martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.04.2010 Start 2, tutti festeggiano, cronache,analisi,interviste
di Maurizio Molinari, Alessandra Farkas,l'editoriale del Foglio

Testata:La Stampa-Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari, Alessandra Farkas
Titolo: «Obama Medvedev, inizia una nuova era»

Obama è Medvedev firmano lo Start 2 a Praga. Riprendiamo oggi, 09/04/2010, dalla STAMPA la cronaca di Maurizio Molinari, l'editoriale dal FOGLIO, dalla STAMPA la breve di agenzia sull'incontro di lunedì a Washington al quale non parteciperà Netanyahu, sempre dalla STAMPA l'intervista di Maurizio Molinari a Marshall Goldman, dal CORRIERE della SERA l'intervista di Alessandra Farkas a Joshua Pollack.
Ecco gli articoli:

La Stampa- Maurizio Molinari: " Obama e Medvedev, inizia un anuova era "

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Nel castello di Praga Barack Obama e Dmitry Medvedev firmano il nuovo accordo Start, che riduce del 30% gli armamenti strategici, inaugurando una nuova partnership che punta a lottare contro la proliferazione nucleare, a cominciare dall’Iran.
Con alle spalle le rispettive bandiere assieme al drappo della Repubblica Ceca, i presidenti di Stati Uniti e Russia appongono le firme che concludono oltre un anno di negoziati esprimendo con sorrisi, battute e strette di mano la forte intesa personale che ha reso possibile l’accordo politico che fissa a 1550 testate nucleari dispiegate il limite dei rispettivi arsenali. «Questo accordo testimonia come i vecchi nemici sanno creare nuove alleanze» afferma Obama. «E’ un’intesa fra eguali, non vi sono vincitori nè vinti» gli fa eco Medvedev. Il nuovo Start è basato su un «reciproco rispetto - sottolinea Obama - e manda al mondo il segnale che i nostri Paesi sono pronti ancora una volta ad assumere la leadership». E’ un’atmosfera che spinge i portavoci dei due Paesi a parlare di «inizio di nuova era», che il Segretario di Stato Hillary Clinton saluta davanti ai riflettori con un’espressione raggiante al momento della firma: «Wow!».
Ciò non significa che il disaccordo sul sistema antimissile Usa sia archiviato ma Obama e Medvedev preferiscono parlare delle convergenze, che riguardano la lotta alla proliferazione nucleare in agenda nel summit internazionale di lunedì a Washington e le nuove sanzioni dell’Onu all’Iran. «Vareremo forti sanzioni in primavera» assicura Obama, secondo il quale «i negoziati sullo Start hanno aiutato questo processo perché con Medvedev abbiamo costruito un rapporto di fiducia». «Non possiamo voltare lo sguardo dall’altra parte quando l’Iran viene meno ai suoi obblighi» aggiunge Medvedev riferendosi al perdurante mancato rispetto di tre risoluzioni Onu che chiedono lo stop al programma nucleare. E’ l’avallo russo alle sanzioni di cui ha discusso a lungo con Obama a porte chiuse. La convergenza sull’Iran ruota attorno al significato dell’accordo Start. E’ Obama lo spiega così: «Se Usa e Russia fanno fronte ai loro obblighi nel Trattato contro la proliferazione tagliando gli arsenali anche Iran e Corea del Nord devono rispettare le regole della comunità internazionale». Come dire: ogni Stato deve fare la sua parte per allontanare l’incubo nucleare.
Ma sul contenuto delle sanzioni da far approvare al Consiglio di Sicurezza l’intesa è ancora da affinare. Medvedev lo fa capire senza mezzi termini: «Le sanzioni hanno un significato solo se possono avere successo» e dunque «devono essere intelligenti» e non generiche. Il viceministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, entra nei dettagli: «La Russia non appoggerà un embargo totale ai prodotti petroliferi iraniani ma solo misure specifiche» per bloccare il programma nucleare. Questa è anche la posizione della Cina e significa che Medvedev è al centro della trattativa in corso fra Washington e Pechino.
Durante la conferenza stampa conclusiva, i reporer incalzano Obama sul rischio di opposizione repubblicana al Senato, dove la ratifica dello Start ha bisogno di 67 voti mentre i democratici ne hanno solo 59. «Sono sicuro che ce la faremo» risponde il presidente ma i leader democratici da Washington scelgono la prudenza: «Potremmo non farcela entro fine anno» visto che i repubblicani vogliono esaminare tutti i testi allegati, paragrafo per paragrafo temendo «cedimenti sulla sicurezza nazionale». E proprio al fine di rassicurare l’opposizione, Obama termina la giornata praghese con una cena con i leader di undici Paesi dell’Est ai quali ribadisce la volontà di realizzare il programma anti-missile che non piace a Mosca.

