di Bin Laden, di cui 2 milioni «dovranno essere bambini. Soltanto a questo punto», giura un altro ex agente, questa volta dell´Fbi, Paul Williams, «Bin Laden considererà vendicati i crimini commessi dall´America nel mondo musulmano».
Spy-story? Errore. L´incubo atomico di Al Qaeda è nero su bianco su «Securing the Bomb», un report realizzato questa settimana dal Belfer Center for Science and International Affairs dell´Università di Harvard. Pagina cinque: «Al Qaeda sta cercando di impossessarsi di armi nucleari e ha ripetutamente cercato di acquisire i materiali e le conoscenze necessarie a fabbricarli». Pagina 13: «Subito dopo gli attacchi dell´11 settembre, Bin Laden e Ayman al-Zawahiri si incontrarono con due importanti scienziati nucleari per discutere di armi atomiche. L´ex capo della Cia George Tenet ha raccontato che i due fornirono ad Al Qaeda una bozza del disegno di un´arma atomica: i funzionari Usa erano così preoccupati che il presidente Bush li spedì a discutere la materia direttamente con il presidente pachistano Musharraf».
Non basta. «Nel 2002-2003, l´Intelligence Usa ricevette una serie di report sul fatto che la cellula in Arabia Saudita di Al Qaeda stava negoziando l´acquisito di tre ordigni nucleari russi». E questo mentre nello stesso periodo Bin Laden in persona cercava di convincere un leader religioso saudita a lanciare una fatwa che autorizzasse l´uso dell´atomica contro i civili americani. Se guerra dev´essere, che sia sempre nel nome di Dio.
L´incubo delle mani di Al Qaeda sull´atomica riemerge periodicamente, riaffacciandosi come il fantasma di Abdul Qadeer Kahn, il padre di quel "bazar atomico" al quale si rifornì una ventina d´anni fa l´asse del male di allora: Iran, Corea del Nord e Libia. Vent´anni dopo, solo il paese di Gheddafi è uscito, a suon di miliardi di dollari concessi, dalla lista nera. Ed è spuntata invece Al Qaeda.
E pensare che alla vigilia dell´11 settembre, la leadership era appunto divisa tra Osama e il suo luogotenente Al Zawahiri da una parte e il numero tre Al Masri dall´altra. Perché investire uomini e denaro nell´attacco aereo?, si chiedeva il secondo egiziano del gruppo. Lui avrebbe preferito proseguire i suoi esperimenti: «Con l´esplosivo convenzionale erano già stati condotti test sull´uso di una bomba atomica».
Dice oggi «Securing the Bomb» che 18 sono stati i casi di perdita o furto di plutonio e uranio arricchito. Ma quello che inquieta di più è la facilità con cui i terroristi si possono impossessare del materiale. Il caso più clamoroso è quello dei blitz nella base Usa belga di Klein-Borge, dove per ben due volte in due anni alcuni gruppi pacifisti sono riusciti a intrufolarsi senza che nessuno li fermasse. La bomba era lì, a portata di mano. Klein Borge è la stessa base che nel 2001 un militante di Al Qaeda confessò di volere attaccare. Sarebbe stata l´apocalisse. E l´11 settembre doveva ancora venire.
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