Il Foglio- Editoriale: " Lo sfregio di Praga "

Da ieri il mondo è più sicuro, hanno detto Barack Obama e Dmitri Medvedev firmando, a Praga, il nuovo Strategic Arms Reduction Treaty, lo Start II, il trattato per ridurre gli arsenali nucleari negli Stati Uniti e in Russia. Obama ha ricordato che proprio a Praga, l’anno scorso, aveva annunciato il suo sogno di un mondo denuclearizzato – nelle stesse ore la Corea del nord sparava un missile sopra al Giappone – e che finalmente il primo pezzettino del suo “dream” ha preso forma. Anche Medvedev ha festeggiato, con toni più bassi, perché in Russia resiste un po’ di scetticismo, in fondo l’arma atomica è simbolo di superpotenza, cederne una parte significa essere un po’ meno super. I due presidenti sono più pragmatici, sanno che il pericolo oggi non è quello della Guerra fredda, che bisogna impedire che la tecnologia nucleare finisca nelle mani sbagliate e, semmai, risparmiare qualche soldino, che in periodo di crisi non fa male. Gli occhi più mesti erano quelli dei capi di stato dell’Europa dell’est, invitati solennemente per assistere al momento storico, con tanto di cena con Obama per essere rassicurati: non cambia nulla per voi, dice il presidente americano, siete nostri partner e lo Start II non può che farvi comodo. Peccato che la Russia su un punto solo parla a voce alta, altissima: se l’America mette lo scudo missilistico in Europa dell’est, lo Start II diventa carta straccia. Fino a un anno fa, gli ex paesi del blocco sovietico si erano messi tutti al bello per mostrare a Washington di essere alleati affidabili, hanno inviato truppe sui fronti di guerra, hanno fatto riforme lacrime e sangue per entrare nel consesso occidentale, sono infine stati premiati dalla promessa di poter ospitare uno scudo missilistico americano volto a difendere quell’occidente tanto cercato da qualsiasi minaccia a est. Erano fieri di essere l’avamposto di un nuovo mondo. Per questo ieri hanno assistito compiti alla celebrazione di Praga – a Praga! – mentre affiorava sulle labbra un retrogusto amaro. L’America ha rinunciato allo scudo, sacrificando le speranze e gli sforzi dell’Europa dell’est, per conquistare l’appoggio della Russia contro il nucleare iraniano. I due paesi ex rivali hanno ridisegnato le loro aree di influenza, e a pagare il prezzo più alto è proprio quel blocco di paesi che ha già pagato il conto della Guerra fredda

La Stampa- " Netanyahu non andrà al vertice con Barack"

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu (foto) - contrariamente a quanto annunciato in precedenza - non parteciperà al Vertice sulla sicurezza nucleare che il presidente americano, Barack Obama, ha convocato per il 12 e 13 aprile a Washington. A Gerusalemme fonti governative fanno, comunque, sapere che Israele non boicotterà la Conferenza di Washington sulla sicurezza nucleare: invece che dal premier Netanyahu, lo Stato ebraico sarà rappresentato da Dan Meridor, vice primo ministro con delega per l’energia atomica. Le stesse fonti hanno, poi, precisato che Netanyahu ha rinunciato al suo viaggio negli Usa dopo avere appreso che, durante la Conferenza convocata dal presidente americano Barack Obama, Egitto e Turchia intendono sollevare il problema dell’arsenale atomico dello Stato ebraico e chiedere una sua adesione al Trattato di non proliferazione nucleare. Anche se è pressoché certo che sia dotato di armi atomiche, Israele non ha mai ammesso, nè negato , di essere dotato di un arsenale nucleare.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Washington/Mosca unite contro l'Islam "
intervista con Marshall Goldman


Marshall Goldman

Questo accordo nasce dal fatto che Usa e Russia hanno un nemico comune che temono più di ogni altra cosa». Marshall Goldmann, veterano dei cremlinologi del Centro di studi russi di Harvard, vede «numerose novità» dietro la firma dello Start II a Praga.
Qual è il nemico comune che Usa e Russia temono?
«Il terrorismo islamico».
Cosa li preoccupa in particolare?
«La possibilità che uno dei gruppi che ne sono espressione arrivi in una maniera o nell’altra alla bomba atomica. Medvedev guarda agli islamici che hanno insanguinato la metro di Mosca come Obama agli islamici che hanno colpito l’11 settembre: entrambi temono che possano ottenere delle atomiche, usandole in un attacco».
Qual è il legame fra questa paura e l’accordo Start?
«E’ fondamentale. Russia e Stati Uniti si temono di meno l’un l’altro perché percepiscono che la vera minaccia viene adesso dall’ipotesi di un’atomica in mano ai terroristi. Dunque per entrambi la priorità è la lotta alla proliferazione e dunque affrontano con minor tensione le questioni bilaterali del disarmo. E’ quest’atmosfera che ha facilitato un accordo importante. Ma c’è dell’altro».
A cosa si riferisce?
«Ai meriti di Barack Obama e anche dei leader del Cremlino».
Partiamo dal presidente americano. Quali sono?
«Ha reimpostato il rapporto con la Russia basandolo su due termini: «reset» e rispetto. Con «reset» ha espresso la volontà di azzerare i disaccordi accumulatisi dall’indomani della fine della Guerra Fredda. E parlando poi di «rispetto reciproco» ha fatto capire di perseguire una nuova partnership basata sulla parità. Senza che nessuno dei partner abbia un ruolo di prevalenza. E’ una ricetta che sta funzionando».
E i meriti del Cremlino?
«Bisogna dare atto ai leader russi, non solo a Medvedev ma anche a Putin, di aver compiuto un passo non indifferente...».
Ovvero?
«Trattare prima e siglare poi un accordo di tale importanza con un leader nero».
Si spieghi meglio...
«Nella cultura russa è profondamente radicato il disprezzo per le minoranze non caucasiche, neri inclusi. I leader del Cremlino hanno compiuto un passo molto importante nella sconfitta di questo pregiudizio. Per vedere il vero risultato di tale svolta nella società russa potremmo dover aspettare molti anni».
Fra i repubblicani c’è chi minaccia battaglia al Senato sulla ratifica dell’accordo appena firmato. Potrebbero esserci problemi per Obama?
«Credo di sì. Anche se i repubblicani in genere non sfidano il presidente sulla sicurezza nazionale, fra i loro senatori sono in molti ad aver attraversato la Guerra Fredda accumulando esperienze e convinzioni sull’inaffidabilità dei russi, sui tentativi di Mosca di violare gli accordi appena firmati. Inoltre fra i conservatori c’è chi imputa a Obama un approccio negoziale destinato ad essere scambiato per debolezza dai russi».
Per Medvedev sarà più facile il persorso della ratifica?
«Anche lui avrà delle difficoltà, soprattutto perché i militari russi non si fidano ancora di quelli americani. Da un certo tempo realizziamo ad Harvard incontri fra i militari dei due Paesi, per tentare di riuscire a rompere il ghiaccio. Ma i risultati continuano ad essere assai scarsi con i graduati di entrambi i Paesi perché si parlano ma non si fidano gli uni degli altri».

Corriere della Sera-Alessandra Farkas: " Ora l'apocalisse si allontana "
intervista con Joshua Pollack

Joshua Pollack

NEW YORK — «Il Doomsday Clock è stato spostato indietro, da cinque a sei minuti. Se lo Start 2 sarà ratificato, è probabile che esso venga nuovamente aggiornato». Parla Joshua Pollack, columnist dell'influente «Bulletin of the Atomic Scientists» dell’Università di Chicago che nel 1947, durante la Guerra fredda, impostò il famoso Orologio dell'Apocalisse sette minuti prima della mezzanotte, simbolo della fine del mondo (lo spostamento in avanti indica una maggiore probabilità di conflitto nucleare).
Lo Start 2 è un passo nella direzione giusta?
«Certamente, anche se non sarà definitivo fino a che la Duma e il Congresso Usa non l’avranno approvato. Ancora più importante è però l'esito dei due summit sul nucleare che si terranno il 12 e 13 aprile prossimi a Washington e il 3 maggio a New York».
Una diminuzione del 74% rispetto all’accordo Start del 1991 e del 30% rispetto al Trattato di Mosca del 2002 è un bel risultato.
«Prenderei quei numeri con cautela perché confrontare punti diversi dei vari trattati equivale a paragonare mele con arance. L’aspetto importante dello Start 2 è un altro. E cioè l'aver rinnovato un regime di verifiche reciproche che contempla ispezioni dirette da parte di entrambi i Paesi».
Il presidente Obama passerà alla storia per il nucleare? «Obama non ha inventato l’idea del disarmo nucleare anche se la sua dottrina di ridurre il ruolo delle armi nucleari nella strategia nazionale Usa di sicurezza è molto innovativa. Per il resto la sua posizione è molto simile a quella di Ronald Reagan e comunque in linea con quella di tutti i presidenti Usa, da Truman in poi, con l’eccezione di George W. Bush. L’unico che non ha mai pubblicamente appoggiato la retorica del disarmo nucleare».
Pensa che il Congresso ratificherà il trattato?
«Nessuno può garantirlo al 100%. Occorrono 67 voti di senatori su 100 e senatori repubblicani più integralisti tra cui Jon Kyl dell’Arizona potrebbero ritardare la ratifica. Ma altri influenti compagni di partito come Richard Lugar dell’Indiana sono favorevoli e alla fine dovrebbero prevalere».

Per inviare la propria opinione a Stampa, Foglio, Corriere della Sera cliccare sulle e-mail sottostanti.

 


lettere@lastampa.it
lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT